Se fossimo un banker, uno di quelli che che sono diventati ricchi e famosi a spese di clienti e risparmiatori, non avremmo dubbi. Le dure leggi della finanza impongono una fusione tra Milan e Inter. Facciamo due conti: insieme hanno più scudetti della Juve, insieme hanno dieci Champions (detto per inciso, risultato raggiunto nel 2010 col Triplete dell’Inter, prima quindi della Decima del Real Madrid), insieme riempirebbero finalmente uno stadio, quello di San Siro, che con i suoi 82mila posti è ormai obsoleto nell’epoca del calcio tv.
Insieme probabilmente, avrebbero la forza finanziaria per sfidare i grandi club europei, mettendo sul piatto quel centinaio di milioni ogni anno che sono l’investimento minimo per stare al tavolo di Bayern, Manchester, Real e Barcellona. Fin qui i banker. Ma chiunque segua anche distrattamente le vicende del pallone sa benissimo che l’ipotesi è semplicemente impronunciabile. Non c’è infatti un solo tifoso di Inter o Milan disposto a sopportare un’idea del genere, meglio abbandonare il calcio.
A Milano, la rivalità tra le due squadre cittadine è meno esasperata che altrove. A Roma o a Genova vincere il derby può dare un senso alla stagione. E lo stesso vale per il Toro, quando mette sotto la squadra del padrone, la famiglia Agnelli. A Milano è diverso, nonostante gli interisti si presentino a ogni derby con grandi striscioni “Milano siamo noi”, che tradiscono il loro grande cruccio: essere la seconda squadra della città, visto che è il Milan a portarne il nome. Impegnati a scrivere la storia del calcio, del quale hanno anticipato tutte le rivoluzioni (da quello all’italiana di Nereo Rocco a quello totale di Arrigo Sacchi), i tifosi rossoneri hanno sempre guardato con un certo distacco a queste polemiche da strapaese.
Ciò non vuol dire che siano disposti a subire tutto. E in particolare a diventare una specie di succursale dell’Inter. I fatti sono noti. La
nuova proprietà cinese ha affidato il ruolo di amministratore delegato del Milan a Marco Fassone, dirigente calcistico dal passato discutibile. Laureato in Lettere, Fassone ha cominciato bene, come dirigente della Juventus. Fosse stato bravo sarebbe rimasto lì. Ma è passato al Napoli. Fosse stato bravo, sarebbe rimasto lì. Ma è passato all’Inter, dove è riuscito farsi detestare dai tifosi finché, un anno fa, è stato licenziato. E a spasso si trovava quando sono arrivati i cinesi. Fassone ha iniziato a costruire la squadra manageriale, ma
senza grande fantasia. Come direttore sportivo ha cercato Piero Ausilio, che fa lo stesso mestiere all’Inter e che gli ha risposto picche.
A questo punto, nonostante quasi tutti i ds italiani siano disposti a fare carte false per andare al Milan, ha scelto il vice di Ausilio, tale Massimo Mirabelli. Poiché la squadra rossonera, nell’ultimo quarto di secolo, ha avuto alcuni tra i più carismatici calciatori del mondo, mai passati a ruoli societari per l’ostracismo di Galliani che temeva di essere messo in ombra, si poteva immaginare che un Boban, un Maldini o un Albertini sarebbero stati cooptati dalla nuova proprietà. Nulla, e il timore è che, se anche questo accadesse, sarebbe per un ruolo di mera rappresentanza.
Il fatto di pescare dall’Inter non è tanto grave per la rivalità cittadina, ma per una ragione molto più seria. Come tutti sanno, anche se ormai nessuno rimpiange Galliani, il Milan è stato a lungo un modello societario, ed è stato questo il vero punto di forza. Di questa forza restano alcuni segni evidenti. Anche lo scorso anno il club rossonero, settimo in campionato, è arrivato secondo per ricavi, 200 milioni contro i 323 della Juventus che lo precede. Ma la Juve ha incassato 75 milioni dalla Champions, alla quale il Milan non ha partecipato, senza parlare dei maggiori introiti da stadio, ovviamente legati al rendimento delle squadre. E il Milan rimane, a dispetto dell’appannamento di immagine sportiva, al primo posto in termini di commerciali e da sponsorizzazioni (75 milioni).
In tutte queste graduatorie l’Inter figura distante, superata anche da Roma e Napoli. La ragione è presto detta. Massimo Moratti era un grande mecenate, disposto a ripianare per anni i buchi della gestione finché, quando il prezzo del petrolio ha iniziato a scendere, non è più stato in grado di tenere botta e ha venduto. Ma di organigrammi, bilanci, sponsor e altre faccende noiose non si è mai interessato. Il risultato è che, dal punto di vista societario, l’Inter ha sempre avuto una dimensione dilettantesca. Quindi chiunque capisce che mettere in piedi una struttura societaria con gli scarti dell’Inter è la cosa più stupefacente che potesse accadere. I tifosi sono in gran sospetto e attendono il mercato di gennaio per vedere confermati o smentiti i loro timori. Ma pure se facessero una campagna acquisti sontuosa, il dubbio resterebbe: chi ha consigliato la Sino-Europe di affidarsi a Fassone e alla sua combriccola? Forse uno di quei banker di cui si diceva all’inizio, uno che pensa di fondere Inter e Milan. Un’operazione perfetta per un perfetto cretino.