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Mike Parker:  inventore dell’Helvetica, tra arte, tecnologia e imprenditorialità

Farsi leggere su uno schermo piccolo è una bella sfida per i progettisti di pagine e i grafici della parola scritta e della comunicazione digitale. Ecco l’attenzione spasmodica che viene data all’arte della tipografia, in un momento in cui le vere tipografie, o meglio le stamperie, stanno diventando parte del paesaggio dell’archeologia industriale. Ma l’arte tipografica è tutt’altro che morta.

Uno degli aspetti più apprezzati delle ultime versioni di Windows è proprio il lettering, la leggibilità dei caratteri e il ruolo che hanno nel design generale dell’interfaccia. Jonathan Ive, di Apple, ha ridotto ai minimi termini, quasi oltre le possibilità percettive, tutta l’interfaccia di iOS per esaltare i caratteri sottili e rotondi dell’Helvetica Neue Ultra Light. Dopo un iniziale spaesamento, la scelta minimalista può conquistare l’utente e subito viene l’impulso di scrivere sempre in Helvetica Neue Ultra Light. Con iOS 9, l’Helvetica Neue ha lasciato il posto a un carattere gemello che è stato creato appositamente per i deviceApple, il San Francisco (SF), omaggio alla città matrice dello stile e della cultura della Silicon Valley. La forme sono quelle dell’Helvetica Neue, solo che il San Francisco è più elissoidale e più ispessito dell’Ultra Light, usato precedentemente.

La rivincita della tipografia non potrebbe essere più eclatante: i caratteri dal ruolo di paggetti delle interfacce sono diventati i monarchi assoluti a cui si asservono gli altri aspetti del design: come le forme, il colore, gli abbellimenti e gli ornamenti vari.

L’All Blacks dei caratteri

Da 50 anni una font domina su tutte, l’Helvetica. Solo le pietre tombali, ci dice Steve Rose sul “Guardian” sono rimaste esenti dall’influenza di questo carattere che deve moltissimo al “padrino di tutte le font”, Mike Parker, scomparso nel 2014. L’Helvetica è veramente ubiqua: è praticamente impossibile che in una qualsiasi giornata non entri più volte nel nostro campo visivo. Non solo la carta stampata, le parole sullo schermo, ma anche il paesaggio urbano sarebbe irriconoscibile se con una sostituzione globale rimpiazzassimo l’Helvetica con il Garamond.

Scrive Rose sul “Guardian”:

Oggi l’Helvetica è onnipresente, è usata per grandi marchi (Nestlé, Lufthansa), per i nomi dei negozi (American Apparel), per la segnaletica pubblica (è Helvetica la metropolitana di New York — e anche quella di Milano grazie a Bob Noorda); è usata dalle aziende tecnologiche (Microsoft, Intel, Apple e l’Helveticacompare persino sulle magliette che mostrano l’autolesionistico e ironico slogan “Io odio l’Helvetica.

Helvetica, ora basta!

C’è, però, anche chi inizia a mostrare allergia nei confronti dell’Helvetica. Il conformismo dell’Helvetica comincia a dare sui nervi. Ecco che tornano in auge caratteri più geometrici e meno panciuti come l’Avenir usato dalla liberalissima e tonica città di Amsterdam per la sua corporate identity o dalla BBC Two.

Sempre Rose ci dice che pure l’ossessione di Wes Anderson, un regista ricercatissimo nel linguaggio filmico e attentissimo ai particolari, per il Futura (una fortunata variante dell’Helvetica) si è andato via via spegnendo per direzionarsi verso l’Archer boldche forse con le sue morbide rotondità rifinite a grazia e le ascendenti allungate a collo di giraffa rispecchia meglio dello steccuto Futura la personalità dell’originale regista. Sicuramente Wes è fuori dal coro come l’Archer Bold.

Mike Parker: artista, tecnologo, imprenditore

Ma torniamo all’Helvetica. Come abbiamo visto il suo ideatore è Mike Parker, tipografo e costruttore di font, scomparso a 84 anni nel 2014. Parker è un’altro — come definirlo? — creativo (?) che ha fatto dell’intersezione tra arte, tecnologia e imprenditorialità il suo modus operandi. Sotto la sua direzione la Mergenthaler Linotype Company ideò e produsse oltre mille caratteri cge divennero lo standard di mercato. Con Parker collaborarono type designer come Matthew Carter (Verdana, Georgia,Tahoma, Bell Centennial, Miller e Galliard), Adrian Frutiger (Frutiger e Avenir, Univers, Linotype Didot), Hermann Zapf (Optima, Paltino, Zapfino, Zapf Chancery).

Nel 1981 Parker e Carter fondarono una propria società, Bitstream, per la creazione e la distribuzione di caratteri modulari che, come dice il nome della società, miravano a soddisfare le esigenze degli utilizzatori delle nuove tecnologie di pre-stampa e soprattutto del nuovo Desktop Publishing, svincolando l’utilizzo del carattere dall’hardware di destinazione.

A Parker si deve anche la abortita iniziativa di progettare un software di impaginazione, Pages, per la workstation NeXT, la piattaforma visionaria ideata da Steve Jobs dopo la sua uscita da Apple nel 1986. L’acquisizione di NeXT nel 1996 da parte di Apple, mise fine al progetto di Pages la cui tecnologia fu acquisita da Design Intelligence, nel 2000 acquisito da Microsoft.

Nel 2012 Parker è stato insignito del SOTA Typography Award, uno dei maggiori riconoscimenti per i professionisti dell’arte tipografica. La motivazione del premio recita così:

La conoscenza, la passione, l’entusiasmo contagioso e l’incredibile influenza che Parker ha avuto sull’arte tipografica sono alcuni dei fattori che hanno spinto la giuria ad assegnare all’unanimità a il 10° SOTA Typography Award e Mike Parker.

Per i nostri lettori abbiamo provveeduto a traduure in italiano e adattare l’articolo il settimanale britannico “The Economist”, ha dedicato all’inventore/imprenditore americano che ha avuto un’importanza difficilmente sottovalutabile nella formazione della Koiné dell’ultimo mezzo secolo.

Buona lettura, anche se non siete dei fan dell’Helvetica, come me.

La testa nei caratteri

Che cosa è la base della civiltà? Alcuni direbbero il grano, altri il controllo del fuoco. Mike Parker direbbe il carattere tipografico. Il piccolo stampo di ottone del XXV secolo per la fusione dei caratteri progettato per accogliere il piombo incandescente che raffreddandosi si sarebbe plasmato alla matrice per creare la forma del carattere, aveva permesso alla gente di leggere e, grazie alla lettura, cambiato il loro modo di pensare e di agire.

Jeff Jarvis, direttore del new media program alla New York University, in un ebook tradotto anche in italiano ha messo in evidenza la modernità della visione di Gutenberg definendolo il primo imprenditore tecnologico della storia.

La Bibbia stampata da Johannes Gutenberg intorno al 1455, con quella meravigliosa scrittura a carattere gotico finemente spaziata e rifinita — tutt’oggi rimasta insuperata –, aveva rotto il monopolio culturale della chiesa e aperto la strada al commercio moderno. Che cosa poteva esserci di più rivoluzionario di questo?

Il piccolo stampo è stato uno dei tesori che Mike Parker ha scoperto quando, nel 1958, è stato incaricato di selezionare alcuni manufatti d’arte tipografica per il museo Plantin-Moretus di Anversa. Già affascinato dall’argomento, con una tesi di laurea appena discussa a Yale sul carattere Garamond, si è subito appassionato al questo compito. Dalla polverosa stamperia ha riportato alla luce gli insuperati caratteri tipografici romani del tipografo cinquecentesco Hendric van den Keere; gli antenati dei moderni caratteri dei giornali e il Poynter Oldstyle; I caratteri barocchi danzanti di Robert Granjon e in particolare il Galliard, da cui Parker, e il suo co-designer Matthew Carter, avrebbero successivamente ricavato una versione più moderna; il condensato eppur leggibilissimo Rotunda creato su misura per un antifonario destinato a Filippo II di Spagna e mai pubblicato.

Alla Linotype

Di qualsiasi carattere tipografico si parlasse, Parker ne conosceva la storia. Nei primi tempi come direttore dello sviluppo dei caratteri alla Linotype, dove ha lavorato dal 1959 al 1981, se ne andava in giro, con la sua energica ed roboante figura, portando sottobraccio il suo catalogo dei caratteri di Plantin — ciascun tipo era fotografato con una luce che splendeva obliquamente fuori dalla sagoma delle lettere. I designer, sperava, avrebbero guardato, si sarebbero ispirati e avrebbero imitato.

Parker non disegnava personalmente i caratteri, seppure aspirasse a diventare un artista. Il suo lavoro era simile a quello del sommelier: valutava le spaziature, la forma e giudicava l’aspetto dei caratteri e quindi seguiva, in ogni dettaglio, lo sviluppo e la fabbricazione degli stampi.

Era questo un argomento di cui poteva discutere per ore, giorno e notte, di persona o al telefono o mentre divorava un piatto coreano alle cinque verdure stufate a cui si era appassionato durante il servizio militare. Finché non conobbe la prima moglie, la parola “donna” nella sua vita aveva senso solo nel mondo della composizione dei caratteri tipografici.

Una font per tutte le stagioni

Il suo compito alla Linotype era anche quello di costruire una vera e propria libreria di caratteri da vendere alle tipografie. Ampliò la gamma dei caratteri disponibili portandoli da 150 a 1500, clonando e adattando i caratteri esistenti quando necessario. Questa industria era in continua evoluzione poiché le differenti fonderie e aziende tipografiche iniziavano a competere fortemente per acquisire nuovi clienti e professionisti del settore.

In questo nuovo ambiente competitivo un carattere combattivo ed estroverso come quello di Parker si muoveva piuttosto bene: per esempio portò via alla concorrenza il designer Matthew Carter per farlo diventare il suo capo designer. Si spinse anche ad accusare la concorrenza a proposito del Times New Roman, asserendo che i disegni originali di Starling Burgess, risalenti agli anni 20, gli erano stati rubati. Nel 2009 lanciò un carattere chiamato Starling, basato proprio su quei disegni, giusto per rimettere al loro posto le cose: era il Times New Roman originale, ma migliore.

Ecco l’Helvetica

Degli oltre 1000 caratteri che sviluppò, il suo più grande successo fu l’Helvetica. Fu lui a perfezionarlo e plasmarlo secondo le necessità delle rigide, rimbombanti macchine Linotype che all’epoca componevano tutto quello che veniva stampato negli Stati Uniti. L’Helvetica era il parto del designer svizzero, Max Miedinger, che la inventò nel 1956.

A differenza dell’eleganza esuberante dei caratteri del XXVI secolo, l’Helvetica era semplice, rigidamente orizzontale, con forme nette e grandemente leggibile. Divenne, nelle mani di Parker, il carattere pubblico del mondo moderno: della metropolitana di New York, del modulo della denuncia dei redditi, del logo di McDonald’s, Microsoft, Apple, Lufthansa e innumerevoli altri. Fu anche, per la sua chiarezza, il carattere predefinito sui Mac e così fu trasportato senza problemi nell’era della tipografia digitale.

Non piaceva a tutti. Neppure a Parker piaceva sempre: quando andava in giro con la sua auto per Brooklyn o Boston con la musica a tutto volume, gli capitava di arrabbiarsi spesso per le violenze subite dalla sua Helvetica nelle vetrine di negozi o sui cassoni dei camion, dove le terminazioni erano arrotondate e la spaziatura errata. Ma lungi dal vedere l’Helvetica come un carattere neutrale, semplice o anonimo, lo amava per il rapporto tra la figura e il fondo, per la sua stabilità, per il suo rappresentare una “forte matrice di spazio circostante”. Ciò dava un sapore alle parole: e l’Helvetica è stato un carattere che dà alla gente la fiducia per navigare attraverso tempi che cambiano rapidamente.

Alla Bitstream e il rapporto con Steve Jobs

Parker scommesse, senza troppo successo, sul nuovo rivoluzionario sistema operativo ideato da Steve Jobs dopo l’uscita da Apple. Nextstep, infatti, incorporava il Display Postscript così da visualizzare a video i caratteri in formato vettoriale e non come mappa di punti. In questo mondo il carattere tipografico sullo schermo eguagliava la perfezione di quello a stampa.

Anche lui cavalcò i tempi abbastanza agilmente, lasciando la Linotype nel 1981 con Carter per fondare la Bitstream, una società specializzata nella produzione di caratteri tipografici digitali da dare in licenza a chiunque. Non si realizzò mai una partnership con Steve Jobs e nel 1995 dovette abbandonare il progetto di Pages su NeXT (un software di layout di nuova concezione); ciononostante rimase impressionato dalle possibilità della tipografia nell’era digitale nella quale intere pagine potevano essere composte col il semplice tocco di un pulsante e migliaia di font sfogliate e utilizzate da una persona seduta a una scrivania.

Negli ultimi anni della sua vita, come storico della tipografia al Font Bureau, gli piaceva affermare che la composizione tipografica si era mossa a passo di tartaruga tra Gutenberg e la macchina Linotype del XIX secolo. Ma — spunto per un ampio smagliante sorriso — Parker era stato abbastanza fortunato da vivere e lavorare nell’ultima metà del XX secolo, un’epoca di velocissime rivoluzioni generate, ancora una volta, dai caratteri tipografici.

Leggi anche: Mike Parker, a life dedicated to typography

Categories: Arte

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