C’è chi ama la natura, c’è chi difende la natura e c’è chi vuole riportare la natura a come era un tempo, a come ce l’hanno tramandata i nostri progenitori, quanto meno a come ce la raccontavano ancora i nostri nonni, quella natura che, purtroppo, giorno dopo giorno, va scomparendo a causa delle attività industriali, di una economia che ignora l’habitat, di un uomo che l’ha condannata a morte con le sue dissennate azioni, dimenticando che la natura è la principale alleata della sua salute, come ci dimostrano le drammatiche cronache sanitarie in questi giorni di coronavirus.
Se le prime due categorie sono benemerite alla terza categoria appartiene un popolo che potremmo definire di visionari, profeti di un mondo di bioviersità da ricreare e rifondare che sovente si devono scontrare con lo scetticismo, l’ironia, il dileggio dei più, e per questo ancor più benemeriti perché votati al sacrificio.
Indubbiamente in questa terza categoria rientra di diritto un ex perito meccanico trentottenne siciliano che per amore della natura buttò alle ortiche – il termine è più appropriato che mai – la laurea in ingegneria meccanica che stava per prendere, folgorato dalla voglia di vivere lontano dalla città e dai suoi meccanismi inquinanti per dedicarsi a una vita tutta natura. L’occasione gli fu offerta da un viticoltore che si era lanciato nella produzione di vini naturali, allora ancora non diffusi come oggi.
E fu così che Giuseppe Lazzaro primo di tre fratelli, gli altri si chiamano Simone e Gianluca, di Macchia di Giarre, una frazione a mezz’ora di auto da Catania, compresa fra il mare e le pendici dell’Etna, abbandonò gli studi per ritrovarsi a produrre vini senza diserbanti, senza solfiti, senza schiarenti, studiando le viti nel loro percorso di produzione naturale.
Una cosa lo colpì sopra tutte le altre: la scoperta che un’ape particolare, nota per la sua mansuetudine, comunemente chiamata Ape nera, il cui nome scientifico è Apis Mellifera Sicula, proveniente dall’Africa e che aveva resistito per millenni nell’isola, sopravvissuta alle glaciazioni, ma non all’uomo, era praticamente scomparsa nel 1970 dopo che apicoltori locali le avevano preferito la più redditizia Apis Mellifera Ligustica, originaria del nord d’Italia. Un’ape particolarmente apprezzata per la sua capacità di adattarsi alla maggior parte dei climi e in grado di offrire abbondanti raccolti di miele.
Per cui gli apicoltori dell’isola avevano progressivamente abbandonato il suo allevamento e la produzione di miele con i tradizionali bugni di legno di ferula preferendo i favi mobili con le Ligustre, indubbiamente molto più redditizi.
Per Peppe Lazzaro quell’ape nera divenne quasi un chiodo fisso, non si dava pace che un insetto che aveva lavorato per millenni in quell’habitat, impollinando fiori, dando un contributo fondamentale alla catena alimentare insulare, fornendo miele a generazioni e generazioni di isolani, potesse essersi volatilizzato.
Si informò nella zona presso i principali apicoltori, ma nessuno ne sapeva nulla. Addirittura qualcuno gli disse che si trattava solo di una leggenda: “l’ape nera Sicula – fu la facile sentenza di chi procede per certezze e mai per dubbi – non esiste”.
Ovviamente Peppe Lazzaro non si diede minimamente per vinto. Continuò a studiare, a documentarsi finché il suo destino non si incrociò con quello di Carlo Amodeo, un nome carismatico per l’apicoltura siciliana, un apicoltore di Termini Imerese che aveva studiato con un entomologo siciliano Pietro Genduso che aveva dedicato anni di studi all’Ape Nera dopo la classificazione avvenuta ad opera di Montagano nel 1911. Amodeo 30 anni fa aveva individuato gli ultimi bugni di api nere sicule in un baglio di Carini dove un vecchio massaro apicoltore produceva miele con quel sistema antico. I bugni contenevano alcune famiglie di api che Carlo Amodeo, aveva conservato in isolamento sulle isole di Vulcano e Filicudi.
Di li era partito un progetto finanziato dalla Regione Sicilia e seguito dal CRA-API di Bologna (il Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura, Unità di ricerca di Apicoltura) in collaborazione con l’Università di Catania e di Palermo, l’Istituto Zooprofilattico della Sicilia, la Soat di Collesano e Slow Food per cui Amodeo aveva avviato la ripopolazione di questo tipo di ape nella Sicilia occidentale in base al fatto che in questa area si registra una scarsa presenza di apicoltori e ciò al fine di evitare l’ibridazione dell’Ape Nera con la Mellifera Ligustica e garantire la sua produzione in purezza.
Figurarsi l’entusiasmo di Giuseppe Lazzaro quando scoprì che l’Ape Nera esisteva ancora e non era scomparsa. Preparò i bagagli, sali in macchina e si precipitò da Carlo Amodeo. Non fu facile all’inizio riuscire a incontrarlo. Dopo aver insistito ripetutamente riuscì a farsi accogliere presso la sua azienda per una visita, era l’ottobre 2010. La visita a quell’azienda gli aveva aperto a un nuovo mondo! Sei mesi dopo ad aprile Lazzaro torna da lui per prendere le sue prime 6 arnie di ape nera sicula.
Nel frattempo a Giarre, nel garage di casa aveva già costruito le arnie e tutto ciò che gli serviva per intraprendere questo percorso. Ne ha parlato con i fratelli, li convince a imbarcarsi nell’impresa mettendo su una piccola azienda un laboratorio di lavorazione, piccolo ma studiato nei minimi dettagli “con la missione di riportare sull’Etna questa meravigliosa razza che ormai era totalmente scomparsa da oltre 40 anni”. Era il 2013.
Il nome scelto fa subito capire i propositi di Peppe e i suoi fratelli: “I custodi dell’Ape Nera”, e già perché l’allevamento delle api nere a Giarre, rigorosamente in collaborazione con la Facoltà di Agraria dell’Università di Catania, richiede molto più impegno e sacrificio rispetto a quelli della Sicilia orientale e anche notevoli risorse economiche. Qui, per la nutrita presenza di apicoltori nella zona, il rischio di ibridazione con l’Apis Ligustica è molto più alto.
arnia ape nera di sicilia
“Il fatto di avere nel nostro territorio apiari di altre razze – racconta Lazzaro – ci rende la vita molto difficile, perché non riusciamo a far riprodurre le nostre colonie con un livello di purezza accettabile. Si ibridizzano. Per ovviare a questo, annualmente, ci rivolgiamo agli allevamenti di sicula situati nella zona del palermitano, dove una massiccia presenza di tale razza permette la riproduzione delle stesse con un livello di purezza che supera il 90%. Tutto questo ha un enorme costo!”
Ma i Lazzaro non demordono e il numero di alveari nel giro di pochi anni può passare dagli iniziali 6 a 100.
Giuseppe studia a fondo gli “spazi ape”, e progetta un’arnia affinché le api, al suo interno si sentano quanto più possibile allo stato naturale, adotta accorgimenti tecnici per evitare il ricorso a trattamenti chimici, per contrastare infezioni e malattie causate dalla scarsa igiene. Finalmente a distanza di qualche anno può avviare la produzione di un miele produzione qualitativamente eccellente.
“Il Nostro metodo di lavoro è “estremo”- dichiara con doppio orgoglio di apicoltore e di siciliano – siamo estremi in tutto: sulla scelta del legname con il quale vengono realizzate le arnie, sul posizionamento e l’esposizione degli apiari, sulla cura dell’igiene di tutto il processo produttivo, sull’invasettamento, rigorosamente manuale, e in vasi da massimo 150g. (un volume maggiore verrebbe consumato in troppo tempo, con inevitabile perdita di qualità) Tutto viene curato con estrema attenzione”.
La filosofia della casa si basa rigorosamente sul rispetto della natura, delle sue leggi e dei suoi tempi: gli alveari vengono condotti rispettando la natura stessa delle api, senza forzature, senza chimica ne antibiotici di nessun genere.
Un rigoroso Protocollo di produzione detta le regole con l’obiettivo di mantenere integre tutte le proprietà organolettiche, nutraceutiche e medicamentose possedute dal miele che ha un altissimo contenuto di polifenoli ed antiossidanti e nel contempo di salvaguardare tutti i processi naturali e la salute delle api.
Così i melari sono recuperati senza l’utilizzo di soffiatori d’aria ad alta pressione o prodotti chimici. Le api vengono allontanate dolcemente dai favi con sistemi “apiscampo” in modo naturale e senza alcun trauma o morìa. Per evitare che le alte temperature deteriorino il nettare bottinato dalle api, si preferisce a volte estrarre i melari dagli alveari senza aspettare che siano completamente colmi. “L’azienda si concentra sulla qualità del prodotto, più che sulla quantità: produciamo 1000-1500 kg al massimo di miele all’anno”
Grazie all’innovativo utilizzo di gas inerti durante il processo di estrazione e stoccaggio del miele (fase, in cui il miele subisce il maggior degradamento perché sottoposto ad inevitabile ossidazione) Lazzaro riesce a garantire l’integrità di tutte le proprietà che il miele possiede “come se lo stessimo mangiando direttamente dall’arnia”. Tutti i mieli inoltre hanno inoltre una percentuale di acqua non superiore al 16-17% per evitare fenomeni di fermentazione.
Da I custodi dell’Ape nera escono così prodotti a cinque stelle, dal sapore unico, come il miele di melata di quercia aromatico e denso, ricco di calcio, magnesio, sodio e potassio, e batteri probiotici e il miele di melata di agrumi aromatico e denso, un’ottima fonte di ferro, calcio, magnesio, sodio e potassio, batteri probiotici entrambi ottimi come dolcificante per tisane o tè o piatti salati con formaggi teneri o stagionati. Soprattutto un trionfo di sapori atavici, siciliani, molto rari e non sempre ottenibili, dipende dall’andamento climatico.
E ancora il miele millefiori, prodotto sul versante Nord dell’Etna, a circa 700 m s.l.m tra Aprile e le prime settimane di Agosto, suddiviso in diversi lotti in base alla fioritura dominante del momento. Nel primo periodo la fioritura dominante è l’ Asfodelo segue la Ferula quindi si avvicenda con il Cardo selvatico dal sapore di media intensità aromatica, tra il fruttato e il floreale di lieve acidità che puo risultare anche leggermente pungente universalmente multiuso in cucina
Oggi Peppe Lazzaro può guardarsi indietro e ripercorrere con grande soddisfazione il cammino ostinatamente compiuto in questi dieci anni di duro lavoro. Nel suo piccolo è un grande esempio per tutti, è riuscito ad arricchire il valore della biodiversità nel suo territorio reinserendo una specie animale in via di estinzione, l’Ape Nera sulle pendici dell’Etna, è riuscito a produrre un miele oggi ricercato da Chef gourmet e dalle pasticcerie più prestigiose, ha dimostrato che il binomio uomo-natura può essere produttivo e non distruttivo, che la natura sa ricompensare chi sa apprezzarla. Una lezione da tenere presente di questi tempi.
I Custodi dell’Ape Nera
Azienda Agr. Lazzaro
Via risorgimento, 131
Macchia di Giarre 95014 (CT)
Email : info@icustodidellapenera.it
tel.: 3475180771