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Micossi: “I vantaggi dell’Europa che noi non sappiamo cogliere”

Imagoeconomica

Il 21 marzo, festa di San Benedetto patrono d’ Europa, molte associazioni, sindacati dei lavoratori e dei datori di lavoro, aderendo ad una proposta di Romano Prodi, hanno invitato i propri associati ad esporre nelle loro abitazioni e nelle loro fabbriche la bandiera dell’Europa insieme a quella italiana per celebrare la giornata dell’orgoglio europeo. Una manifestazione che vede protagonisti i cittadini per ricordare l’anima popolare, solidale e progressista della costruzione europea. Un grande ideale dei padri fondatori all’uscita di due guerre distruttive e che in tutti questi anni, tra alti e bassi, ha costruito un insieme di legami tra i popoli ed offerto vantaggi concreti a tutti i cittadini, primo fra tutti quello della pace che ha vinto sulle contrapposizioni alimentate dai vari nazionalismi.

Una giornata importante anche in vista delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo del 26 maggio che servirà per ricordare a tutti la vera posta in gioco di queste votazioni: iniziare un nuovo percorso per l’Europa o tornare indietro agli egoismi sovranisti che già tanto dolori hanno portato al nostro continente.

Per capire bene il significato e l’importanza di questa giornata abbiamo chiesto a Stefano Micossi, economista ed esperto di questioni europee, già direttore generale a Bruxelles, di scegliere tra le tante, due ragioni principali che a suo parere, rendono opportuna e conveniente per tutti i cittadini la costruzione europea. A parte ovviamente il lungo periodo di pace che l’Unione europea, alleata agli Stati Uniti, ha assicurato a tutti i paesi del Vecchio Continente che per secoli erano stati rivali. Un bene, quello della pace che con il  passare del tempo e con l’affievolirsi dei ricordi degli orrori della guerra, tende a sfumare nelle coscienze dei cittadini più giovani.

“Due conquiste – risponde Micossi – mi sembrano fondamentali: la costruzione di un grande mercato integrato per merci e persone con la moneta unica che ne costituisce un forte legame; e la possibilità di poter pesare nella scenario geopolitico ed economico del mondo. Nessun paese europeo da solo possiede la forza per sedersi ai tavoli dove si stabiliscono le regole degli scambi internazionali e dove si tenta di spegnere i focolai di instabilità che si accendono di continuo in varie aree del globo a cominciare dal Medio Oriente. Il nostro mercato integrato e la moneta unica sono uno scudo contro l’instabilità esterna e nello stesso tempo, se sapremo essere uniti, una premessa per far sentire la nostra voce rispetto agli altri grandi attori globali, Stati Uniti, Cina prima di tutto e poi Russia, India e Giappone”.

Ma per far questo, dobbiamo fare altri passi sulla strada della integrazione come afferma Macron nel manifesto appena diffuso in tutti i paesi europei?

“In effetti l’appello di Macron ha una valenza politica ed ideale molto positiva. E’ importante rivolgersi direttamente ai cittadini proponendo passi avanti nei campi della difesa, dell’energia e dell’economia, anche se permangono nella posizione francese delle ambiguità sull’aspetto della sovranità che è stato sempre un tabù per la Francia e che ha impedito progressi nell’integrazione europea anche quando la Germania era più disponibile. Tuttavia ora sembra che il vento sia cambiato, ma per dare concretezza a questi avanzamenti bisogna che si stabilisca che su molti temi, a cominciare dalla politica estera e della sicurezza, nel Consiglio europeo si voti a maggioranza superando l’attuale unanimità che finisce per essere paralizzante”.

L’ Italia rischia di non partecipare alla discussione su come far avanzare la costruzione europea perché l’attuale governo sembra orientato più a limitare i poteri della Comunità che a farla avanzare verso una maggiore integrazione…

“Per l’Italia sarebbe fondamentale partecipare e cercare di far rimettere il tema della crescita al centro dell’agenda europea. L’Europa sicuramente ripartirà dopo le elezioni sulla base del motore franco tedesco al quale si agganceranno sia i paesi del Nord sia Spagna, Portogallo e Grecia. Ed uno degli obiettivi di questo gruppo di testa sarà quello di stendere un cordone sanitario intorno all’Italia per evitare il rischio di contagio che può arrivare da un paese che si ostina a non riportare sotto controllo il proprio debito ed i cui governanti continuano a manifestare perplessità sulle regole europee e sull’ Euro. Anche nel prossimo parlamento europeo con ogni probabilità di formerà una maggioranza tra popolari, socialisti, liberali dell’Alde e verdi. L’Italia se alle elezioni sarà ancora dominata da partiti sovranisti, rimarrà tagliata fuori da tutte le cariche e quindi non avrà peso nelle decisioni”.

Ma i paesi del Nord Europa che hanno costituito la così detta Lega Anseatica non vogliono che l’Europa rafforzi i propri strumenti per favorire una maggiore crescita. Le loro economie vanno abbastanza bene e non sentono questa necessità.

“Questi paesi non vogliono sentir parlare di condivisione del rischio proprio perché, a loro modo di vedere l’Italia è fonte di instabilità. Di conseguenza bloccano una crescita del bilancio di Bruxelles, l’unione bancaria e qualsiasi strumento capace di offrire una rete di sicurezza ai paesi in difficoltà. Del resto tutti questi strumenti erano stati pensati come uno scudo rispetto a crisi provenienti dall’esterno dell’area. Ma se la crisi è generata all’interno di un paese da dichiarazioni o atti dei propri governanti, gli altri non capiscono perchè devono essere chiamati a condividere il rischio di politiche dissennate. Eppure una maggiore crescita dell’Europa potrebbe essere interesse di tutti. E per conseguirla sarebbe necessario aprire alla concorrenza le reti di servizio nell’energia, nei trasporti, nelle telecomunicazioni e nel digitale. In tutti questi campi si richiede un grande sforzo di avanzamento tecnologico che mercati frammentati hanno difficoltà a fare in quanto la loro limitata dimensione non riuscirebbe a ripagare gli investimenti necessari”.

Ma allora l’ Italia è avviata a stare sola? Questo ci espone a seri rischi di stagnazione o addirittura di recessione come indicano le ultime previsioni dell’Ocse che danno per il nostro paese una decrescita dello 0,2%, unico tra i paesi europei che va a marcia indietro…

“Noi non abbiamo altra strada che quella di avviare un serio percorso di riduzione del debito. Non si tratta tanto di fare una manovra aggiuntiva per contenere di qualche decimale il deficit di quest’anno, ma di dare in primo luogo  ai mercati e poi ai nostri partners europei l’assicurazione che il nostro paese farà tutto quello che è necessario per aumentare la crescita e per contenere la spesa corrente. Per contro noi abbiamo dato finora delle indicazioni vaghe e contraddittorie. Abbiamo messo nei nostri conti per il 2020 clausole di salvaguardia per ben 23 miliardi ma nello stesso tempo i nostri ministri dicono che non si useranno. Quindi dichiariamo di fatto che il nostro bilancio non è coperto e che quindi con ogni probabilità lasceremo andare il deficit ben oltre il 3% con un conseguente ulteriore aumento del debito”.

Ma allora come mai i mercati non reagiscono, ed anzi lo spread sembra si sia assestato sui 250 punti in discesa di 30-40 punti rispetto ad un mese fa?

“I mercati sono abbastanza calmi, e comunque lucrano su tassi d’interesse che sono di un paio di punti superiori a quelli dei principali paese dell’Euro, perché ritengono che i nostri governanti non avranno il coraggio di andare fino in fondo e che non appena il mercato dovesse manifestare segnali di disaffezione rispetto ai titoli italiani, come è accaduto in novembre quando la domanda non ha coperto tutta la quantità di titoli offerti dal Tesoro, siano pronti a fare una precipitosa marcia indietro. Ma questo non porta ad un vero e proprio cambiamento di rotta ma ad aggiustamenti marginali che evitano il crack,senza però dare alcuna spinta all’economia. Insomma noi camminiamo sul ciglio del burrone, non cadiamo,(almeno per le prossime settimane) ma non possiamo certo pensare di rimetterci a correre.

La cosa principale che i nostri governanti dovrebbero fare è quello di fissare una politica capace di far cambiare le aspettative dei mercati sul nostro debito e sulla nostra capacità di riformare il sistema per ottenere una maggiore competitività. La riduzione dello spread  non solo al livello della Spagna (150 punti sotto al nostro ) ma addirittura al livello della Francia (200 punti al di sotto) dovrebbe essere un grande obiettivo nazionale perché è ovvio che senza questa riduzione non potremo crescere né migliorare le prospettive di lavoro per i cittadini. Per farlo il governo dovrebbe ridurre le spese correnti, tagliando reddito di cittadinanza e quota 100 per renderli compatibili con la nostra situazione economica e con l’interesse generale di ritrovare credibilità in Europa per andare a trattare le cose che più ci interessano al fine di avere anche da Bruxelles una maggiore spinta alla crescita. Ma gli attuali governanti che si sono affermati alle elezioni sulla base di promesse irrealistiche, avranno la forza di fare marcia indietro?”

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