Mentre la politica italiana è tutta ripiegata su se stessa nel solito, stucchevole ed ipocrita dibattito sulle cose da fare, che però in realtà nessuno vuole davvero, per rimettere questo Paese su un binario di normalità, in Europa si stanno svolgendo alcune partite veramente determinanti per il nostro futuro: quella sull’unificazione della vigilanza bancaria e quella sul contractual arrangement. Quest’ultimo potrebbe essere la vera novità del prossimo Consiglio Ue di metà dicembre, e consiste nella possibilità di stipulare un accordo tra singoli Stati e Commissione Ue nel quale si specifica l’itinerario delle riforme per incrementare la produttività delle economie, in cambio di un sostegno finanziario da parte di Bruxelles per far fronte ai costi iniziali delle riforme. In teoria, si tratta di un ulteriore meccanismo per rendere un po’ più facile ai singoli governi il varo delle riforme, dando nel contempo un contenuto più concreto alla solidarietà comunitaria.
Finora l’Italia aveva manifestato molte perplessità su questa nuova creatura, ma ora sembra che Letta e Moavero siano più disponibili alla sua approvazione, anche se non si pronunciano sull’intenzione dell’Italia di stipulare un simile contratto. Già si avanzano preoccupazioni da parte del variegato mondo degli oppositori dell’Europa sul rischio di un’ulteriore perdita di sovranità da parte dell’Italia, senza in realtà avere nulla in cambio. Una sovranità che peraltro finora abbiamo usato molto male. E però è giusto capire un po’ più a fondo di cosa si sta parlando e quindi quale potrebbe essere un atteggiamento corretto da parte del nostro Paese nella prospettiva di far avanzare la costruzione di un’Europa unita senza cadere negli opposti estremismi di chi ritiene ottimo tutto quello che si fa a Bruxelles o di quelli che invece vogliono uscire dall’Euro ed abbandonare gli eccessi di rigorismo dei popoli del Nord.
Abbiamo chiesto a Stefano Micossi, direttore generale dell’Assonime ed esperto dei segreti della complicata architettura comunitaria, di cosa si tratti esattamente e quale potrebbe essere per l’Italia la cosa più conveniente da fare.
MICOSSI – “Dal punto di vista istituzionale – afferma Micossi – potrebbe essere un’innovazione interessante, perché renderebbe condivisa in Europa una politica di riforme che molti paesi stanno facendo o dovrebbero fare. Questi accordi dovrebbero infatti essere discussi ed approvati sia dai parlamenti nazionali che da quello di Bruxelles, con l’effetto di rendere le scelte di politica economica più partecipate e più democratiche. Questo in linea teorica. In pratica però sembra strano che discutiamo di un nuovo strumento per far avanzare l’attuazione da parte dei singoli Stati delle linee giuda di politica economica, quando negli ultimi anni abbiamo creato una lunga serie di strumenti, dal six pact, al fiscal compact, che prevedono procedure vincolanti e stringenti per imporre a tutti il rispetto degli impegni assunti nei consigli dei capi di Stato. Ma questi strumenti non vengono attivati o non si riesce politicamente ad attuarli”.
E questo è avvenuto perché conveniva un po’ a tutti, ed in particolare a Francia e Germania. Alla prima per l’incapacità di fare le riforme che sarebbero necessarie per migliorare la competitività, alla seconda perché assorbita della lunga fase elettorale che solo tra qualche settimana sfocerà in un nuovo governo di grande coalizione.
MICOSSI – “Credo che questa fase di appeasement abbia giovato soprattutto alla Francia, che incontra importanti ostacoli nel modernizzare il proprio sistema. Se poi guardiamo alla situazione dei vari paesi dell’Europa, vediamo che Portogallo, Irlanda, Spagna e Grecia, che sono sotto programma di salvataggio europeo, hanno fatto quello che la troika ha loro prescritto ed ora stanno già uscendo dalla fase più acuta della crisi. Quindi si tratterebbe un accordo pensato sostanzialmente per Francia ed Italia. E sarebbe credibile per i mercati e per le opinioni pubbliche?”.
Quindi un’idea nata per rafforzare la coesione europea in realtà rischierebbe di essere percepita come una nuova imposizione da parte dei paesi più forti offrendo in cambio solo il classico piatto di lenticchie.
MICOSSI – “Per creare un vero e proprio nuovo strumento di coesione dell’Europa, allora un simile patto dovrebbe firmarlo anche la Germania, impegnandosi a fare quelle liberalizzazioni del proprio mercato dei servizi e dell’energia che potrebbero portare grandi benefici agli altri Paesi nei settori (come ad esempio l’Italia nell’energia) che hanno capacità produttiva in eccesso. Anche i tedeschi, poi, dovrebbero accettare di far partire il prima possibile le nuove regole sulla vigilanza unificata europea senza difendere ad oltranza le loro banche regionali politicizzate. Inoltre occorrerebbero linea di politica economica veramente efficaci con lo scopo di riassorbire l’enorme avanzo commerciale tedesco che sicuramente esporta deflazione nelle altre aree dell’Europa”.
In altre parole, gli obblighi di aggiustamento non possono continuare ad essere asimmetrici. E’ ora di chiamare i tedeschi a fare la loro parte. Non nel senso di continuare ad aiutare i Paesi spendaccioni del Mediterraneo, ma allargando la loro domanda interna e liberalizzando il loro mercato in modo da aiutare le esportazioni da parte degli altri paesi. I quali però devono comunque fare tante riforme per essere efficienti e saper esportare.
MICOSSI – “Certo, in Italia non è più rinviabile il momento di fare riforme serie ed incisive che devono però avere come contropartita da parte dell’Europa risorse finanziarie vere e consistenti che ci consentano ad esempio di avviare la riforma del mercato del lavoro e cioè la sostituzione della cassa integrazione in deroga con l’Aspi che consentirebbero di gestire in maniera più efficace la mobilità del lavoro dando un sussidio di disoccupazione decente a chi si trova temporaneamente disoccupato. L’avvio di questa riforma richiede molti fondi, potrebbero ad esempio venire dalla UE consentendoci di smobilizzare i fondi strutturali che tanto non riusciamo a spendere o spendiamo senza alcun risultato sulla competitività”.
Ma una politica finanziariamente meno rigorosa anche nei confronti di paesi come l’Italia che hanno un alto debito pubblico non sarebbe penalizzata dai mercati finanziari che continuano a manifestare dubbi sulla nostra capacità di far fronte agli impegni?
MICOSSI – “Se l’Europa fosse capace di esprimere una vera coesione politica e si riuscisse a procedere tutti insieme sulla strada delle riforme coinvolgendo sia i paesi in deficit di competitività, che quelli così detti virtuosi( che poi hanno tanti nei da eliminare) allora i mercati non perderebbero la fiducia anche a fronte di temporanei aumenti del debito. I tassi d’interesse si manterrebbero bassi in relazione alle aspettative positive che vere riforme potrebbero suscitare”.