Passa da Metroweb il futuro dell’Italia digitale. Nata quando nessuno ancora ci credeva e l’ultrabroad band era lontana dagli obiettivi delle aziende di telecomunicazioni, l’azienda milanese controllata da Cassa Depositi è diventata un gioiello che fa gola a molti: a Telecom Italia che così pensa di potere mettere al sicuro la sua posizione dominante sulla rete (oggi la sua quota di mercato nella banda larga è al 48,8%); e a Vodafone che, sempre secondo l’ultima rilevazione dell’Autorità per le Comunicazioni (Agcom), la incalza con una quota ben più piccola (9,5%) ma con un solido e aggressivo programma di investimenti che la rende temibile agli occhi dell’ex monopolista.
Metroweb non a caso è stata al centro di tutti i piani che si sono susseguiti nel tempo sulla realizzazione di una unica infrastruttura nazionale innovativa e in grado di fare fronte alla incessante fame di bit dei nuovi servizi tlc. Il tutto si è intrecciato con le ipotesi di scorporo della rete Telecom in rame, dal piano Rovati nel 2007 al più recente progetto del governo Letta che prevedeva la ri-pubblicizzazione dell’infrastruttura Telecom come “bomba atomica”, cioè come ultima ratio, se gli investimenti promessi dalla società non avessero fatto passi avanti.
E ora di Metroweb e di rete di nuova generazione si torna a parlare proprio mentre a Palazzo Chigi il gruppo di esperti nominato da Matteo Renzi si riunisce per dare i ritocchi finali al piano “Rinascimento 2.0”. Le riunioni si susseguono, anche in queste ore, e tutto ruota intorno al tema dei finanziamenti. Roma vuole infatti presentare entro fine mese a Bruxelles una strategia di avvicinamento agli obiettivi dell’Agenda digitale 2020, sui quali l’Italia è clamorosamente in ritardo, che consenta di acquisire quella parte di fondi resi disponibili dal pacchetto di 300 miliardi per gli investimenti promesso da Jean-Claude Junker.
Perché dunque tanto interesse per Metroweb? Perché è proprietaria della più estesa rete metropolitana in fibra ottica in Europa con circa 375.000 km di fibra installati. L’azienda ha il suo punto di forza a Milano dove, insieme a Bologna, è già pronta la fibra a 300 Mega. Prossima tappa Torino, per poi estendere la rete superveloce in 30 fra le maggiori città italiane. C’è più fibra a Milano che a Stoccolma e, soprattuto, arriva dentro le case e gli uffici con la tecnologia Ftth (Fiber to the home) che è in assoluto la più veloce ma anche la più costosa. Fastweb e Telecom Italia hanno preferito il modello Fttc (Fiber to the cabinet) che avvicina la fibra alla casa ma si affida al doppino in rame per il collegamento finale: tanto più è lungo, tanto più rallenta la velocità. Stessa scelta ha fatto anche Vodafone che però a Milano e Bologna si appoggia a Metroweb, come pure Wind, per l’offerta a 300 Mega.
E’ chiaro dunque che, con queste premesse, nessun discorso sulla rete di nuova generazione in Italia possa essere fatto senza coinvolgere Metroweb. Fu Aem (oggi A2A) nel ’97 a capire che il settore prometteva sviluppi interessanti ed è stata la eBiscom di Silvio Scaglia, un grande manager ingiustamente travolto da inchieste giudiziarie rivelatesi poi infondate, ad aver spinto il business finché ne è stato azionista. Il salto definitivo è stato fatto con l’ingresso di Cassa Depositi e di F2i nel giugno 2011. Oggi la cassaforte presieduta da Franco Bassanini controlla il 46,2% del capitale tramite il Fondo strategico italiano (Fsi, 80%Cdp) mentre il 53,8% è in mano a F2i, il fondo per le infrastrutture di cui Cdp detiene il 16,5%.
Gli scenari possibili nel risiko senza fine sulla rete tlc, a questo punto, sono più d’uno e sono tutti aperti. Da un lato, la vendita di Metroweb a Telecom rischia di incappare nel veto Antitrust poiché, come molti temono, finirebbe per ridurre pesantemente i margini di concorrenza in un settore innovativo e strategico. D’altro lato, sia Cdp che F2i potrebbero avere interesse a valorizzare la partecipazione mettendo in gara Telecom e Vodafone per poi vendere e uscire, ripagandosi degli investimenti fatti e incamerando una congrua plusvalenza a beneficio dei risparmiatori postali.
I rumors dicono che Renato Ravanelli, da poco arrivato alla guida di F2i non considera però la cessione di Metroweb come una priorità. Anche perché sullo scacchiere manca ancora una pedina chiave: quella del governo. Palazzo Chigi guarda all’accelerazione dei piani di investimento lanciati finora dagli operatori con interesse ma anche in chiave critica: l’abbondanza dei piani infatti si concentra tutta sulle stesse città. Una maggiore condivisione potrebbe portare a livelli di copertura più estesi. E se poi fosse un’unica società, partecipata dallo Stato, a possedere l’infrastruttura, tutto si accelererebbe. Ma come si è visto, è più facile a dirsi che non ha farsi. E così per ora gli sforzi del pool guidato da Paolo Coppola si concentrano su come reperire le risorse: almeno 6 miliardi di fondi pubblici per garantire la banda a 30 Mega a tutti e a 100 Mega all’80% della popolazione. Una rivoluzione, se si farà.