FANNO PAURA I BOT DI CAPODANNO
IL TESORO A CACCIA DI 20 MILIARDI
Si riparte. E sotto i riflettori, in una settimana parafestiva dai volumi probabilmente modesti, resta lo spread tra Btp e Bund tornato sopra quota 500 prima della pausa di Natale. In questa cornice il Tesoro è obbligato ad affrontare un altro esame ad alto rischio: domani andranno all’asta Bot per 9 miliardi e Ctz per 1,5-2 miliardi. Giovedì sarà la volta di Btp e CcTeu per altri 8-9 miliardi. Intanto la scorsa settimana, la Bce ha praticamente azzerato l’acquisto di titoli di Stato sul mercato secondario: solo 19 milioni di euro rispetto ai 3,36 miliardi di euro della settimana precedente. Intanto i depositi overnight delle banche presso l’istituto centrale di Francoforte sono schizzati a quota 346 miliardi con un incremento del 30 % rispetto alla settimana precedente. Insomma, il mini bazooka attivato da Mario Draghi stenta a produrre effetti mentre la Bce targata Bundesbank, lungi dall’incrementare gli sforzi, sembra voler tirare i remi in barca.
IL BRASILE BATTE LONDRA,
I BIG D’ASIA SNOBBANO IL DOLLARO
Si riparte. Anzi, una cospicua fetta della finanza mondiale è già ripartita. Ieri, Santo Stefano, i listini asiatici hanno messo ha segno un discreto rialzo: Nikkei 225 +1,1%, l’indiano Sensex +1,5% mentre la Borsa di Mosca è in salita dello 0,8%. Ma stamane la Borsa di Tokyo si è concessa una pausa – 0,41%. Meglio esser prudenti in attesa dell’esito delle aste italiane. Ma, nell’attesa della ripresa delle contrattazioni in Europa, Usa ,America Latina e ad Hong Kong, il vero protagonista è stato lo yuan. Non tanto perché la moneta cinese ha toccato i massimi sul dollaro da 17 anni a questa parte a quota 6,3160, quanto perché il giorno di Natale il Paese del Drago ed il Giappone hanno raggiunto un accordo storico, anche alla luce delle annose divergenze tra le due potenze: d’ora in poi gli scambi commerciali e finanziari tra Pechino e Tokyo avverranno in yuan e yen, senza far ricorso al dollaro. Anzi, lo Yomiuri di Tokyo titola a tutta pagina “Fuga dal dollaro”. Intanto il pil del Brasile ha superato quello della Gran Bretagna. L’economia “carioca” è oggi al sesto posto della graduatoria basata sul pil, dietro Usa, Cina, Giappone, Germania e Francia. L’Italia resta ottava.
METEOBORSA: SU MILANO PESANO GLI AUMENTI. L’Eurozona ha ben poco da festeggiare sia se guarda al bilancio del 2011 che, soprattutto, di fronte ad un 2012 che nasce all’insegna della recessione. Il tutto, naturalmente, sotto la minaccia di un temuto flop nelle aste del Tesoro. Ma i venti di crisi accelerano le necessarie ristrutturazioni. E così Piazza Affari, nonostante il clima semi-festivo, si accinge a vivere almeno due partite da prima pagina: il tramonto dell’era Ligresti in Fonsai; la sorte dell’Impregilo, sempre più incerta dopo l’uscita di scena della stessa Fonsai. In particolare, sarà interessante vedere la reazione del mercato alla prospettiva di un aumento di capitale fino a 750 milioni di euro, deliberata dal consiglio nella serata di venerdì. Una doccia prevista ma non per questo meno fredda.
METEOBORSA. FINALE TIEPIDO A WALL STREET. Riuscirà lo Standard & Poor’s 500 a superare in extremis i livelli dello scorso gennaio? In tal caso i listini americani saranno in pratica gli unici del G20 ad avere passato indenni gli ostacoli degli ultimi 12 mesi. Molto dipende dalle ultime statistiche di fine anno: oggi tocca ai prezzi delle case e, soprattutto, alla fiducia dei consumatori. Potrebbe essere l’occasione della definitiva conferma che l’economia Usa ha ormai imboccato la strada della ripresa seppur a tassi “moderati”. Per i listini del Vecchio Continente, al contrario, l’incognita è rappresentata dalla spada di Damocle delle agenzie di rating: la retrocessione della Francia e di altri membri dell’eurozona è questione di tempo.
EDISON, CONTO ALLA ROVESCIA PER LA PACE ELETTRICA
La società di Foro Buonaparte è precipitata nell’inferno dei junk bond. Lo ha deciso Fitch, dopo l’ennesimo rinvio dell’accordo tra Edf ed i partner italiani. La notizia, pur attesa, ha avuto l’effetto di accelerare i tempi dell’accordo tra i litiganti, primo banco di prova del neo ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera. Si è lavorato sodo a Santo Stefano per trovare un’intesa sul prezzo del grande scambio: il 30% di Edison ad Edf, tutta Edipower alla cordata italiana. Paticolare non da poco: resta fuori dalla pace il 10% di Edison nelle mani di Tassara di Romain Zaleski, ovvero una delle spine più dolorose per ilcreditore banca Intesa.
DA OGGI AL VIA LA NUOVA UNICREDIT:
VALE DIECI VECCHI TITOLI
Effetti della crisi. Da oggi è effettivo il raggruppamento delle azioni di Unicredit: un nuovo titolo ogni dieci vecchi già posseduti. L’operazione riguarda anche i titoli di risparmio. Stamane, quindi, Unicredit riparte dal prezzo di 6,905 euro, contro 10,4 per le risparmio. La novità è stata decisa alla vigilia del prossimo aumento di capitale della banca di Piazza Cordusio. Le frazioni in mano ai soci verranno liquidate dal 2 al 12 gennaio da banca Finnat che ha ricevuto l’incarico da Unicredit. Non resta che ricordare come la “nuova” Unicredit sia oggi vicina ai 7 euro, ovvero il livello di prezzo che avrebbero dovuto raggiungere le vecchie Unicredit per far scattare le stock options per i manager dell’istituto prima della crisi.
EXOR, DOPO IL TURISMO SPUNTA L’IDEA PREMAFIN
Tra I temi “caldi” spicca la reazione dei mercati ad un deal che bolliva da tempo nella pentola di Exor: la cessione di Alpitour. La finanziaria resta (probabilmente su richiesta dei compratori) con un 10% nella società veicolo che per 225 milioni ha acquisito il leader del turismo italiano che sarà affidata dai compratori, i private equity Wise e J. Hirsch più l’italiana Network Capital a Gabriele Burgio, già ad di Nh. La plusvalenza rispetto ai valori di carico è di 85 milioni, di cui 22 reinvestiti in Alpitour. Più o meno la cifra (72 milioni) che Exor ha stanziato per far fronte all’aumento di capitale della Juventus. Ma questo impegno, più gli acquisti di Fiat privilegio e risparmio necessari per mantenere la partecipazione sopra il vincolo dell’Opa non esauriscono di sicuro le energie della capofila del Lingotto. Perciò, prende corpo l’ipotesi che Exor potrebbe partecipare al rafforzamento patrimoniale di Premafin, la “scatola” che controlla la quota di Ligresti in Fonsai. La società ha bisogno di un grande investitore per far fronte all’aumento della compagnia. A favorire un coinvolgimento del gruppo Agnelli c’è la vicinanza di Leonardo & Co., di cui Exor è grande azionista, al dossier Premafin. Oltre al fatto che Sai, domiciliata di fronte a La Stampa, è una vecchia creatura di casa Ifi. Ma soprattutto, non è un mistero che il gruppo, dopo l’uscita da Toro e la cessione della quota in Intesa, oggi non dispone di un polmone finanziario all’altezza delle sue ambizioni. Chissà però se Mediobanca, regista dell’operazione gradirà questo ritorno di fiamma.
FONSAI, MEDIOBANCA BUSSA AI FONDI PRIVATE
Il dossier Fonsai, però, è ormai in bella evidenza su tante scrivanie. Dopo l’ennesima operazione pulizia da cui emergeranno perdite per 925 milioni (al netto del carico fiscale), la compagni dovrà cercare di vendere il vendibile, missione quasi disperata di questi tempi, oppure procedere tout court ad una richiesta di 750 milioni cui non potrà far fronte la famiglia Ligresti. Per questo già sono stati contattati dall’advisor Mediobanca (reduce dal successo dell’operazione Bpm, altra mission all’apparenza impossibile) private come Clessidra, compagnie come Unipol, Cattolica e Vittoria. Sarà comunque necessario procedere alla costituzione di una cordata, cosa non facile perché vanno esclusi i partner legati a Generali, per motivi di antitrust. Altrettanto difficile la cessione ad una compagnia straniera, anche perché, al di là dei proclami tricolori, non si vede questo grande interesse ad entrare nel business italiano, date le prospettive della nostra economia.
IMPREGILO, LA SOLUZIONE PASSA DAL BRASILE
Tra le decisioni più rilevanti del cda Fonsai spicca la decisione di accettare l’offerta della finanziaria Argo (gruppo Gavio) per il 33% di Igli. Grazie a questa mossa il guppo di Tortona potrebbe disporre del 66% della scatola in cui è parcheggiato il 29% di Impregilo. Ma il condizionale è d’obbligo. Atantia, gruppo Benetton, non solo controlla il restante 33% ma dispone di una prelazione per rilevare la metà del socio venditore, cioè Fonsai. Non è affatto escluso che Atlantia eserciti il diritto, salendo così ad una quota di poco superiore al 14% in Impregilo (la stessa di Gavio) per poi allearsi a Salini, già proprietario del 15%. Ma quale sarebbe il cemento dell’unione? Salini ha già espresso la volontà di concentrare Impregilo nel business costruzioni liberandosi delle partecipazioni nelle autostrade americane, cioè Ecorodovias, che in questo momento hanno un valore di Borsa superiore alla stessa Impregilo. Non ci vuole troppa fantasia ad immaginare che Atlantia sia l’acquirente più interessato alle concessioni autostradali, business che non interessa a Salini, deciso a dar vita ad un gruppo che salga nella top ten europea del settore costruzioni. Ma Gavio non starà di sicuro a guardare. Così come i soci di minoranza che temono una “svendita” del tesoro latinoamericano. La prossima mossa, comunque, tocca ai Benetton che hanno 60 giorni di tempo per decidere se esercitare o meno l’opzione su metà della quota Fonsai.