Il contratto nazionale dei metalmeccanici è tra quelli più significativi nel nostro Paese, visto che coinvolge oltre 2 milioni di lavoratori. Ma anche tra quelli più difficili, sia per la situazione in cui versa l’industria e sia per la storica resistenza di Federmeccanica, la Confindustria del settore, a misurarsi con relazioni sindacali avanzate. Non solo, i dati congiunturali relativi alla produzione industriale e alla bassa inflazione non aiutano un quadro già difficile.
Prima della presentazione della piattaforma, a luglio del 2015, sapevamo bene che sarebbe stato un rinnovo complesso, per il contesto
di deflazione, crisi industriale, assenza di regole del sistema contrattuale, tessuto produttivo a prevalenza di piccole imprese, e questi mesi di round negoziali hanno confermato le difficoltà. Federmeccanica è passata da un’offerta iniziale di 2,67 euro di aumento in tre anni, alla volontà di scontare gli aumenti del differenziale inflazionistico di 75 euro portati in più con il Contratto 2012 di Fim-Uilm, fino alla proposta presentata il 22 dicembre scorso. Una proposta rimasta pressoché immutata in questi lunghi otto mesi, e solo in parte innovativa, che in molti casi propone ricette di improbabile efficacia e sostenibilità.
Sul salario, si pensa di adeguare i minimi contrattuali per solo il 5% dei lavoratori, attraverso il meccanismo del cosiddetto salario di garanzia, che di fatto esclude dagli aumenti tutti i lavoratori che hanno superminimi individuali e contratti aziendali. Un meccanismo che non è solo ingiusto, ma che grava maggiormente sulle piccole aziende e quelle più in difficoltà, lasciando libere tutte le altre di erogare superminimi individuali in modo unilaterale, senza alcun aggancio a criteri trasparenti di professionalità e meritocrazia.
Nei paesi avanzati, questa forma di bonus unilaterali sono giustamente considerati “ottocenteschi”. Da questa vecchia impostazione culturale deriva l’ostilità verso uno schema di inquadramento professionale moderno.
Non solo, giuridicamente lo schema di Federmeccanica fa cessare la rilevanza giuridica del nostro Contratto come “prevalentemente” applicato nella categoria e con esso gli effetti verso la sua estensione erga omnes. Per questo, non vi è solo un problema di quantità ma di proliferazione di minimi contrattuali e di contenzioso. In un momento in cui pezzi importanti (dopo Fca, Assonautica e General Electric) lasciano Confindustria, mi sembra un autentica follia autolesionista. Va certamente sottolineato che nella proposta di di Federmeccanica vi sono, finalmente, aperture su rivendicazioni storiche della Fim e del movimento sindacale, quali quelle del diritto soggettivo alla formazione continua, sull’apprendistato e l’alternanza scuola-lavoro, su modalità di lavoro “agile” e di fruizione di permessi per la conciliazione vita-lavoro, sull’estensione della sanità integrativa, sul rafforzamento della previdenza complementare con lo sguardo rivolto soprattutto ai giovani, sulla banca del tempo, ancora da esplorare, per ridurre l’orario in vista della pensione e collegare il “pensionamento dolce” con nuova occupazione e l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.
Altrettanto, non vanno sottaciute le rigidità e le difficoltà frapposte da Federmeccanica all’estensione della contrattazione territoriale per i lavoratori delle piccole aziende. Nei metalmeccanici la contrattazione di secondo livello arriva nel 37% delle imprese(dove lavora il 70% dei lavoratori della categoria), con la territoriale arriveremmo ovunque, rivitalizzando i protagonisti del territorio, oggi in difficoltà di ruolo, tutto insieme nelle sfide di produttività e partecipazione. Siamo ancora indietro sulla riforma dell’inquadramento professionale e al
riconoscimento delle nuove competenze dei lavoratori nella fabbrica in rapida trasformazione e ormai interconnessa, come pure alla proposta sindacale di istituire un fondo bilaterale di sostegno al reddito a fronte della progressiva riduzione della durata degli ammortizzatori sociali a disposizione.
Di innovazione parlano tutti, ma pochi la scelgono con il coraggio necessario e con le priorità giuste. Siamo consapevoli che il salario non potrà essere al centro del rinnovo, ma il richiamo al welfare integrativo come elemento di vetrina non basta. La soluzione sul salario nel contratto insieme ai nuovi diritti sarà decisiva per segnare una vera svolta, nella consapevolezza che Il sistema contrattuale va certamente cambiato, ma non superato, come ipotizza Federmeccanica, rendendo residuale la contrattazione e marginale il ruolo della rappresentanza collettiva.
La sfida è rivolta a tutti, anche a Federmeccanica: va rilanciata la “partecipazione”, non solo il coinvolgimento dei lavoratori, con
una scelta vera di qualità delle relazioni industriali, di un terreno più avanzato e virtuoso di incontro tra impresa e lavoro organizzato. Questo è un contratto che sconta l’ultima campana del cambiamento suonata per i corpi intermedi e le relazioni industriali e del lavoro. Da settembre possiamo proseguire tutti nei propri “riti propiziatori” di cui parlava Ezio Tarantelli o provare a reagire con una vera svolta verso i nuovi approdi indispensabili della partecipazione e della democrazia industriale.