Il 2022 è stato l’anno dei licenziamenti di massa per gran parte dell’industria tecnologica, in particolare per le Big tech, in controtendenza rispetto gli ultimi anni in cui il settore ha vissuto una perenne espansione. L’ultima in ordine di tempo è Amazon che ha annunciato la fine del contratto per 18 mila dipendenti, il taglio di forza lavoro più massiccio della sua storia. “Nessun settore della compagnia sarà immune dai tagli”, ha comunicato il Ceo Andy Jassy in un messaggio inviato ai dipendenti. Prima del colosso dell’e-commerce, però, ci sono stati altri mega tagli. Meta, la casa madre di Facebook, aveva annunciato di recente il taglio di 11 mila persone. Mentre Twitter quasi 4 mila persone, più o meno la metà della sua forza lavoro, dopo l’arrivo di Elon Musk a capo del social network (altri invece se ne sono andati volontariamente).
Differentemente da quello che accade in Italia, in cui queste figure professionali sono le più ricercate dato lo scarso bacino disponibile, nella Silicon Valley gli ingegneri vengono licenziati in massa. Ma non tutti quelli che perdono il lavoro nella Bay Area sono destinati a rimanere con le mani in mano. I talenti tecnologici rinascono dalle proprie ceneri. E ci sono molti ex dipendenti che dal licenziamento hanno saputo cogliere un’opportunità.
Big tech e i licenziamenti in massa: nel 2022 150 mila tagli
Nel 2022 sono stati licenziati circa 152mila dipendenti da oltre 1.000 aziende. È la fotografia del sito Layoffs.fyi, che registra i tagli di posti di lavoro in tutto il settore. È il numero più alto di licenziamenti su base annua per il comparto tecnologico dal 2002, dopo il crollo della bolla delle dotcom. Un altro rapporto della società Challenger, Gray & Christmas, che segue il mercato del lavoro dal 2000, afferma che il picco maggiore di licenziamenti si è registrato a novembre, con quasi 53mila tagli.
Anche le aziende più piccole hanno dovuto cavalcare l’onda dei licenziamenti di massa: Stripe, società di pagamenti e Noom, l’app per la salute e il fitness, hanno licenziato a testa più di 1.000 persone. Anche Kraken, la borsa delle criptovalute, ha licenziato circa 1.100 dipendenti. Un caso esemplare è quello della startup Peloton, fornitrice di una bike-domestica, molto ricercata durante i lockdown, ma meno desiderata nel post Covid, con conseguente crisi della società.
Ma non si tratta solo di licenziamenti, c’è anche chi ha congelato le assunzioni come Google.
Ma cosa è successo? È l’inizio della fine per le Big tech?
Il ruolo della pandemia e della guerra in Ucraina
Alla base di questo drammatico declino ci sono diverse cause.
Diversamente da altri settori, la pandemia da Covid non ha avuto un impatto negativo sul settore tecnologico. Anzi, c’è stata una vera e propria accelerazione della digitalizzazione che ha richiesto una quantità massiccia di forza lavoro. Ma con il ritorno alla normalità, e la fine del lockdown, i giganti della tecnologia hanno dovuto correggere l’eccesso di assunzioni.
Poi l’instabilità dei mercati, innescata dalla guerra in Ucraina, non ha sicuramente aiutato. L’aumento dei tassi di interesse da parte delle banche centrali, per congelare l’impennata dell’inflazione, ha reso gli investitori più cauti nell’erogazione di capitali, esortando al contempo le società presenti nel loro portafoglio a preservare la liquidità.
Ma perchè tagliano? Perché la loro crescita è inferiore alle attese. E le loro valutazioni sono basate sulle aspettative di crescita esponenziale. E se questa rallenta, la loro capitalizzazione crolla.
Un’altra causa del declino delle Big tech è sicuramente l’ingresso nel mercato di nuovi competitors. Per oltre un decennio le Big tech sono state sinonimo di concentrazione dei mercati: Google aveva il primato delle ricerche online, Facebook quello dei social media. O Netflix una delle prime piattaforme streaming, ad oggi deve fare i conti con la concorrenza di Disney, Apple, Amazon e tante altre.
Tutti questi fattori hanno segnato una brusca frenata alla parabola delle Big tech per come l’abbiamo conosciuta in questi ultimi dieci anni. Fatta solo di profitti e incrementi record. Ma il 2022 ha segnato l’anno più buio per i giganti dell’hi tech, che hanno visto i loro patrimoni ridimensionarsi. E le aziende hanno dovuto intraprendere una strada diversa, quella del contenimento dei costi, che si traduce solitamente in mega tagli alla forza lavoro.
Dalla crisi dei colossi tecnologici, nascono nuove opportunità
Il talento della Silicon Valley non viene messo in cantina, anzi continua ad avere un mercato, magari diverso da quello che uno si aspetta: migliaia di persone licenziate ha trovato impiego nell’amministrazione pubblica o in aziende di settore diversi. Perché la digitalizzazione ha investito tutti i settori, come l’industria alimentare, le banche, ma anche la medicina: tutti cercano esperti tecnologici.
Ma anche gli investitori sono pronti ad approfittarne. Ad esempio, Day One Ventures, un fondo di investimento in capitale di rischio per start up, il 13 novembre 2022, ha lanciato a San Francisco una iniziativa per finanziare proprio quelle fondate da chi è stato licenziato dalle Big tech. Si chiama “Finanziato, non licenziato”.
Il fondo ha detto che solo nel giorno di lancio sono arrivate 1.000 domande. E la maggior parte di queste arriva da ex dipendenti di Meta e Twitter. “Stiamo investendo 2 milioni di dollari in 20 aziende”, ha raccontato Masha Bucher, cofondatore del fondo, a Reuters. “Se troviamo un solo unicorno tra questi (ovvero una società che raggiunge una valutazione da un miliardo di dollari), il fondo ritorna nel suo investimento. Il che credo sia un’opportunità unica per noi gestori”.
Così alla fine l’effetto dei licenziamenti di massa nella culla della tecnologia mondiale sta producendo una diffusione di conoscenze che finiranno per confluire in altre aziende, anche lontane dal mondo delle Big tech, o in realtà più piccole ma che potrebbero vivere l’inizio di una nuova e più fortunata era.