“Stiamo vivendo la più lunga recessione del secondo dopoguerra, dopo un periodo nel quale l’Italia ha registrato la più bassa crescita in un’area del mondo come l’eurozona che, a sua volta, è cresciuta meno delle altre. E se tutto ciò non bastasse, non scordiamoci che nell’Europa dell’euro l’Italia ha la peggior dinamica della produttività, il maggior peso del debito pubblico sul PIL dopo quello della Grecia e una pessima performance negli indicatori di competitività ambientale. Di tutto questo si parla poco in campagna elettorale, ma il futuro governo non potrà che partire da qui per invertire la rotta”. Marcello Messori, ordinario di Economia politica alla Luiss ed economista tra i più rinomati, non fa sconti a nessuno e non nasconde che la strada del futuro governo non potrà essere che in salita. Il perché lo spiega in questa intervista a FIRSTonline.
FIRSTonline – L’emergenza finanziaria è finita, ma la recessione morde, l’euro forte frena l’export e gli scandali societari arrivano a grappoli: professor Messori, da dove dovrà partire il nuovo governo per portare l’Italia fuori dal tunnel?
MESSORI – L’evidenza empirica mostra che il nuovo governo dovrà perseguire due obiettivi, per molti versi in attrito. Da un lato, l’evoluzione dell’Unione europea lascia margini di manovra sempre più ridotti alle politiche economiche nazionali; pertanto, l’Italia dovrà proseguire il graduale consolidamento del suo debito pubblico nel rispetto dei vincoli europei. Dall’altro lato, il nostro Paese è affamato di sviluppo perché, negli ultimi venti anni, il blocco della crescita si è accompagnato alla chiusura rispetto al cambiamento e all’aumento delle diseguaglianze sociali. La scommessa, che il nuovo governo dovrà vincere, è perciò molto ardua: portare avanti le riforme strutturali e aprire il sistema all’innovazione, mantenendo l’equilibrio del bilancio pubblico e rafforzando le tutele sociali per le fasce più deboli della popolazione e per i ceti medi. Come se questo non bastasse, il nuovo governo non potrà contare sulla compattezza del ceto dirigente. Pur avendo evitato la bancarotta grazie al governo Monti e pur mantenendo sacche di vitalità nel settore manifatturiero, l’Italia è infatti martoriata da scandali societari che testimoniano il disprezzo delle regole e l’assenza di ogni valore condiviso da parte delle sue supposte élite. Insomma, i vecchi equilibri sono saltati e il Paese rischia di andare a pezzi.
FIRSTonline – Quali sono le prime cose da fare nella nuova legislatura?
MESSORI – Nella speranza che il voto garantisca la governabilità, le priorità mi sembrano quattro: 1) migliorare l’ambiente economico offrendo certezze, a partire dal saldo immediato di tutti i debiti che la Pubblica amministrazione ha accumulato nei confronti delle imprese; 2) spingere le parti sociali alla stipula di un patto finalizzato alla crescita e basato sull’innovazione, mettendo sul piatto l’impegno per le riforme ‘ambientali’; 3) finanziare un sistema di ammortizzatori sociali universali mediante la razionalizzazione degli aiuti alle imprese, in modo da far sì che i percettori di redditi bassi e medi accettino quei cambiamenti strutturali di cui il Paese ha bisogno per crescere; 4) rispettare le regole europee di riduzione del rapporto debito pubblico/PIL anche grazie a un abbattimento straordinario del debito, facendo leva su uno spettro ampio di interventi che non siano coercitivi e che non creino ‘carrozzoni’ pubblici.
FIRSTonline – Per crescere bisognerebbe spingere sugli investimenti e sui consumi; e in campagna elettorale tutti promettono, sia pure in varia misura e secondo tempistiche diverse, di ridurre le tasse sulle imprese e sulle famiglie: è una prospettiva realistica?
MESSORI – No, non lo è, almeno nel breve periodo. Spero che il futuro governo abbia il coraggio di dire la verità agli italiani: non possiamo partire dall’abbassamento delle tasse, se non vogliamo compromettere gli equilibri nei conti pubblici e/o ridurre le tutele sociali. E’ vero che, qualche giorno fa, l’Unione europea ha allungato i tempi di realizzazione del pareggio di bilancio per i Paesi in temporanea difficoltà ma in grado di attuare riforme. Nel caso dell’Italia, l’elevatissimo debito pubblico e l’urgenza di saldare le pendenze verso le imprese (facendo così emergere un debito di fatto preesistente, ma nascosto dalle regole contabili europee) indicano però che la riduzione delle tasse presuppone un taglio selettivo, strutturale ed equo della spesa pubblica; e tale taglio richiede di completare una capillare spending review. Con ciò non voglio negare che, in Italia, la pressione fiscale verso le imprese e verso i redditi medi e bassi sia eccessiva. Nel medio periodo le tasse andranno ridotte; e il nuovo governo dovrebbe impegnarsi a destinare tutti i proventi, derivanti dalla lotta all’evasione, e la riduzione di spesa pubblica, eccedente i vincoli europei, a una corrispondente riduzione delle imposte.
FIRSTonline – Ma senza incentivi sostenibili per consumi e investimenti la crescita diventa un miraggio. O no?
MESSORI – Non penso che la ripresa economica italiana possa basarsi su un boom delle esportazioni nette e su un forte rilancio dei consumi interni. La via dello sviluppo della nostra economia è un’altra. Sul breve termine, la crescita italiana poggia su un rilancio della domanda aggregata europea fondata sui project bond per il finanziamento di progetti infrastrutturali immateriali e materiali, su un ampliamento (anziché una riduzione) del bilancio europeo e su un parziale e sorvegliato scorporo delle spese nazionali per investimenti dal computo della spesa pubblica (la cosiddetta golden rule). Questa spinta di breve termine potrebbe facilitare il varo di riforme, capaci di accrescere la nostra competitività di medio periodo e di aumentare i redditi da lavoro dipendente. Il che stimolerebbe investimenti e consumi interni.
FIRSTonline – Ammesso e non concesso che prima delle elezioni del prossimo autunno la Germania sia disponibile a una politica europea di sviluppo e che l’euro non strozzi la competitività italiana e francese più di quanto non stia già avvenendo, è sul piano interno che la partita non è chiusa: il governo Monti ci ha salvato dalla bancarotta ma da destra e da sinistra si levano fieri propositi di cancellare le riforme e il risanamento perseguiti dal governo uscente. Lei che ne pensa?
MESSORI – Tornare indietro rispetto alle scelte, compiute dal governo Monti per rassicurare i mercati finanziari e recuperare credibilità in Europa, sarebbe davvero avventato. Anche se taluni interventi del governo Monti sono discutibili, la credibilità italiana verso l’Unione europea è la condizione essenziale per attuare le quattro priorità, prima esaminate, che sono essenziali per una strategia di sviluppo.
FIRSTonline – Ma contro le riforme c’è un fortissimo blocco conservatore trasversale di destra e di sinistra che impedisce la modernizzazione del Paese; e in questo blocco non si può non vedere l’immobilismo dei sindacati e soprattutto della Cgil: non crede?
MESSORI – L’innovazione e il cambiamento saranno sempre osteggiati da chi detiene posizioni di rendita, dalle lobby e da chi teme di essere emarginato senza protezioni. Per evitare che i ceti più deboli si oppongano a cambiamenti che pure dovrebbero ridurre le diseguaglianze nel medio periodo, è necessario irrobustire le tutele sociali. Inoltre, un Paese frammentato come l’Italia non può affidarsi solo al mercato e allo Stato. Esso necessita di articolate istituzioni intermedie e, quindi, anche di forti sindacati e di forti rappresentanze dei datori di lavoro. L’essenziale è che tali corpi intermedi non si ostinino a difendere un passato ormai inefficiente, trasformandosi in lobby. Resto peraltro convinto che, di fronte a un progetto affidabile di cambiamento disegnato da un governo autorevole e inclusivo, tutte le parti sociali torneranno a svolgere un ruolo di propulsione anziché di freno.
FIRSTonline – Intanto la campagna elettorale finisce sotto una pioggia di scandali finanziari: le regole e i controlli non possono essere solo nazionali, ma non pensa che occorra un colpo d’ala – dal ripristino del falso in bilancio alla fine dei condoni – di una classe dirigente degna di questo nome?
MESSORI – Le norme, le regole e i controlli vanno rafforzati, specie riguardo agli esempi da lei citati; inoltre, è urgente definire standard europei e costruire sistemi europei di vigilanza. Se possibile, per il nostro Paese la sfida è però ancora più ambiziosa. Come ho prima accennato, l’attuale pioggia di scandali mostra un’élite priva di regole e di obiettivi condivisi, che non aiuterà certo il governo nella sua opera di cambiamento e di modernizzazione. Tuttavia, da almeno trent’anni, una parte ampia e crescente delle élite italiane ha perseguito posizioni di rendita e si è opposta a ogni innovazione. Pertanto la rottura di tale blocco sociale, se comporta rischi di frammentazione, apre anche irripetibili spazi di cambiamento. Se vogliamo ripristinare un’etica pubblica, rinnovare il ceto dirigente e aprire il Paese, l’occasione non può essere persa: lo facciamo ora o mai più.
FIRSTonline – Gli scandali hanno pesantemente investito le banche ma la malattia del mondo del credito non può ridursi a questo; sembra finita l’epoca dei profitti facili e il futuro è molto incerto. Qual è la sua opinione?
MESSORI – Penso che, al di là degli scandali, si stia esaurendo il modello finanziario italiano. Si è trattato di una forma peculiare di bancocentrismo, in cui le nostre banche hanno offerto finanziamenti più efficienti alle imprese perché hanno estratto abnormi profitti dai servizi offerti alle famiglie, sfruttando un quasi monopolio nell’intermediazione della ricchezza finanziaria. Ora la redditività strutturale delle banche italiane è molto bassa, perché schiacciata dal peso dei crediti ‘cattivi’ e dall’aumentato costo della raccolta. E’ tempo di inventare un nuovo modello finanziario che sia meno bancocentrico e più aperto al mercato: meno credito bancario e più corporate bond. La fase di transizione va, però, gestita da banche sane. Ecco perché è necessario un parziale assorbimento delle sofferenze e dei crediti dubbi da parte del mercato. La via è quella di rilanciare un mercato delle cartolarizzazioni che sia ben regolamentato.
FIRSTonline – Lei è stato un oppositore storico delle Fondazioni: deve cambiare anche il loro ruolo?
MESSORI – Nel nuovo modello finanziario italiano, la struttura proprietaria delle banche dovrà essere più aperta e le fondazioni dovranno dismetterne il controllo (anche congiunto). A differenza di dieci o quindici anni fa, oggi è però velleitario porre il problema: gli investitori internazionali non fanno certo la fila per acquistare intermediari finanziari a bassa redditività. Nella transizione sarebbe peraltro importante che le Fondazioni assumessero l’obbligo di adottare il nuovo codice etico, varato dalla loro associazione, e fossero pronte ad affidarne l’affinamento e l’applicazione a un ente esterno di collaudata credibilità.