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Messori: “Il nuovo Mes è un’opportunità per l’Italia”

Imagoeconomica

Intorno al Mes, il fondo salva Stati, infuria la polemica. Volano parole grosse tra i vari schieramenti politici, superando sempre più spesso non solo la buona educazione ma anche la necessaria compostezza istituzionale, che è la prima regola di qualsiasi politico per non danneggiare l’immagine internazionale e l’interesse del Paese. Quasi mai si entra nel merito delle modifiche da apportare allo statuto del Mes e dei vantaggi che il rafforzamento di questo strumento può portare all’Italia, oltre naturalmente ad una realistica valutazione delle sue criticità.

Marcello Messori, che dirige alla Luiss la School of European Political Economy, segue da anni i problemi europei. A lui abbiamo chiesto un’opinione sul Mes, cercando di fare chiarezza sulle tante affermazioni sbagliate fatte in questi giorni dai politici, ma anche da molti giornalisti, che si sono buttati sulla notizia senza approfondire un argomento che, oggettivamente, non è di semplice e d’immediata comprensione.

ALTRI DUE FONDI PRECAUZIONALI

“In primo luogo – afferma Messori – vorrei sottolineare che, a differenza di quanto sostengono alcuni sovranisti circa una carenza di solidarietà in Europa, il Mes è proprio un meccanismo di condivisione del rischio, un fondo che serve proprio per dare tranquillità ai Paesi dell’eurozona che in caso si trovassero in difficoltà, l’intera comunità dispone ora di uno strumento (che mancava nel 2009) per fornire loro un aiuto finanziato da tutti gli altri Paesi. In secondo luogo sono stupito che nessun politico e nessun commentatore abbia sottolineato che oltre al fondo volto a salvare gli Stati in difficoltà, ci sono due fondi precauzionali. Il primo riguarda paesi che sono sostanzialmente in regola con i parametri di deficit e debito europei, ma che potrebbero essere contagiati da crisi altrui, che potranno ricevere aiuti senza particolari condizioni. Il secondo, che viene trascurato anche da commentatori attenti come Alessandro Penati, riguarda i Paesi che non rispettano i parametri Ue ma che hanno un’economia robusta. Per questi Paesi è previsto un accesso al fondo a patto che accettino alcune condizioni riguardanti la necessità di riequilibrio della finanza pubblica e l’aumento della produttività del proprio sistema economico. Insomma, devono sottoscrivere un memorandum of understanding impegnandosi a fare delle azioni di risanamento che del resto sono nell’interesse dei cittadini del Paese stesso. In questo caso non si parla affatto di ristrutturazione del debito. Questa possibilità di ottenere credito dal Mes è un punto importante e positivo per paesi come Il nostro se riuscisse a fare una politica di effettivo risanamento e rilancio dell’economia. Per questo non sembra logico non partecipare al fondo.”

LA POSSIBILE RICHIESTA DI RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO

Questi due fondi sono diversi da quello principale che scatta su richiesta del Paese in difficoltà e che richiede una procedura di valutazione da parte del Mes stesso e della Commissione di Bruxelles sulla sostenibilità del debito. Esame che potrebbe condurre anche alla richiesta di una ristrutturazione del debito stesso prima di avere un aiuto da parte del fondo.

“Certamente, ed è proprio su queste nuove procedure che si sono appuntate le critiche politiche che hanno enfatizzato e distorto alcuni appunti tecnici sul funzionamento del fondo. In sostanza, alcuni economisti dei Paesi del nord europeo premevano per evitare che il paese creditore fosse costretto a ripagare i debiti del Paese in dissesto, e per questo insistevano sulla necessità di coinvolgere in primo luogo i creditori privati, in modo da abbassare il debito stesso e solo dopo far ricorso a persistiti da parte del Mes, che è finanziato direttamente dai singoli Stati. L’obiezione che abbiamo fatto a questa teoria è che così si rischia di ottenere un risultato opposto a quello voluto, cioè si peggiorano le aspettative del mercato sui titoli di un dato paese che ha un alto debito, accelerando di conseguenza la sua entrata in crisi. Per questo gli italiani si sono battuti per togliere qualsiasi riferimento esplicito alla ristrutturazione e soprattutto per evitare l’introduzione di parametri rigidi sulla base dei quali calcolare la sostenibilità del debito. Per gli speculatori sarebbe stato molto facile calcolare il punto di rottura e speculare contro quello Stato, già fragile, portandolo sull’orlo della crisi. E questo risultato è stato ottenuto.”

LA POLEMICA SUL “SALVATAGGIO DELLE BANCHE TEDESCHE”

C’è un secondo punto che ha suscitato roventi polemiche. Si dice che la facoltà del Mes di finanziare le banche in crisi serve essenzialmente al salvataggio delle banche tedesche e quindi noi saremmo costretti a trasferire risorse alla ricca Germania che invece rifiuta di aiutarci.

“Non credo proprio che questa polemica abbia un fondamento. Il Mes potrà intervenire come supporto del fondo comune di risoluzione interbancario che a sua volta interviene a favore della Banca in difficoltà in un certo Paese, dopo che con l’applicazione del Bail in gli oneri del fallimento sono stati scaricati sugli azionisti, sugli obbligazionisti e sui depositanti con giacenza superiore ai 100 mila euro. Se questi soldi non dovessero bastare, interverrebbe il fondo di risoluzione europeo fino ad un 5% degli attivi della Banca. Nel caso ci fosse bisogno di ulteriori fondi interverrebbe il Mes. Si tratta di una eventualità remota dato che finora mai nessun fallimento bancario ha richiesto fondi per un ammontare del 10-12% del proprio attivo.”

IL MES È UN SEGNO DI SFIDUCIA VERSO IL SUD EUROPA?

Nel complesso però alcune caratteristiche di questa riforma testimoniano una profonda sfiducia verso la capacità o volontà di alcuni paesi del Sud Europa di mettere ordine nelle proprie finanze pubbliche e quindi si cerca di costruire un cordone di protezione rispetto alla loro eventuale crisi, in più inasprendo le condizioni per un loro salvataggio. Facile vedere in queste clausole una sfiducia verso l’Italia, che non sta dando segnali convincenti di voler ridurre il proprio debito.

“C’è sicuramente uno spostamento del potere dalla Commissione di Bruxelles verso un organo più tecnico che rappresenta non tanto l’interesse generale della Comunità, ma i Paesi creditori che vogliono essere sicuri di veder tornare indietro il loro denaro. Ma alla base di tutto questo c’è il problema del nostro debito che, a differenza di quello che hanno fatto altri paesi tra cui la Spagna ed il Portogallo, noi non riusciamo a ridurre. Anzi lo scorso anno abbiamo accompagnato una politica di aumento delle spese pubbliche con dichiarazioni esplicite di non voler rispettare le regole Ue, che si trattava di regole sbagliate e che noi avremmo fatto quello che ci pareva.”

COME AFFRONTARE IL PROBLEMA DEL DEBITO

Il problema quindi sta proprio nel nostro debito. Da un lato impaurisce gli altri paesi europei che temono il contagio derivante da una crisi italiana, e dall’altro è un freno alla nostra crescita, tanto che sono molti anni che il nostro PIL cresce ad un tasso che è circa la metà di quello europeo, o nei momenti di crisi scende più degli altri, tanto che siamo l’unico Paese a non aver recuperato ancora il livello di reddito del 2008. C’è una strada realistica che può portarci fuori dalla stagnazione senza passare per un drammatico default, e senza fare drastici sacrifici come avvenuto in Grecia?

“Certo che è possibile. Non facile, ma possibile, e noi lo stiamo dicendo da anni. L’obiettivo è quello di agire sia sul numeratore della frazione debito/Pil sia sul denominatore cioè sull’accelerazione della crescita. Non dobbiamo puntare tutto sulla riduzione della spesa e sulla promessa di ridurre le tasse. Bisogna prendere atto che queste promesse non si sono mai realizzate. E quando qualcuno ha provato a ridurre le tasse con aumento del deficit le conseguenze sulla crescita sono state negative, cioè siamo entrati in stagnazione. Occorre quindi fare un programma di ricomposizione della spesa e di ristrutturazione delle tasse. Bisogna rendere la spesa più efficiente senza mettere paura alla gente affermando di voler ridurre il welfare, ma mostrando come si potrebbe fare per renderlo più efficiente. Analogo il discorso sul sistema di tassazione, ormai un vestito di Arlecchino poco efficace e fonte di distorsioni. Bisogna prima razionalizzare il sistema e poi pensare a ridurre il peso del fisco.”

Ma per attuare queste riforme e vederne i risultati ci vuole un certo periodo di tempo. Come colmare questo divario temporale mantenendo il consenso dei cittadini italiani abituati a sentire dai politici solo promesse di regali di vario tipo e mai un progetto a medio termine con il chiaro obiettivo di far aumentare il Pil?

“Se si riuscisse ad impostare una politica credibile sia verso i propri cittadini, sia verso i partner internazionali, credo che potremmo avere degli aiuti concreti da parte dell’Europa, compreso un eventuale ricorso a quella linea di credito precauzionale di cui si parlava all’inizio. Questo potrebbe aiutarci a far scendere più rapidamente il nostro spread e quindi il peso degli interessi che dobbiamo pagare. Certo, bisognerebbe negoziare un accordo contrattuale con le autorità europee serio ed impegnativo, ma sono sicuro che oggi Ci sia un sincero interesse da parte di tutti gli altri paesi al risanamento dell’Italia e quindi la forza politica che volesse scommettere sulla Ue e fosse in grado di convincere gli italiani che un serio risanamento è possibile e che questo è nel vero interesse di tutti, troverebbe un atteggiamento molto positivo presso gli altri governi. Allo stesso tempo, si potrebbe sperare sul fatto che il miglioramento delle aspettative di mercato nei nostri confronti potrebbe portare ad una più rapida riduzione dei tassi d’interesse e ad un aumento degli investimenti anche esteri. Sarebbe l’innesco di un circolo virtuoso, dopo aver patito tante spirali negative figlie delle illusioni diffuse a piene mani da politici tutti concentrati sul presente e incuranti degli ostacoli disseminati sulla strada del futuro.”

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