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Messico: il Pil rallenta (+1,5%) per effetto-Trump ma non solo

Come riporta l’ultimo studio Atradius, l’economia del Messico stava già registrando una performance debole prima delle elezioni presidenziali americane di novembre 2016: lo scorso anno il pil è cresciuto soltanto del 2,3% a causa soprattutto della riduzione dei prezzi e della produzione del petrolio, politiche fiscali più rigide e bassa crescita della produttività. In questo senso, gli attuali problemi di politica interna, in particolare l’instabilità sul piano della sicurezza e la corruzione diffusa, continuano ad avere un impatto negativo sul livello di fiducia delle imprese e dei consumatori, senza dimenticare l’incertezza nei confronti delle future politiche statunitensi.

Ecco allora che la crescita del PIL messicano dovrebbe rallentare ulteriormente quest’anno, portandosi all’1,5%. Le rimesse da parte dei lavoratori messicani negli USA ammontano a circa 25 miliardi di dollari all’anno, l’importo più alto a livello mondiale: in questo contesto, gli eventuali ostacoli a questi trasferimenti, come ad esempio una potenziale tassa statunitense, potrebbero ridurre il valore netto delle rimesse, con un impatto sulla fiducia dei consumatori e sui consumi privati. L’effetto sul totale dell’economia sarebbe tuttavia limitato in quanto le rimesse rappresentano soltanto il 2,2% del PIL messicano. Inoltre, l’indebolimento del Peso ha aumentato in modo significativo il valore delle rimesse, su salari in Dollari, in termini di valuta locale.

L’economia del Messico è fortemente dipendente dagli USA: i canali diretti attraverso i quali le politiche statunitensi potrebbero ripercuotersi sull’economia messicana sono commercio, investimenti e, in misura minore, rimesse e immigrazione. Inoltre, il Messico è indirettamente esposto agli effetti globali più ampi delle politiche del Presidente Trump: questa vulnerabilità si riflette nelle maggiori oscillazioni del Peso e nella perdita di fiducia a partire dalle elezioni di novembre. La retorica protezionista di Washington è stata specificatamente rivolta al Messico e le relazioni diplomatiche si sono fatte piuttosto turbolente; è soprattutto l’incertezza legata alle politiche commerciali (cosa sarà realizzato e cosa sarebbe attuabile al di fuori del sistema di risoluzione delle controversie dell’OMC) ad essere diventata un nodo cruciale per quanto riguarda le prospettive del Messico. Tuttavia, a partire da gennaio la situazione è decisamente migliorata dal momento che l’amministrazione statunitense sembra voler adottare un approccio più tradizionale e pragmatico nella sua politica commerciale. Il livello di fiducia delle imprese e dei consumatori ha registrato un miglioramento a partire, rispettivamente, da febbraio e marzo, anche se le prospettive per il Messico continuano ad essere incerte. Nel 2015 le esportazioni dirette negli USA hanno rappresentato oltre l’80% dell’export messicano e il 26% del PIL. Il Peso ha subito una svalutazione del 15% verso il Dollaro statunitense nel periodo tra l’elezione di Donald Trump e il suo insediamento lo scorso gennaio. Tuttavia, dopo l’insediamento del nuovo Presidente USA il Peso ha recuperato ed è al momento la valuta più forte a livello mondiale. Inoltre, la forte integrazione delle catene di approvvigionamento tra USA e Messico potrebbe avere un impatto negativo anche su alcune grandi imprese statunitensi e ciò potrebbe frenare l’imposizione di dazi penalizzanti da parte dell’amministrazione americana.
Nonostante la recente rivalutazione, quest’anno l’inflazione dovrebbe mantenersi al di sopra dell’obiettivo del 4% a causa dell’aumento dei prezzi del petrolio e degli effetti di base. Nell’intento di proteggere la valuta e prevenire ulteriori pressioni inflazionistiche, la Banca del Messico ha aumentato più volte il tasso d’interesse di riferimento (dal 4,25% di luglio 2016 al 6,50% di fine marzo 2017), con un impatto negativo sulla domanda interna. Allo stesso tempo, grazie al deprezzamento del cambio, le esportazioni messicane sono diventate meno costose in termini di dollari: lo scorso marzo l’export è cresciuto del 14,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Tuttavia, l’effetto positivo non ha interessato tutte le imprese messicane dal momento che una quota importante delle esportazioni del settore manifatturiero ha un contenuto d’importazioni dagli USA relativamente più costoso. Inoltre, le imprese che dipendono da beni importati e/o che hanno debiti denominati in dollari privi di copertura contro i rischi di cambio stanno scontando un impatto negativo sui propri flussi di cassa, con un ripercussioni sul ritardo dei pagamenti. Le difficoltà di accesso al credito limitano la capacità di rimborsare interessi e capitale e/o di rinnovare le linee di finanziamento e ciò potrebbe provocare la violazione degli obblighi finanziari e persino il fallimento, soprattutto nel caso delle imprese che sono già in crisi dal punto di vista finanziario. La situazione potrebbe aggravarsi nel 2017 a causa dell’aumento dei tassi d’interesse statunitensi, che faranno crescere ulteriormente i costi di finanziamento esterno. In particolare, le imprese attive nel segmento dell’edilizia pubblica sono in crisi a causa dell’austerità di bilancio, iniziata ben prima della presidenza Trump: i tagli alla spesa pubblica hanno spinto a rimandare molti progetti infrastrutturali, tra cui centrali elettriche e aeroporti, e a ridurre gli investimenti nel settore energetico nonostante la recente riforma. Questa tendenza potrebbe accelerare nel caso di un ulteriore rallentamento dell’economia, facendo crescere il numero delle inadempienze.
Il Messico beneficia di elevati investimenti diretti esteri che rappresentano il 44,3% del PIL e di cui oltre il 40% proviene dagli USA. Negli ultimi dieci anni quasi la metà di questi investimenti ha interessato il settore produttivo, il più dipendente dalle catene integrate di approvvigionamento degli accordi NAFTA. E, secondo gli analisti, l’incertezza legata alla rinegoziazione e alla temuta abolizione del NAFTA causerà una drastica riduzione degli investimenti nel settore manifatturiero. Gli investimenti di portafoglio sono altrettanto elevati e lo scorso anno sono stati pari a ben oltre il 268% delle riserve internazionali del Paese. Il Messico è, dunque, vulnerabile alle oscillazioni della fiducia del mercato a causa delle natura a breve termine di questo tipo d’investimenti che potrebbero essere revocati se dovesse scendere il livello di fiducia, a differenza degli investimenti diretti a lungo termine in beni patrimoniali. Tuttavia, questo afflusso elevato d’investimenti di portafoglio riflette anche il livello di sviluppo del mercato finanziario messicano. Ecco allora che Atradius prevede il flusso degli investimenti diretti esteri mantenersi solido nel medio termine, anche nel settore manifatturiero. Inoltre, molte imprese statunitensi che producono in Messico esportano in altri mercati non-USA e non dovrebbero quindi risentire dell’imposizione di dazi doganali da parte dell’amministrazione americana. In questo senso, nonostante i problemi strutturali il vantaggio competitivo della localizzazione della produzione in Messico potrebbe essere preservato, a beneficio degli investimenti a medio/lungo termine.
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