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Messico, è scontro con gli Usa sull’elezione diretta dei giudici

Il Paese latino, che è il primo partner commerciale degli Stati Uniti, sta approvando una riforma costituzionale che stravolgerebbe il sistema giudiziario, legandolo al consenso popolare. Scettica Washington: “Democrazia a rischio”

Messico, è scontro con gli Usa sull’elezione diretta dei giudici

Far eleggere i giudici direttamente dal popolo. In Italia il nostro sistema non lo prevede assolutamente, anche se l’idea ha sempre stuzzicato il centrodestra (l’ultimo, pochi anni fa, è stato il leader della Lega Matteo Salvini), ma in altre parti del mondo questa pratica è ammessa, come negli Stati Uniti, o sta per diventarlo, seppur tra mille polemiche, come in Messico. Ed è un paradosso che la riforma proposta nel Paese centroamericano stia portando ad uno scontro proprio con i vicini a stelle e strisce, fautori di un sistema che in questo caso invece, stando alle parole dell’ambasciatore americano in Messico Ken Salazar, “costituirebbe una minaccia per la democrazia messicana, esponendo il potere giudiziario all’influenza della criminalità”.

In realtà, la riforma che è un pallino dell’ex presidente Lopez Obrador e che spetta alla nuova presidente Claudia Sheinbaum (che entra in carica il 1° ottobre) finalizzare, ha come obiettivo proprio quello di sradicare la corruzione dai tribunali, un fenomeno che in Messico è dilagante, così come la criminalità, che nei sei anni di governo Amlo è letteralmente esplosa, registrando la media più alta della storia con 30.000 omicidi l’anno. In questo contesto, la sfiducia dei cittadini nei confronti del sistema giudiziario è scesa ai minimi storici, mentre è aumentata quella nelle forze dell’ordine: appena 39 messicani su 100 giudicano accettabile l’operato dei tribunali, mentre due terzi di loro sono convinti che giudici e magistrati siano corrotti.

La nuova legge in Messico scatena polemiche e scioperi

Sull’onda di questa percezione, in parte pure sostenuta dai dati (la corruzione è stata stimata in 2 miliardi di pesos), la riforma vorrebbe dunque introdurre l’elezione diretta sia dei giudici della Corte Suprema che di quelli dei vari tribunali federali e statali, oltre che del Tribunale Elettorale. La Corte Suprema passerebbe anche da 11 a 9 membri, con il mandato ridotto da 15 a 12 anni e un tetto salariale più basso, non superiore a quello del Presidente della Repubblica (attualmente può esserlo). Trattandosi di una riforma costituzionale, serve una maggioranza qualificata e questa alla Camera, dove il partito di Amlo e Sheinbaum, Morena, ha un numero ampiamente sufficiente di deputati, è già stata ottenuta, mentre ora la palla passa al Senato, dove invece la compagine di governo non dispone della maggioranza assoluta ed è in cerca di accordi e “stampelle”.

La nuova legge ha intanto già scatenato l’indignazione e le proteste degli addetti ai lavori, che minacciano scioperi in nome dell’autonomia dei poteri, ma soprattutto è diventata un caso internazionale. Sulla vicenda, infatti, hanno messo bocca gli Stati Uniti, che in nome del nearshoring hanno ora nel Messico il primo partner commerciale in assoluto, con scambi per 70 miliardi di dollari l’anno. Secondo Washington, la formula studiata da Amlo e soci esporrebbe la magistratura al crimine organizzato e questo metterebbe a rischio le consolidate e mai come adesso intense relazioni commerciali tra i due Paesi. Mentre c’è già chi grida ad un possibile colpo di Stato organizzato proprio dagli Usa insieme al potere giudiziario messicano, l’ex presidente Lopez Obrador ha chiesto ai partner nordamericani di non interferire e ha momentaneamente sospeso i rapporti con l’ambasciata a Città del Messico. “Avremo sempre un buon dialogo con gli Stati Uniti – ha detto la nuova presidente Claudia Sheinbaum – ma certe questioni devono essere i messicani a deciderle”.

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