Sergio Mattarella durante il suo primo mandato ha svolto un ruolo decisivo dal 2018 in avanti, quando, dopo le elezioni politiche del 4 marzo, sembrava che le istituzioni, le alleanze tradizionali dell’Italia, la sua permanenza nell’Unione europea e nella moneta unica fossero destinate a soccombere, travolte dall’ondata sovranpopulista che stava prevalendo nel nostro paese e dilagando in tutto il Vecchio Continente, lungo la stessa deriva in atto negli USA. Mattarella, avvalendosi correttamente dei poteri attribuiti dalla Costituzione al Presidente della Repubblica, è stato in grado non solo di resistere, ma di contrastare, anche nei momenti più difficili, lo smottamento che si annunciava, riportando, poco alla volta, la politica dell’esecutivo (lo stesso Conte 1) su posizioni compatibili con l’insieme degli impegni assunti.
Gli effetti della rielezione sul Governo Draghi
La sua rielezione al Quirinale (per un secondo mandato che stavolta durerà sette anni), pur nelle condizioni di difficoltà in cui è avvenuta, è sicuramente un elemento di stabilità e di garanzia contro ogni possibile avventura. Il governo di Mario Draghi – con la copertura di una presidenza della Repubblica ora più forte – può quindi arrivare a fine legislatura portando avanti – anche se l’anno in corso ha ormai alle viste le turbolenze delle prossime elezioni politiche – l’attuazione del PNRR: un compito che si sta rivelando sempre più complesso del previsto, non solo per i ritardi nella messa a terra del piano, ma soprattutto perché si annuncia un significativo mutamento del ciclo economico (la crisi energetica, delle materie prime, dei servizi, dei traffici, l’incremento dell’inflazione, ecc.) che potrebbe condurre la comunità internazionale alla revisione di una politica monetaria basata, a livelli mai visti, sul deficit spending e l’incremento del debito.
Alcune osservazioni sul discorso nel giorno del giuramento
I giovani e la precarietà
Tuttavia, poiché l’Italia non è ancora una monarchia costituzionale elettiva, è consentito – si parva licet – esprimere rispettose osservazioni su alcune parti del discorso – complessivamente pregevole e condivisibile – del Capo dello Stato in occasione del giuramento. Alcuni passaggi sono sembrati discutibili a chi scrive (del resto la cosa è stata notata anche da altri). Mi riferisco, ad esempio, al passaggio sui giovani come al solito associati alla precarietà: “Tanti, troppi giovani sono sovente costretti in lavori precari e malpagati, quando non confinati (sic! ndr) in periferie esistenziali”.
Le diseguaglianze
Poi il discorso ha affrontato la questione delle diseguaglianze, “che non sono il prezzo da pagare alla crescita. Sono piuttosto il freno per ogni prospettiva reale di crescita”. Ad orecchie avvezze al dibattito politico, queste affermazioni appaiono coerenti con analisi diffuse come quelle ribadite da Maurizio Landini nella sua relazione alla Conferenza di organizzazione della Cgil in corso a Rimini: “Si è fatto credere che abbassando l’asticella dei diritti riprendessero la crescita e lo sviluppo. Non solo questo non è avvenuto, ma ha solo peggiorato le condizioni del lavoro”.
I “poteri economici sovranazionali”
Ma un passaggio particolare ha suscitato qualche interrogativo: quando Sergio Mattarella ha evocato, con toni duri, i “poteri economici sovranazionali che tendono a prevalere e a imporsi, aggirando il processo democratico“. È una frase che richiama polemiche condotte per decenni da forze sociali e politiche che attribuiscono ai processi di globalizzazione e internazionalizzazione dell’economia una ricaduta negativa sui diritti dei lavoratori e sui sistemi di welfare europei. Forse è per questo che, da buone fonti, è trapelato successivamente che Mattarella si riferiva alle multinazionali del web.
Bene, ma il giudizio potrebbe sembrare eccessivo anche in questa fattispecie. Tuttavia le interpretazioni potrebbero essere altre, nell’uso, di quella frase, da parte di talune forze politiche e sociali che hanno una visione manichea dell’attuale assetto mondiale dell’economia. In Italia ne abbiamo avuto un sentore recente nel caso di alcune vertenze attinenti alle scelte di alcune imprese multinazionali interessate alla delocalizzazione (che poi in alcuni casi non è avvenuta): scelte che si è tentato di contrastare non con proposte economico-produttive alternative e convenienti, ma con misure sanzionatorie che finiranno per scoraggiare gli investimenti stranieri. Anzi, talvolta è sembrato che fosse questo l’obiettivo prioritario da raggiungere (si veda l’esempio della Gkn), ancor prima che la salvezza dei posti di lavoro.
Il ruolo delle multinazionali in Italia
Il fatto è che il ruolo delle multinazionali nel nostro Paese è importante. Lo testimonia l’Istat nel suo recente Report sulle Imprese dopo l’emergenza sanitaria da Covid-19: “La dimensione internazionale – è scritto – si conferma un fattore rilevante per la tenuta delle imprese; e la ripresa risulta infatti più diffusa tra quelle che appartengono a gruppi multinazionali”.
Concentrando l’attenzione sulle unità con almeno 100 addetti, la quota di multinazionali italiane o estere che rilevano un aumento del fatturato nel periodo giugno-ottobre 2021 sale rispettivamente al 59,1% e al 56,4%, a fronte del 45,8% delle imprese appartenenti a gruppi domestici e al 41,7% delle imprese non appartenenti a gruppi (indipendenti). Risulta particolarmente positiva – conclude il Report – la performance delle multinazionali con vertice in Italia che operano nel commercio e nell’industria in senso stretto, tra le quali oltre i due terzi dichiarano un aumento delle vendite (il 66,5% nel commercio e il 63,7% nell’industria in senso stretto). Di solito un’azienda che aumenta il fatturato (e magari anche il profitto che per certi sindacalisti evoca lo sterco del diavolo) non licenzia, ma assume.