Appena dribblato lo scoglio della regolarizzazione dei lavoratori immigrati grazie alla coraggiosa battaglia del ministro dell’Agricoltura Teresa Bellanova, ecco stagliarsi davanti al premier Conte due nuovi ostacoli non da poco: il Mes e la garanzia Sace sul prestito di 6,3 miliardi accordato da Intesa Sanpaolo a Fca. Senza ovviamente dimenticare l’insidioso caso Bonafede, su cui pende la mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni.
Assecondando ancora una volta le ubbie dei Cinque Stelle e contro ogni logica, il premier non sembra intenzionato a utilizzare i 37 miliardi di euro che il nuovo Mes mette a disposizione dell’Italia per sostenere il sistema sanitario “senza condizionalità” e a un tasso bassissimo. Conte si arrampica sugli specchi dicendo che non vuole discostarsi dalla Francia, che non sembra propensa ad usare il Mes, perchè teme che i mercati puniscano l’Italia e la considerino alla stregua dei Pigs nel caso utilizzasse le risorse del nuovo Fondo. Ma il Pd non intende seguire nè Conte nè i Cinque Stelle su questa strada e ieri il vicesegretario Andrea Orlando non è andato tanto per il sottile: “Non facciamo – ha detto – discussioni sul Mes campate in aria. A un certo punto ci troveremo a scegliere: o aumentiamo le tasse o usiamo gli strumenti europei, tra cui c’è anche il “nuovo” Mes, con circa 37 miliardi per il nostro Paese, senza “condizionalità” e a tasso praticamente zero”.
Sulla stessa posizione di Orlando c’è anche il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, ma c’è soprattutto il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri che è uno dei protagonisti della versione dolce del Mes e che ovviamente si preoccupa di raccogliere tutte le risorse possibili per contenere il deficit e il debito pubblico, messi a dura prova dalle esigenze di sostegno all’economia legate all’emergenza Coronavirus.
Ma sulla strada di Conte c’è un altro scoglio, anche questo sollevato – stavolta in modo tanto rozzo quanto maldestro – dal vicesegretario del Pd, Orlando, e dall’ondivago ex ministro Carlo Calenda, ed è quello sulla congruità della garanzia chiesta da Fca alla Sace, società pubblica della Cassa Depositi e Prestiti, sul prestito triennale di 6,3 miliardi di euro concesso da Intesa Sanpaolo al gruppo di John Elkann. Si tratta di una garanzia pubblica su un prestito – come spiega una nota ufficiale – destinato “esclusivamente alle attività italiane” della Fiat e ai suoi 16 stabilimenti presenti nel nostro Paese e all’innovativo sostegno della filiera automotive composta da 10 mila piccole e medie imprese. “Un’impresa che chiede ingenti finanziamenti allo Stato italiano – ha però obiettato Andrea Orlano – riporta la sede in Italia”.
Stavolta Conte non ha però dato retta alle sirene ideologiche e ha firmato in serata il via libera alla garanzia Sace in applicazione del decreto Liquidità, ricordando che “quelle di Fca sono fabbriche italiane che occupano tantissimi lavoratori. La sede della capogruppo è in Olanda? Dovremo rendere più appetibile il nostro ordinamento fiscale”.
A Conte ha dato man forte, sia pure criticamente, il leader dei metalmeccanici della Cisl, Marco Bentivogli, secondo cui la richiesta del prestito Fca è la conseguenza della delusione “di azienda e sindacati per la totale assenza nel Decreto Rilancio di misure di incentivo al mercato dell’auto”.