Altro che leggero calo di vendite, il consueto report di GFK in occasione della IFA, la Internationale Funkausstellung di Berlino, parla di un crollo del 7% delle vendite di elettrodomestici ed elettronica di consumo in Europa (poco di meno a livello globale) per i primi sei mesi dell’anno rispetto al 2021 con una preoccupante tendenza al peggioramento nel bimestre maggio-giugno. Il che fa prevedere all’autorevole think thank della tecnologia domestica, una chiusura a fine 2022 di segno negativo. È vero, si tratta di un calo che viene dopo un 2021 con crescite a due cifre, è vero – sottolinea GFK – che comunque le vendite hanno superato quelle del 2019, ma nel 2022 è esplosa una serie di fattori negativi (inflazione, costi e listini energetici in aumento…) che stanno diventando strutturali. E, di conseguenza, rischieranno di pesare a lungo sulla propensione all’acquisto delle famiglie. Electrolux e Whirlpool sono a corto di ordini e le loro fabbriche in Italia vedono aumentare cassa integrazione e pesanti rallentamenti. Ma c’è qualcosa di nuovo in questa caduta globale della domanda (anche in Cina con un -9%) che potrebbe danneggiare molto i paesi “terzisti”, soprattutto i Paesi dell’Est Europa dove pur si sta dirigendo da anni il rientro di produzioni dall’Asia. Il che non è del tutto un fattore positivo.
In Polonia 35 fabbriche di elettrodomestici a rischio
“Siamo al 13° mese di andamento negativo – dichiara Wojciech Konecki, direttore generale di Applia Polska- a causa di una generale crisi della domanda e alla carenza di componenti. Risentiamo pesantemente anche del fatto che la Russia e i paesi alleati erano uno dei maggiori destinatari della nostra produzione. Una situazione decisamente drammatica per alcuni siti produttivi. E questo perché il 90% di ciò che esce dalle nostre 35 fabbriche di elettrodomestici viene esportato. Siamo infatti diventati il primo esportatore di elettrodomestici in Europa”. Ma mente la Cina non sembra temere la corrente di reshoring che ha visto tornarsene ai paesi di origine moltissime piccole e medie aziende e addirittura alcune multinazionali chiudere enormi aree produttive, per la Polonia diventerà sempre di più un problema difficile da arginare. La sua struttura manifatturiera si è infatti gonfiata in modo smisurato grazie a lunghissimi periodi di costi del lavoro molto vantaggiosi (come anche in tutto l’est Europa). E, fatto negativo non rimediabile, si tratta di una struttura manifatturiera esclusivamente terzista, con siti produttivi di proprietà di big europei, americani, coreani e anche cinesi. Che aprono e chiudono questi siti secondo gli andamenti dei mercati. Come si dice ‘alla bisogna’”.
La Cina invece non teme il reshoring
E poiché un paese come la Polonia (come anche gli altri dell’est Europa) non ha propri brand forti – con l’eccezione di Amica, specialista della cottura – sarà durissimo far fronte a chiusure o ridimensionamenti di notevoli dimensioni. Quanto alla Cina, quel meno 9% dei primi sei mesi del 2022 è dovuto alle pesantissime restrizioni del Covid. Che peraltro hanno scatenato una serie di chiusure o tagli di investimenti di piccole e medie aziende (molte le italiane) spaventate anche dai costi sempre più insostenibili dei trasporti. Oltre il 70% dei grandi manager americani e europei ha dichiarato di recente che quello che influenzerà sempre di più su una progressiva rilocazione di filiere o della diretta produzione in Patria o in aree vicine, è soprattutto la crescente incertezza politica, economica e sociale. La Cina non sembra preoccupata di queste tendenze, poiché il paese è ricco, è in forte espansione e i mercati dove esporta sono sempre tanti e, anzi, sono proprio quelli che più crescono essendo prevalentemente estese aree in via di sviluppo.