“I mercati stanno sopravvalutando i rischi legati alla fase immediatamente successiva al voto americano del 3 novembre”. Lo sostiene Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos, nell’ultima puntata del podcast mensile “Al quarto piano”.
“Certamente ci sono timori di brogli e di contestazioni sullo spoglio delle schede, di ricorsi e di problemi di ordine pubblico – prosegue Fugnoli – ma tutte queste eventualità sono già incorporate nei prezzi, e soprattutto il mercato sta comprando da alcune settimane assicurazioni contro la volatilità sotto forma di opzioni”. Di conseguenza, secondo l’analista, “nella fase successiva al voto la volatilità potrebbe essere inferiore a quella stimata oggi”.
Allo stesso tempo, però, Fugnoli ritiene che “in questa fase i mercati tendano a sottovalutare la portata dei cambiamenti di lungo termine che una vittoria di Biden comporterebbe. Se vincesse Trump si manterrebbe sostanzialmente lo status quo anche se il Congresso diventasse tutto democratico, perché il Presidente potrebbe smorzarne le istanze più radicali esercitando il potere di veto. Una vittoria di Biden, invece, soprattutto se accompagnata dalla conquista del Senato, avrebbe la forza di cambiare in profondità lo scenario americano e globale”.
Per avere un ordine di grandezza di quello che potrebbe fare Biden, “ricordiamo che nel 2018 Trump tagliò le tasse per un trilione di dollari – continua lo strategist di Kairos – Ebbene, Biden le vuole aumentare di quattro trilioni. In compenso, il candidato democratico ha in programma di spendere una cifra ancora superiore, aumentando di otto trilioni le uscite del governo federale. Soldi che andrebbero alla sanità, agli Stati – molti dei quali sono sull’orlo della bancarotta – e all’ambiente”.
Quali sarebbero le conseguenze di tutto questo per chi investe? Secondo Fugnoli, i punti fondamentali sono quattro:
- Il dollaro più debole, “per effetto del maggiore disavanzo fiscale americano e del maggiore disavanzo delle partite correnti, che è prevedibile”.
- Un aumento dei ricavi delle imprese, “dovuto all’aumento della spesa pubblica”, accompagnato però “da una diminuzione dei loro profitti per effetto dell’aumento della pressione fiscale, della ri-regulation e della pressione sul costo del lavoro attraverso un aumento della sindacalizzazione, che verrebbe incentivata da leggi apposite”.
- Un aumento della pressione fiscale sul mercato stesso, “con una nuova imposta sulle transazioni finanziarie e un aumento dell’imposta sui capital gain”.
- Una rideterminazione dei rapporti tra i settori del mercato a vantaggio di “quelli che godrebbero di nuovi sussidi, come l’ambiente”.
Questi cambiamenti sarebbero “molto impegnativi da metabolizzare per i mercati – conclude Fugnoli – Quello che però ci induce a rimanere positivi è che le politiche monetarie e fiscali resteranno espansive come sono oggi, in caso vinca Trump, oppure lo diventeranno ancora di più, se a prevalere sarà Biden. I tassi, quindi, rimarranno a zero almeno per i prossimi due anni, continuando a supportare l’azionario com’è avvenuto negli ultimi due mesi”.