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Mercati: inflazione e crescita contano ma non sono tutto

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Salvo sorprese, le prossime settimane potrebbero vedere un modesto rialzo dei corsi obbligazionari e azionari. Sarà però un rialzo tormentato, che non emetterà un segnale forte e chiaro come quello del 2017 e sarà percepibile con una certa fatica tra scariche elettrostatiche, rumori di fondo e distorsioni di ogni genere. Dopo gennaio abbiamo avuto una lunga serie di dati deludenti sia sul fronte della crescita, più bassa del previsto quasi ovunque, sia su quello dell’inflazione, più alta delle stime quanto meno in America. Queste sorprese macro hanno avuto i loro effetti amplificati dal posizionamento del mercato, che ancora in gennaio confidava in un’inflazione moderata e stabile e in una crescita in accelerazione.

Oggi l’ottimismo si è ridimensionato su quasi tutti i fronti e rimane unanime solo sul fronte degli utili (limitatamente al 2018), mentre le sorprese sono tornate ad essere positive. In America si nota una ripresa dei consumi e il Pil sta di nuovo crescendo a una velocità superiore al 3 per cento, mentre in Europa si nota nelle borse un grande sollievo per l’indebolimento dell’euro. L’inflazione, dal canto suo, sembra stabilizzarsi in America, mentre nel resto del mondo il problema non si pone nemmeno. In queste condizioni la grande quantità di posizioni speculative al ribasso sui bond può offrire il combustibile prima per una stabilizzazione e poi per una modesta ripresa dei corsi. Anche la grande calma ostentata dalla Fed sull’inflazione va in questa direzione.

Quanto alle borse, le posizioni speculative al rialzo sono oggi molto ridotte, mentre gli utili americani continuano a sorprendere positivamente. Il recupero degli asset finanziari, in particolare quello dei bond, dovrebbe infine rallentare il recupero del dollaro e quindi favorire la stabilizzazione dei mercati emergenti, particolarmente colpiti nell’ultima fase della correzione. La ripresa dei mercati dovrà però fare i conti con il flusso di notizie politiche e geopolitiche. L’amministrazione Trump ha messo sul tavolo un’enorme quantità di questioni, tutte intrecciate tra loro. Il cantiere coreano è una cosa sola con il negoziato strategico con la Cina, dove dazi sulla carne di maiale e bombe atomiche sul suolo coreano sono questioni che avanzano e arretrano insieme.

Nel negoziato con l’Europa l’Iran e la Siria si mescolano con i dazi sulle automobili tedesche. Europa e Cina, dal canto loro, agiscono talvolta come alleati in funzione antiamericana mentre in altri momenti prevale la consapevolezza che quello con la Cina, per l’industria europea, può essere un abbraccio mortale. Questo negoziato di tutti contro tutti non vede in campo le tradizionali e lente tecnocrazie mandarine ma protagonisti spregiudicati con grande esperienza nell’arte di tirare al massimo la corda. Trump è autore di libri sull’arte del negoziato e ama mettere la pistola sul tavolo durante le trattative. Xi Jinping ha dalla sua millenni di sapienza politica imperiale e sa perfettamente come tenere a bada Trump.

Kim Jong-un rappresenta tre generazioni di estorsori che hanno puntualmente spillato soldi a tutti i loro interlocutori e continuato a fare tutto quello che volevano. La Merkel ha fatto sparire ogni avversario che si è avventurato sulla sua strada. Senza dimenticare Putin, la teocrazia iraniana, Israele, Erdogan e i sauditi. Lo scontro di tutte queste forze, aggressive e motivate, darà luogo a continui capovolgimenti di scenari in un contesto fluido in cui le vecchie regole e alleanze non valgono quasi più nulla. I mercati, iperstimolati, stanno imparando a sospendere il giudizio e a non reagire troppo ai continui colpi di scena geopolitici ma hanno capito che devono procedere con molta prudenza, come in un campo fertile ma minato.

A sostenerli è la convinzione che finché l’inflazione non andrà fuori controllo i bond non avranno da temere un bear market serio, mentre finché ci sarà crescita le borse saranno in qualche modo invulnerabili. Ma è proprio così? Inflazione bassa e crescita sono narrative potenti nella razionalizzazione dell’alto livello del prezzo degli asset finanziari, ma chi investe deve stare attento e non escludere dal suo orizzonte la possibilità di crash improvvisi o ribassi azionari del 20-30 per cento e anche più nei prossimi due-tre anni. Partiamo dai bond, che sono certamente influenzati dalle aspettative di inflazione, ma anche dai tassi reali, dalla liquidità, dall’andamento del tasso neutrale, dal premio per la durata e da quello per il rischio di credito.

Anche in presenza di inflazione costante può succedere che tutti gli altri fattori spingano i rendimenti obbligazionari verso il basso (come è accaduto negli ultimi anni) o verso l’alto (come potrebbe accadere nei prossimi). Ma se i tassi salgono, i multipli azionari devono contrarsi, come ha già iniziato a succedere in questo 2018 e continuerà a succedere, tra alti e bassi, fino alla prossima recessione. Se la discesa dei multipli si dovesse accompagnare, come è possibile nel 2019, a un arresto della crescita degli utili, il mercato azionario si
comporterebbe come un aereo che vola ad alta quota e incontra un vuoto d’aria. Non si schianterebbe al suolo, ma scenderebbe bruscamente, con momenti di paura, e questa volta senza molto aiuto dalle torri di controllo (le banche centrali).

Ribassi significativi (per quanto brevi e reversibili) saranno dunque sempre più possibili anche in presenza di fondamentali stabili e buoni. Un’altra conseguenza dell’invecchiare del ciclo economico e della rarefazione progressiva della liquidità è che chi inciamperà, da qui in avanti, verrà lasciato indietro. Il maestoso bull market degli anni passati è stato generoso con tutti e ha sempre provveduto a raccogliere e sostenere chi si trovava in difficoltà. Già oggi, però, vediamo come Turchia e Argentina (due esempi di paesi sotto pressione) fatichino a rialzarsi dopo essere scivolati. La nostra scommessa è che si rimetteranno in piedi, rimanendo però distaccati dal gruppo con cui hanno perso i contatti.

In conclusione, il grande rialzo degli asset finanziari ha ancora la forza per produrre spunti interessanti (come quello che si sta aprendo) ma non ha più la forza per occuparsi di tutto e di tutti. È tempo di rendere più sicura la parte obbligazionaria del portafoglio, ritirandosi progressivamente dagli alti rendimenti di dubbia qualità e concentrandosi su emittenti sicuri (tra cui Stati Uniti e Cina, per chi accetta la volatilità del cambio). La quota di rischio che si vuole continuare a mantenere andrà concentrata sull’azionario, che è sempre l’ultima asset class a scendere quando finiscono i grandi cicli di rialzo.

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