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Mercati Emergenti: il rimbalzo c’è, ma occhio alla speculazione

A differenza che in passato, i mercati emergenti dimostrano fondamentali più solidi, con la garanzia di un forte impegno nel sostegno alle valute di riferimento – Il pay out ratio medio delle società dei Bric (Brasile, Russa, India e Cina) è in costante ascesa da tre anni a questa parte – Gli Emerging sono in recupero ma è tornata anche la speculazione.

Le Borse emergenti a gennaio perdevano anche più del 10 per cento e sembravano destinate a un bear market duro e di incerta durata. Colpa del tapering, accusava il governatore della Bank of India, nientemeno che Raguram Rajanm già direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, che non si è fatto scrupoli di portare alla sbarra l’egoismo della Federal Reserve.

Al contrario, possiamo prender atto con qualche sollievo che il Bovespa, ovvero la Borsa brasiliana, in euro, avanza del 4 per cento circa da inizio anno, mentre l’S&P 500 oscilla sui valori di inizio anno. Merito dell’ascesa dei tassi, salito all’11 per cento ad inizio aprile, con il relativo forte apprezzamento del real salito del 7,3 %.

Altro caso interessante è la Turchia. Il paese, dato ad alto rischio alla vigilia delle elezioni, non è precipitato nel caos (come da più parti si era temuto) e Istanbul guadagna il 7 per cento in euro. Anzi, senza che sia cambiato nulla di sostanziale nello scontro istituzionale che lacera il paese, il ministero delle Finanze prepara tranquillamente il lancio di un bond trentennale in dollari, un tipo di operazione che di solito viene realizzata nei momenti di massima calma e solidità. Intanto il governo ha lanciato un decennale al 4,375 per cento in euro collocato attraverso Deutsche Bank, Ing e JP Morgan. La lira turca, nel frattempo, ha recuperato un buon 10 per cento rispetto ai minimi di gennaio.

I due casi esaminati non sono isolati. Che dire dell’Argentina, data per spacciata a metà gennaio e di nuovo in piedi oggi? I bond in dollari hanno recuperato l’8 per cento dai minimi e il peso si è addirittura rafforzato contro dollaro. Quanto alla Cina, di cui sembrava iniziato il crollo, nessuno parla più delle obbligazioni pericolanti (che ci sono ancora) mentre il tasso di crescita, che era dato come prossimo al tracollo, è ancora pari al 7,4 per cento.

I mercati, con l’eccezione del Micex russo travolto dalla crisi ucraina, hanno smentito le previsioni di inizio anno. E così chi ha agito con spirito contrarian ha fatto un buon affare. Dai minimi toccati il 5 febbraio scorso l’indice Msci Emerging Markets ha messo a segno un rialzo del 9,6% in dollari. Il rendimento medio dei bnd è scivolato da 5,51% di inizio anno al 5,14%. Gli affari migliori sono stati fatti sui titoli in valuta locale, grazie alla ripresa delle valute dopo lo shock di inizio anno: la rupia dell’Indonesia guadagna il 7,8% , Riprende quota perfino la rupia indiana, in piena bagarre elettorale. 

Perché questo rally? Innanzitutto la Fed è riuscita a padroneggiare i tassi dei T bond frenando il temuto rialzo dei rendimenti. Nel frattempo i mercato emergenti hanno dimostrato una solidità ben diversa da quella di altre crisi. Secondo le elaborazioni di Markit, la media dei dividendi pagati dalle azioni inserite nell’indice Emerging Markets è pari quest’anno al 2,% sul valore di Borsa, mezzo punto in più rispetto all’1,98% dello Standard & Poor’s 500, in linea con il 2,33% medio del paniere Ftse/Mib di Milano. 

Ovvero, a differenza che in passato, i mercati emergenti dimostrano fondamentali più solidi e più stabili, con la garanzia di un forte impegno nel sostegno alle valute di riferimento. Il pay out ratio medio delle società dei Bric (Brasile, Russa, India e Cina) è in costante ascesa da tre anni a questa parte.

Il rimbalzo degli Emerging ha avuto come effetto principale, però, il ritorno in forze della speculazione, con nuovi episodi di euforia che spaventano gli addetti ai lavori. In settimana la prima emissione di bond internazionali da parte di India Oil (un miliardo di dollari) ha registrato prenotazioni per 9 miliardi. Il Pakistan ha emesso un settennale a cinque anni (due miliardi) ad un tasso tra il 7 e l’8% con una domanda quattro volte superiore. 

Numeri che spaventano il Fondo Monetario che ha rilevato il boom delle emissioni corporate negli Emergenti: più di 300 miliari di dollari dal 2008 ad oggi, con il risultato che la carta di debito delle società cinesi, della Malaysia e dell’Ungheria ha superato la soglia del 100 per cento del Pil. 

Insomma, le ragioni per essere prudenti sono più forti che mai. Anche per i numerosi appuntamenti elettorali e politici in vista, dalle elezioni indiane al duello in Brasile. Ma la vera lezione del 2014 è che, in un clima di inflazione quasi zero, con tassi di sviluppo modesti e in calo, i trend di mercato tendono ad essere deboli e mutevoli. In un mondo che cresce poco, la vera abilità dei banchieri centrali e dei gestori consiste nel far ruotare gli assets, come tanti prestigiatori abili a far così dimenticare la mole dei debiti che incombe. 

Sotto dunque con gli acquisti in Africa o Australia per sfruttare il rimbalzo delle commodities (non a caso la Cina ha staccato un assegno di 6 miliardi di dollari a Glencore per la miniera di rame di Las Bambas in Perù) o, ancor più affascinante, per partecipare ai guadagni di fondi ed Etf specializzati nell’acqua, risorsa sempre più scarsa. Ma attenzione a non restare con il cerino in mano.

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