X

Mercati ed elezioni, occhio a Francia e Germania

ImagoEconomica

Lo scenario politico europeo cambia ormai ogni settimana. E non parliamo della Romania, dove il popolo scende massicciamente in piazza in gennaio e febbraio contro il governo che ha votato entusiasticamente in dicembre, ma di Francia, Germania e Italia, i tre paesi che l’Europa unita, insieme al Benelux, l’hanno fondata.

Irrequieta e frustrata, l’opinione pubblica ondeggia vistosamente. In Francia prima emerge a sorpresa in dicembre Fillon con un programma thatcheriano che sembra raccogliere grandi consensi. Poi emerge ancora più a sorpresa tra i socialisti Hamon, che critica da sinistra Hollande e ricorda vagamente l’americano Sanders. Passano due settimane e crolla Fillon, mentre emerge prepotente il moderato centrista Macron, ma il partito socialista, di cui ha sempre fatto parte, scomunica non solo lui ma chiunque lo voglia appoggiare.

Marine Le Pen, nel frattempo, fornisce i dettagli della sua proposta di uscita immediata dall’euro. Svalutazione francese limitata al 20 per cento se l’euro si scioglie, franco libero di andare dove vuole se l’euro rimane in vita.

Banque de France riportata sotto il controllo politico, quantitative easing di 100 miliardi di franchi l’anno (40 di buy-back del debito, 30 per il welfare, 30 per la politica industriale) e tasso-obiettivo per l’Oat decennale compreso tra il 2 e il 3 per cento.

Da ricordare il fatto che le elezioni francesi non finiscono l’8 maggio con il ballottaggio delle presidenziali ma vanno in replica in giugno con i due turni delle politiche, altrettanto importanti. Chiunque vinca le presidenziali avrà infatti grossi problemi in parlamento. Macron non ha un partito, la Le Pen conquisterà pochi seggi, Fillon e Hamon dovrebbero ricorrere a una grande coalizione, una novità assoluta per la Quinta Repubblica, nata per la governabilità.

In Italia, a sorpresa, i sondaggi iniziano a dare i tre schieramenti politici principali sostanzialmente alla pari. In Germania, il paese dove i sondaggi sembravano non sbagliare mai e dove gli spostamenti dell’opinione pubblica sono lenti come i bradisismi flegrei, l’irruzione di Martin Schulz nella politica interna ha sconvolto in pochi giorni tutti gli equilibri. Schulz non si limita a scavalcare agilmente la Merkel nei sondaggi sulla cancelleria (50 per cento lui, 34 lei) ma riesce nel miracolo impensabile di resuscitare una Spd che da un decennio si chiede che cosa sta a fare su una scena politica sovraffollata che offre o personalità forti come la Merkel o identità forti come quelle della Linke, dei Verdi e sulla destra, di Alternative fur Deutschland.

La cosa affascinante è che se la Spd ha un programma vago e blando come l’acqua tiepida, Schulz non ha neanche quello. E non solo non ce l’ha, ma non l’ha mai avuto nella sua carriera politica. Dopo avere fatto il libraio per vent’anni in una piccola e sonnolenta cittadina renana (il libraio in Germania è un lavoro serissimo e molto stimato e infatti di quella cittadina è diventato presto sindaco), Schulz ha fatto una velocissima carriera basata da una parte su un eloquio brillante ed energico e su grandi capacità organizzative e, dall’altra, sul tenersi ben lontano da qualsiasi tema controverso e sulla conquista di visibilità attraverso duelli vivaci e memorabili su temi politically correct (memorabili e tutti su Youtube i suoi scontri con Berlusconi, Farage, Godfrey Bloom e perfino Cohn-Bendit). Il suo sito contiene proposte generiche su temi di tutto riposo.

Per i mercati, Schulz può pesare in due modi. Il primo è che un eventuale sorpasso elettorale gli consentirebbe di potere scegliere tra una rinnovata alleanza di governo con una Cdu-Csu a quel punto non più guidata dalla Merkel e una coalizione (fino ad oggi tabù) con la Linke e con i Verdi. Avremmo, in questo secondo caso, l’adozione di politiche redistributive non solo in Germania ma in tutta Europa. Il secondo è che l’europeismo di Schulz, meno critico di quello della Merkel, spingerebbe per una maggiore integrazione continentale e una chiusura più netta verso il Regno Unito.

Nel 2012 Schulz si dichiarò a favore degli Eurobond. Lo fece probabilmente perché la Merkel li osteggiava. Oggi Schauble aumenta il fuoco contro la Bce perché sa che Schulz non vuole e quindi non può attaccare Draghi. Nelle posizioni dei politici c’è sempre una componente di pura tattica su cui va fatta la tara, ma non c’è dubbio che un successo di Schulz, soprattutto se speso in una coalizione con Verdi e Linke, ridurrebbe gli spread tra periferia e centro o ne ridurrebbe l’allargamento che è nell’aria per i prossimi due anni.

È evidente che gli spostamenti di opinione in Europa non vanno più nella sola direzione del populismo, così come è evidente che i populismi europei si presentano sempre più con tratti distinti tra loro (democrazia diretta e stato leggero nel nord, statalismo in Francia, idee confuse in Italia e Spagna). Il continente ha grande voglia di novità, ma mostra anche di stancarsi presto di queste novità.

In questo scenario chi investe può adottare due tipi di atteggiamento. Il primo, che vale per le borse ma non per i bond, è decidere di ignorare la politica, i sondaggi e le elezioni e concentrarsi su nicchie che ne siano al riparo. Il secondo è di essere tattici e leggeri prima delle fasi preelettorali (quando tutti vorranno essere tattici e leggeri) e acquistare opzioni call (se si è leggeri) o put (se si è carichi) con scadenza da maggio in avanti. Segnamoci in calendario l’8 maggio, giorno del ballottaggio francese e scadenza più delicata del 2017.

Si ama dire, in questo periodo, che le condizioni strutturali, in particolare le politiche procrescita monetarie o fiscali che ispirano quasi tutti i governi dei paesi avanzati, sono più forti degli eventi avversi che potrebbero capitare. È una grande verità, confermata dalla reazione dei mercati a Brexit e a Trump. È però una verità che può ammettere eccezioni nel caso gli eventi avversi abbiano a loro volta una portata strutturale. Un’uscita francese dall’euro (per quanto ancora uno scenario decisamente di coda) e la conseguente probabile fine dell’euro stesso non vedrebbero i mercati indifferenti.

In questo contesto è una grande fortuna che l’America sia così solida. L’economia non sta brillando molto (il quarto trimestre è stato decisamente più debole del terzo, soprattutto se si scomputa l’accumulo di scorte determinato dall’effetto Trump sugli uffici acquisti delle imprese) ma la tenuta psicologica dei mercati è eccellente. La convinzione che dal lavoro del Congresso uscirà la riforma fiscale più radicale e procrescita del dopoguerra è granitica e non viene scalfita dalle schermaglie che l’amministrazione deve affrontare con i giudici e nelle commissioni parlamentari su immigrazione e nomine. È chiaro che, per riprendere a salire, si aspettano i primi risultati concreti dal Congresso. Nell’attesa, tuttavia, pur sapendo che potranno occorrere mesi per vedere il varo effettivo delle riforme, nessuno sembra ancora sentire il bisogno di scendere dai livelli elevati già raggiunti. Dal canto loro i bond e l’oro hanno ritrovato colore senza per questo avere bisogno di un’inversione di tendenza della borsa. Sullo sfondo, a contribuire in modo decisivo alla serenità dei mercati, il dollaro stabile.

Related Post
Categories: Commenti