Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha già lanciato più volte segnali di allarme. L’ultimo è stato sabato ed è stato chiarissimo: “La situazione economica è delicata e servono scelte difficili”. L’avvertimento del ministro leghista è destinato ai compagni di governo in vista della manovra di bilancio che è lontanissima dai sogni elettorali di Giorgia Meloni e di Matteo Salvini ma che non può tollerare follie, visti i numeri del debito pubblico che si commentano da soli. “Il debito pubblico italiano – ricordava ieri Federico Fubini sul Corriere della Sera – sta arrivando a quota 3 mila miliardi di euro e il suo costo in interessi per lo Stato raddoppierà, a oltre 100 miliardi l’anno”. Per questo, Nadef alla mano, serviranno tagli di spesa di almeno il 10%. Con quanta gioia dei partiti di Governo a pochi mesi dalle elezioni europee è facile da immaginare. Ma, come diceva una volta l’allora ministro dell’Economia Piercarlo Padoan, “il sentiero è stretto” perché da un lato ci sono le esigenze dell’economia e delle fasce più deboli della popolazione ma dall’altro c’è lo sguardo severo dei mercati finanziari, che sono il silenzioso ma temibile convitato di pietra delle riunioni di Governo a Palazzo Chigi.
Meloni, l’incubo dello spread e il ricordo della crisi del Governo Berlusconi del 2011
Non per caso Giorgetti, qualche tempo fa, aveva candidamente confessato di temere più il giudizio dei mercati che quello della stessa Commissione europea. E il ricordo della crisi finanziaria dell’agosto 2011 quando lo spread salì alle stelle e i mercati sfiduciarono il Governo Berlusconi prima ancora del Parlamento è più vivo che mai e spiega il nervosismo della premier che ironizza sull’ipotesi del Governo tecnico ma non lo prende affatto sottogamba. Per un Paese zavorrato dal debito pubblico la fiducia dei mercati è decisiva per collocare i suoi titoli di Stato e per frenarne i rendimenti e contenere la spesa per interessi. Oggi non siamo certamente nella situazione del 2011 ma sarebbe imperdonabile abbassare la guardia dopo la tendenza al rialzo del rendimento del Btp decennale, che si è ormai attestato al 4,96%, e dello spread Btp-Bund che da settimane si sta avvicinando a quota 200. Nella seconda parte del 2011 lo spread arrivò a 575 punti base, oggi siamo a 194 ma se sale sono guai e non è per caso che nelle file della maggioranza, oltre che sui mercati, si pensa che la soglia limite dello spread sia a 350 punti. Oggi siamo fortunatamente lontani ma il sentiment dei mercati come quello dell’elettorato è fluido e non si può mai stare tranquilli soprattutto da quando a Palazzo Chigi non siede più una personalità di altissima credibilità come SuperMario Draghi.
Meloni, l’Italia e il calendario dei rating
Ecco perché Giorgia Meloni per prima aspetta con ansia il giudizio delle agenzie di rating sulla sostenibilità del debito pubblico. Tra ottobre e novembre l’attende una Via Crucis che comincerà con il rating di S&P del 20 ottobre per proseguire il 27 con quello di Dbrs e il 10 novembre con il rating di Fitch e il 17 di Moody’s. Incrociamo le dita e speriamo per l’Italia che non ci siano downgrading perché ne basterebbe uno per rendere ancora più problematico e costoso collocare sul mercato i nostri Btp senza l’ombrello della Bce e in una fase calante dell’economia italiana che rende sempre più difficile abbassare i rapporto tra debito e Pil. Non sarà probabilmente un autunno nero quello della Meloni e dell’Italia ma certamente sarà un autunno grigio.