Il Governo Meloni si avvia a compiere un anno dopo il trionfo elettorale della destra del 25 settembre ma il compleanno è amaro: sconfitta netta sull’emergenza migranti e clamorosa retromarcia sulla tassa sulle banche mentre la prossima manovra di bilancio cancellerà le promesse da marinaio della campagna elettorale. La premier Giorgia Meloni cerca di consolarsi dicendo di vedere “l’orizzonte dei 5 anni per realizzare le grandi riforme di cui questa nazione ha bisogno e vorrei che questo fosse l’anno delle riforme”. Ma sono i fatti a riportarla con piedi per terra. A partire da Lampedusa. Sull’emergenza migranti il Governo incassa la più secca delle sconfitte ed è la stessa premier a doverlo ammettere: “Abbiamo lavorato tantissimo ma i risultati non sono quelli sperati” visto il continuo aumento degli sbarchi e il fallimento degli accordi con la Tunisia, mentre da Marsiglia Papa Francesco nega che ci sia un’invasione di migranti ma avverte: “Il grido di dolore dei migranti sta tramutando il mare nostrum in mare mortuum e il Mediterraneo da culla della civiltà a tomba della dignità”. L’esodo biblico dei profughi e di chi cerca pane e libertà in Europa abbandonando la polveriera africana è ormai un problema epocale e nessuno sa davvero come risolverlo ma, al di là della propaganda elettorale naufragata di fronte alla realtà, il Governo Meloni non sembra avere nè un piano nè un’idea di quali “coraggiose e innovative soluzioni” adottare e di quali alleanze internazionali cercare.
Governo: come si concilia la sostenibilità del debito pubblico con il rallentamento della crescita?
Se il bilancio del primo anno del Governo Meloni è fallimentare sul piano dell’immigrazione, difficile si presenta anche la costruzione della prossima manovra di bilancio per la mancanza di risorse finanziarie che spingono il leader della Lega, Matteo Salvini, a immaginare nuovi condoni edilizi: “Ci servono soldi e le piccole irregolarità si possono sanare”. In settimana la Nadef, che è la Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza che traccia lo stato e le prospettive della finanza pubblica da cui poi discenderà la manovra di bilancio vera e propria, farà capire meglio la situazione e la rotta che il Governo vorrà seguire. Il fatto che ci siano poche risorse disponibili non è necessariamente un male, perché costringerà il Governo alla prudenza e a non inseguire sogni avventurosi. Ma la questione centrale è molto seria e si può riassumere così: per sostenere l’enorme debito pubblico italiano Mario Draghi aveva cambiato il vecchio paradigma europeo puntando non sull’austerità ma sulla crescita. Se la crescita aumenta migliora anche il cruciale rapporto debito/Pil. Ma che succede se la crescita, non per colpa del Governo ma della congiuntura internazionale e dell’eccessivo rigorismo della Bce, rallenta e nel 2023 il Pil non raggiungerà l’1%? Come si conciliano minor crescita e costo del debito sempre più alto per effetto del rialzo dei tassi di interesse? E’ il cruccio del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che giustamente non dimentica la crisi finanziaria del 2011 quando lo spread Btp-Bund salì alle stelle mettendo alle corde il Governo Berlusconi e costringendo il lungimirante Presidente Giorgio Napolitano a chiamare Mario Monti per evitare la bancarotta dell’Italia. Non ha torto Giorgetti a dire oggi che teme più il giudizio dei mercati che quello della Ue.
Governo, la delusione degli investitori internazionali e la retromarcia sulle banche
E’ in questo quadro che ieri si è consumata la clamorosa retromarcia sulla tassa sui cosiddetti extraprofitti delle banche che Meloni e Salvini avevano architettato agli inizi di agosto in un blitz solitario che ha dato una picconata alla credibilità internazionale dell’Italia davanti ai mercati finanziari e che rischia di lasciare il Tesoro con un pugno di mosche in mano. Altro che 7 miliardi di nuove entrate come Meloni aveva propagandato. Se ne ricaveranno molto meno della metà perché il pressing della Bce da un lato e quello dell’Abi ma soprattutto della Fininvest di Marina Berlusconi attraverso Forza Italia ha costretto il Governo a fare marcia indietro. La tassa resterà, ma le banche potranno decidere se pagarla versandola all’Erario o accantonare la somma destinandola a rafforzare il proprio patrimonio. E’ una correzione salutare ma, come ha dichiarato il premio Nobel Robert Shiller a “la Repubblica” di oggi: “Gli investitori internazionali sono delusi per la troppa improvvisazione” del Governo Meloni. E’ proprio questo il punto e speriamo che il primo compleanno riporti a Palazzo Chigi un po’ di saggezza. Tra i sogni e la realtà è sempre la seconda a vincere.