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Melandri: “Così il MAXXI diventerà la Tate Gallery italiana”

photo Musacchio & Ianniello, courtesy Fondazione MAXXI

“Il Maxxi non è ancora la Tate Gallery ma questa è una sfida che possiamo vincere”. Punta in alto Giovanna Melandri, forte della conferma appena ottenuta alla guida della Fondazione Maxxi, l’istituzione che governa il Museo nazionale delle arti del XXI secolo, e forte, soprattutto, dei risultati raggiunti nel corso del primo mandato: visite raddoppiate, aumento del 37,5% dell’autofinanziamento (tra biglietti, sponsor e donazioni), budget raddoppiato e un’attività vulcanica che spazia dalle mostre ai laboratori, dal cinema ai talk con gli artisti, dall’alternanza scuola-lavoro per gli studenti al coinvolgimento delle fasce di pubblico più deboli. Una crescita che ha dissolto le polemiche che la accolsero al suo arrivo, a fine 2012 quando venne nominata dal governo Monti. E ora guarda agli Usa come all’Africa, progetta una sede distaccata a L’Aquila e prepara le nuove mostre per il 2018. Ne abbiamo parlato in questa intervista a FIRSTonline, ecco cosa ci ha detto. 

Giovanna Melandri, il Maxxi non è più una startup: dal 2013 ha superato 1,7 milioni di visitatori, allestito 114 mostre, attira partner e sponsor come Enel, Bulgari, CdpGroupama, Alcantara, Deutsche Bank, Sky Arte Hd. Qual è la chiave di questi risultati? 

“La particolarità del Maxxi è in queste due direttrici: da un lato il modello di  governance, dall’altro l’identità culturale di questa istituzione. Siamo il museo dell’arte contemporanea in un Paese come l’Italia, aperto sul Mediterraneo, permeato della più alta tradizione dell’arte classica e che per tanti anni non aveva pensato di creare un luogo deputato alla contemporaneità”. 

Ne parla come di un figlio… 

“In un certo senso lo è. Furono i governi dell’Ulivo (ministri della cultura Veltroni e la stessa Melandri, ndr) a proporne la nascita e a volerlo affidare non ad un organo dello Stato ma ad una Fondazione di diritto privato, vigilata dal Mibact ma con la flessibilità e l’ambizione di operare anche con risorse private. Quell’intuizione si è rivelata giusta e credo farebbe bene anche agli altri poli museali italiani. La riforma varata dal ministro Dario Franceschini è stata molto importante”. 

Parliamo delle risorse del Maxxi: sono sufficienti in un mondo in cui la grande arte ha raggiunto quotazioni altissime? 

“Quando sono arrivata qui, grazie ai ministri Ornaghi e Bray il finanziamento statale è stato raddoppiato e stabilizzato a 6 milioni. Il primo lavoro ha dunque riguardato il consolidamento delle risorse pubbliche. E’ quello il primo pilastro perché la sostenibilità economica è indispensabile per coinvolgere i privati. I partner, come Enel, sono arrivati quando è apparso chiaro il commitment dello Stato. Insieme si cresce o si deperisce. Ora possiamo contare su 12 milioni di budget, tra pubblico e privati, che nel 2018 saliranno a 14 con lo stanziamento per la nuova sede de L’Aquila. Avremo anche 1 milione in più per gli acquisti di opere ed è importante. Certo, la Tate ha un bilancio di oltre 100 milioni di sterline, il Beaubourg di oltre 100 milioni di euro. Con questi numeri è impossibile confrontarsi, ma è una sfida che possiamo cogliere e confido anche nella disponibilità dei prossimi governi ad ampliare le risorse”. 

Con lei è stata confermata la “squadra” dei direttori, a cominciare da Hou Hanru. 

“Il suo arrivo al Maxxi come direttore artistico è stata un’altra tappa significativa e ci ha proiettato in un circuito internazionale. Per fare viaggiare un progetto come questo servivano curatori di chiara fama, come lo sono anche Margherita Guccione e Bartolomeo Pietromarchi che dirigono i dipartimenti di architettura e arte, rispettivamente. Ora produciamo mostre con il Moma di New York, il Barbican di Londra, i musei di Seul, Pechino e Shaghai. Abbiamo consolidato la nostra reputazione con una squadra di qualità e mostre di forte richiamo. E’ un lavoro che non è ancora finito. L’altra leva fondamentale è stata quella della gratuità”. 

Ci spiega cosa intende? Il Maxxi ha avuto 430.000 presenze lo scorso anno ma “solo” 120.000 ingressi paganti. C’è chi guarda a questi numeri con qualche scetticismo? 

“Vorrei uscire da una certa tirannia dei numeri perché rischia di farci smarrire l’impatto sociale e culturale di una istituzione complessa come questa. Al Maxxi abbiamo sposato la logica della gratuità sul modello della Tate Gallery e ne vado fiera. Siamo l’unico museo ad aprire la collezione gratuitamente, una scelta che all’inizio mi ha fatto passare qualche notte insonne ma che poi ha funzionato. Perché la gratuità di tante attività – laboratori, scuole, eventi – che offriamo senza biglietto grazie al contributo dei nostri partner e sponsor privati, è stato il motore che non solo ha fatto crescere le visite ma anche gli incassi trainati da mostre di qualità. Abbiamo registrato un incremento del 17% sui biglietti lo scorso anno, con un incasso di circa 1 milione sugli oltre 5 che arrivano dall’autofinanziamento. Una voce che copre ormai quasi il 40% del bilancio e che ci consente di portare avanti progetti innovativi e di acquistare nuove opere – 47 solo nel 2017 – ampliando la collezione con un effetto volano non indifferente. Ecco perché è più importante parlare di numero di visitatori che non del semplice numero dei biglietti”. 

Quali sono le mostre che hanno avuto maggior successo e su quali puntate per il 2018? 

“E’ sempre difficile fare questo genere di classifiche perché il biglietto del MAXXI apre l’accesso a tutti i contenuti del museo. Comunque posso dire che hanno avuto molto successo, in questi anni, mostre come “Bellissima” sulla moda o quelle dedicate a Letizia Battaglia, Zaha Hadid, il Giappone e Istanbul. Stanno andando molto bene “Gravity” e “Home Beirut” che sono tuttora in corso. Per quest’anno abbiamo 10 nuove mostre in calendario: si parte da Nanda Vigo, subito dopo avremo “Blackout” con le opere di Jennifer Allora e Guillermo Calzadilla. Mi fa piacere citare la mostra dedicata a Bruno Zevi oltre a “Eco e Narciso” realizzata in collaborazione con Palazzo Barberini. Dopo la trilogia Iran-Istanbul-Beirut sposteremo lo sguardo sull’Africa con “African Metropolis” a metà anno. A fine anno segnalo “The Street” che si occuperà di ristrutturazione urbana e resterà aperta sei mesi”. 

La ricerca di capitali privati, il cosiddetto fundrasing, richiede un grosso lavoro 

“Abbiamo acquisito 1,7 milioni da privati con i nostri Acquisition Gala Dinner. Ne sono contenta ma sono anche consapevole che ci sono ampi spazi di miglioramento. Per esempio, stringendo la relazione con la nostra città che attraversa un momento difficile e faticoso. L’incremento di pubblico che abbiamo registrato, infatti, in massima parte è dovuto a giovani e stranieri. Su Roma vorremmo puntare ad ottenere un’adesione massicia alla MyMaxxi Card, l’abbonamento che consente l’ingresso per un anno con 50 euro”. 

E sull’estero? 

“Mi aspetto molto dagli American Friends of Maxxi. Dopo un lungo percorso, stiamo per ottenere il riconoscimento dal fisco Usa. Questo ci consentirà di espandere la rete dei donors privati che potranno detrarre dalle tasse i loro contributi”.

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