Utile netto in calo per Mediobanca ma il risultato batte le attese degli analisti e il titolo vola in Borsa posizionandosi in vetta al Ftse Mib con un rialzo del 4,67%.
Nel dettaglio, Piazzetta Cuccia ha chiuso il primo trimestre dell’esercizio 2018-2019 con un utile netto pari a 245,4 milioni, in ribasso del 18,4% rispetto allo stesso periodo del 2017. Il calo, spiega Mediobanca, si deve all’assenza di plusvalenze relative a cessioni di azioni (circa 89 milioni nel primo trimestre 2017-2018 in seguito alla vendita della quota in Atlantia). Il risultato, come detto, batte nettamente le attese degli analisti, che avevano previsto 220 milioni di utile.
Andando avanti coi parametri finanziari, i ricavi sono saliti del 6,6% a 637,7 milioni (630 milioni la stima del consensus), con margine di interesse a 344,1 milioni (+3,7%) e commissioni e altri proventi netti a 155,1 milioni (+12,1%).
Crescono anche i costi di struttura, assestatisi aa 271,4 milioni (+6,1%) per un rapporto cost/income sceso al 42,6%. L’utile operativo è a 308 milioni, in crescita del 7% annuo e contro attese per 285 milioni. Le rettifiche su crediti sono ammontano a 58,8 milioni (da 54,6), con un costo del rischio stabile a 56 punti base.
Attraverso una nota, Mediobanca spiega che il consolidamento a equity di Generali e delle partecipazioni minori concorre al risultato per 97,7 milioni (89,7 milioni lo scorso anno).
Generali “per noi è una partecipazione molto importante per il contributo al risultato economico di Mediobanca – ha affermato l’ad Alberto Nagel – Siamo molto attenti e sosteniamo le opzioni di sviluppo dell’utile netto sia organiche che extra organiche con l’ovvio caveat che il nostro auspicio è che questa crescita comunque non alteri la caratteristica di Generali di essere un campione con basi e radici italiane ma con una presenza molto internazionale’. Generali, ha ribadito Nagel rispondendo a una domanda sui rumors che vogliono i grandi soci della compagnia triestina favorevoli a un’acquisizione internazionale, “ha una radice e un ancoraggio italiani, ma un business che è stato e dovrà essere molto internazionale”.
Tornando al trimestre, gli impieghi sono saliti del 2,8% rispetto a giugno a 42,3 miliardi, con attività deteriorate in calo a 827,9 milioni (da 842,1) con coperture al 58,2%. L’incidenza dei crediti deteriorati lordi è pari al 4,5% (dal 4,6%) e al 2% (dal 2,1%) per gli npl netti. Le sofferenze nette sono pari a 112,7 milioni, con un tasso di copertura al 79,4%. L’attivo totale del gruppo è cresciuto in tre mesi a 74,8 miliardi da 72,3 con “net new money” di 1,9 miliardi nel trimestre. La raccolta si attesta a 49,6 miliardi (+1,8%). Il liquidity coverage ratio è al 161%, il net stable funding ratio al 108%.
Infine le singole divisioni: il wealth management ha registrato un utile di 17 milioni (da 15,5 nel primo trimestre dello scorso esercizio), il credito al consumo ha contribuito con 89,7 milioni (+12%), il corporate & investment banking con 67,8 milioni (in calo da 74,5 “unicamente per le minori riprese di valore sui crediti corporate”), il principal investment con 98,5 milioni (da 170,5) “pur in assenza di plusvalenze”, mentre la perdita delle funzioni di holding si e’ ridotta a 27 milioni (da -38,5).
Piazzetta Cuccia spiega poi quanto l’impennata dello spread abbia inciso sui conti. In particolare, l’allargamento del differenziale tra Btp e Bund è “costano” a Mediobanca solo 2 punti base in termini di Common equity tier 1 nel primo trimestre dell’esercizio 2018-2019. Ul Cet1 phase-in è pari al 14,18% (al 13% il dato fully loaded). La lieve flessione rispetto al 14,24% di giugno, spiega la nota, “sconta l’introduzione dell’Ifrs9 (circa un punto base) e le minori riserve da valutazioni dei titoli “hold to collect and sale”, di cui soli 2 punti base collegati ai titoli di Stato italiani”. Mediobanca detiene un portafoglio di BTp da 2,8 miliardi (con una durata media di 2,5 anni), che pesa per il 40% del Cet1.
Impossibile non fare alcun riferimento al patto. Nagel ha risposto a una domanda relativa all’ipotesi che i grandi soci dell’istituto formino un nuovo patto di consultazione “light” dopo lo scioglimento a fine anno dell’attuale accordo parasociale: “Non credo competa al management dare suggerimenti o raccomandazioni su come i nostri azionisti si vogliano organizzare”. L’ad ha ricordato comunque che negli ultimi anni “sia i soci del patto che gli investitori istituzionali hanno favorito questo tipo di sviluppo della banca e di cambiamento di profilo di business”. “Se si organizzeranno o meno in un patto più o meno light – ha aggiunto – noi continueremo a lavorare con l’impostazione che conoscete e che entrambe le famiglie di azionisti hanno appoggiato e favorito. Da questo punto di vista non cambia nulla nell’azione del management”.