L’Annuario R&S raccoglie i dati di 10 fra i maggiori gruppi della moda con sede in Italia. L’aggregato può quindi ritenersi esaustivo dei maggiori operatori del settore, con la notevole eccezione del gruppo Gucci, di cui non è disponibile un bilancio consolidato in quanto parte del gruppo francese Ppr (Pinault-Printemps-Redoute): il suo giro d’affari 2011 è indicato in 3,8 miliardi di euro (3,1 miliardi. il solo marchio Gucci, 0,7 miliardi il marchio Bottega Veneta).
Le società della moda hanno operato nel 2011 essenzialmente lungo tre direttrici: rafforzamento dei marchi, anche attraverso una comunicazione commerciale efficace; arricchimento della gamma e della qualità; rinnovo e potenziamento della rete di negozi. Circa quest’ultimo punto, il ritorno di un corretto posizionamento attraverso punti di vendita diretti è percepito come una leva competitiva essenziale. Il principale driver della crescita continua ad essere lo sviluppo della popolazione abbiente in Asia, ex Unione Sovietica e Sud America i cui abitanti tendono ad omologare i modelli di consumo, di stile di vita di immagine dei brand occidentali man mano che ne migliora il tenore di vita.
Il mercato della moda, stimato in poco meno di 200 miliardi. nel 2011, è cresciuto mediamente del 10%, meno nell’abbigliamento (+8%) e nella cosmetica/profumi (+3%), maggiormente nella componente hard luxury (gioielli e orologi, +18% nel 2011). Le attese sono di crescita anche per gli anni a venire, con tassi medi annui attorno al 7% e con aspettative particolarmente positive per il segmento hard luxury. L’aggregato della moda italiana ha chiuso il 2011 in crescita: le vendite sono aumentate del 10,1%, i margini industriali del 21,9%, il risultato netto del 25,4%. Le variazioni 2011/2010 di fatturato e mon per singolo gruppo sono riportate nel grafico che segue (le società sono in ordine di variazione del mon).
Cinque gruppi (Zegna, Ferragamo, Prada, Tod’s e Armani) hanno realizzato incrementi in doppia cifra sia del margine che del fatturato. Segnano invece flessioni D&G e Benetton; Miroglio ha riportato nel 2011 un margine industriale negativo. L’aggregato della moda ha chiuso in 2011 con valori di redditività in crescita sul 2010: il roi passa dal 14,9% al 19,7%, il roe dal 13,4% al 16,4%. E’ un risultato di rilievo, tenuto conto che i maggiori gruppi industriali e di servizi italiani quotati hanno chiuso il 2011 con un roe del 5,5%, in calo di 7 p.p. sul 2010 (12,5%), ed un roi all’11,5% (questo invece in crescita dall’11,3% del 2010). Il quadro è comunque differenziato per i 10 gruppi della moda (grafico a seguire).
Ferragamo è il gruppo con il maggiore roi nel 2011 (38,1%), Prada quello con roe maggiore (33,5%). Segnano rendimenti inferiori al 10% Only the Brave (Rosso), Max Mara e Benetton. Il gruppo Miroglio è in negativo nel 2011. L’occupazione media dell’aggregato è complessivamente in aumento del 4%, a 64.400 dipendenti. La produttività nominale (valore aggiunto netto per dipendente) è in crescita del 12,9% sul 2010 (da 71 mila euro a 80mila euro), mentre il costo del lavoro unitario si riduce del 7,1% (da 45 mila euro a 42 mila). Si tratta di livelli che non hanno riscontro in quelli della grande manifattura italiana (il riferimento è sempre ai grandi gruppi quotati), la cui produttività nominale si è attestata nel 2011 a 63 mila euro per dipendente (l’11% in meno della moda) ed il cui costo del lavoro pro capite è pari a 47 mila euro (il 12% in più): ne segue un rapporto tra valore aggiunto netto e costo del lavoro pari a 1,9 volte per la moda, a 1,3 volte per la manifattura (o, per converso, un’incidenza del costo del lavoro pari al 52,5% per la moda ed al 75% per la manifattura). A seguire i gruppi della moda ordinati per incidenza del costo del lavoro sul valore aggiunto netto nel 2011.
Gli utili cumulati nell’ultimo quinquennio (2007-2011) hanno toccato i 4,3 miliardi di euro, a fronte dei quali sono stati corrisposti dividendi pari 1,1 miliardi, per un payout medio del 26%; in tre casi (D&G, Max Mara e Only the Brave) gli utili realizzati sono stati trattenuti in azienda. Il payout più generoso è della Tod’s (75%). La struttura finanziaria è improntata nell’insieme a grande solidità: i debiti finanziari sono pari ad appena il 15,5% dei mezzi propri, in miglioramento dal 20,5% del 2010. Praticamente priva di debiti la Giorgio Armani (0,3% dei mezzi propri). La grande manifattura, a titolo di raffronto, ha iscritto nel 2011 debiti finanziari in misura pari al 115% dei mezzi propri. Il rapporto tra debiti finanziari e mon si è portato per l’aggregato della moda sotto l’unità, a 0,8 volte (era 1,2 volte nel 2010). Le disponibilità sono pari a due volte i debiti finanziari (1,5 volte nel 2010).
Driver delle vendite si confermano i mercati lontani. Il fatturato europeo è cresciuto del 4,5% sul 2010, quello del resto del mondo del 17,5%. Il risultato è ancora più rilevante alla luce del rafforzamento dell’euro sul dollaro (+4,9% nel 2011). Il fatturato realizzato in Europa scende per l’aggregato dal 57% del 2010 al 54,2% del 2011. La proiezione extraeuropea è particolarmente forte per Zegna (25,9% le vendite europee) e Ferragamo (24,3%), mentre hanno un focus ancora prevalentemente europeo Benetton (79%), Max Mara (72%), Miroglio e Tod’s (70,6%). In generale, la prevalenza delle vendite extraeuropee è associata alla migliore marginalità (roi), come evidente nel grafico a seguire (società in ordine crescente di vendite europee).
Limitatamente ai tre gruppi quotati che presentano conti infrannuali, i primi nove mesi del 2012 segnano ulteriori progressi: il fatturato cresce del 25,3% (+16,6% in Europa, +32,1% altrove), i margini industriali (mon ) del 35,6%. L’incidenza dei margini industriali sul fatturato appare in ulteriore progresso dal 21,5% del 2011 al 23,3% del 2012. La dinamica delle vendite è stata sorretta dal deprezzamento dell’euro che nei primi nove mesi del 2012 ha perso l’8,9% sul dollaro.