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Mediobanca: migranti economici generano aumento Pil del 1% in 5 anni, ma in Italia solo il 14% ricopre ruoli ad alta qualificazione

Secondo Mediobanca, le politiche di integrazione, anche se molto costose, sono ormai diventate una strada obbligata

Mediobanca: migranti economici generano aumento Pil del 1% in 5 anni, ma in Italia solo il 14% ricopre ruoli ad alta qualificazione

Secondo le proiezioni dell’Istat al 2050, in Italia a fronte di un saldo naturale (nati meno morti) negativo per 360mila unità all’anno, vi sarebbe un saldo migratorio netto positivo per 195mila unità. Da un lato, insufficiente a produrre una piena compensazione, dall’altro comunque tale da più che dimezzare l’effetto della modesta natalità. 

Banca d’Italia stima inoltre che nel 2040 potrebbero esserci 5,4 milioni di persone in meno in età lavorativa (15-64 anni), mentre la forza lavoro potrebbe calare del 9% e di altrettanto il pil. Tuttavia, l’impatto economico non dipende solo dal numero di migranti, ma anche dalla qualità dei flussi.

“Uno dei motivi di maggiore interesse per cui si auspica un approccio razionale da parte dell’Italia al tema della migrazione riguarda il fatto che quest’ultima, se correttamente governata, è in grado di portare un beneficio economico non solo contribuendo al contrasto dei trend demografici, ma anche favorendo lo sviluppo della produttività, uno dei principali nodi con cui il nostro Paese si confronta da ormai molti anni”. È quanto emerge dalla ricerca “Gli impatti economici delle migrazioni: problema o risorsa?, realizzata dall’Area Studi Mediobanca in occasione della prima Csr Conference di Piazzetta Cuccia, “Migrazioni e inclusione, l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati”. 

Con i migranti economici: Pil +1% in 5 anni

La migrazione non è un fenomeno omogeneo, perché gli impatti dei flussi migratori variano notevolmente in base alle cause che li hanno prodotti. Per i migranti economici si stima un aumento medio del pil dell’1% a cinque anni dal loro ingresso, laddove però nell’ultimo decennio per le maggiori economie dell’Ue che sono tradizionale destinazione degli immigrati (Italia, Francia e Germania, tra le altre), i permessi di soggiorno per motivi lavorativi sono stati il 15% del totale, contro il 40% di quelli legati a ricongiungimenti. 

Il modesto impatto economici dei rifugiati sarebbe superato con l’adozione di politiche di integrazione che, a seconda della loro dimensione ed efficacia, potrebbero generare incrementi del pil tra lo 0,6% e l’1,3% rispetto al modesto +0,15% conseguibile a politiche invariate. 

In Italia solo il 14% ricopre ruoli ad alta qualificazione

Oggi, nel nostro Paese, “solo il 14% dei migranti in Italia ricopre ruoli ad alta qualificazione, rispetto al 33% della media europea e a percentuali ancora più elevate in Paesi come Svezia (51%), Norvegia (47%), Danimarca (43%) e anche Germania (34%)”, sottolinea lo studio, secondo cui i migranti italiani, “appaiono segregati in mansioni a bassa qualifica, sia assoluta che relativa, rispetto alle competenze”.

“Se da un lato le imprese ne conseguono vantaggi di costo e aumento dei profitti – avverte Mediobanca – dall’altro si generano anche inefficienze economiche significative: in Italia, infatti, un aumento dell’1% della quota di migranti extra-Ue nel mercato del lavoro è collegato a una riduzione della produttività dello 0,5%”. 

Questo è in “forte contrasto con la casistica internazionale, che tende invece ad associare alla migrazione effetti positivi anche in termini di produttività”. 

Mediobanca: “Politiche di integrazione sono strada obbligata” 

Come si risolve questo cortocircuito? Secondo Mediobanca, “l’adozione per l’Italia di un mix di politiche virtuose, ispirate ai modelli svedese e canadese, consentirebbe di abbattere al 2060 l’indice di dipendenza italiano in misura superiore al 40%, vincendo tutti i venti contrari della demografia”. Le politiche di integrazione appaiono quindi “come la strada obbligata per una piena valorizzazione del fenomeno migratorio, compreso quello dei migranti che hanno lasciato il proprio Paese con motivazioni diverse dalla ricerca di lavoro (ad esempio, i rifugiati)”.

Esse “richiedono costi rilevanti che, tuttavia, hanno la valenza di investimenti in grado di generare ritorni superiori ai costi che hanno comportato”. Tuttavia, conclude Mediobanca, “un punto rilevante è anche rappresentato dall’immagine che un Paese offre di se”. Essa infatti appare correlata alla qualità professionale dei migranti che il Paese riesce ad attrarre”.

Nagel: “Politiche d’integrazione pagamento, ma vanno prima pagate”

“Se è vero che politiche di integrazione strutturate pagano in termini economici, è anche vero che esse vanno prima pagate. Esse, infatti, richiedono ingenti stanziamenti di risorse pubbliche e lunghi periodi di attesa prima che possano produrre i propri frutti”, ha sottolineato l’amministratore delegato di Mediobanca,  Alberto Nagel, durante la Csr Conference di Piazzetta Cuccia. “Indicativamente – ha detto -, occorrono dieci anni prima che il costo pubblico si ripaghi in termini di crescita del Pil. Ciò restringe la praticabilità di tali misure a quei soli Paesi che hanno bilanci statali capienti e una classe politica, e relativo elettorato, sufficientemente pazienti”. 

L’esperienza italiana appare quindi “migliorabile” e al nostro Paese “resta molta strada da fare”. “I migranti italiani, per la loro minore qualificazione, finiscono per essere confinati nelle occupazioni piu’ elementari ed esecutive – sottolinea Nagel -. Esse sono anche quelle che i nativi tendono ad evitare. Non solo: i migranti in Italia, anche quando dotati di formazione specifica, finiscono per accettare mansioni dequalificanti”. Le imprese, di conseguenza, “tendono ad assumere migranti con finalità di cost saving, senza farne strumento per un miglioramento della produttività”. Ciononostante, conclude Nagel, tra i fattori che hanno un ruolo rilevante nella ‘contabilità della crescita, ci sono “il tasso d’occupazione, l’incidenza della popolazione attiva (quella che partecipa al mercato del lavoro) e la produttività del lavoro” e, conclude, “i migranti sono in grado di incidere su tutte queste variabili”.

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