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Mediobanca: meno banca, più azioni. Ecco la rivoluzione Nagel

“Più banca, meno azioni”. Così il Corriere della Sera anticipa la rivoluzione che Alberto Nagel, ad di Mediobanca (e in quanto tale grande azionista di via Solferino) si accinge a presentare prima al cda di oggi, poi venerdì alla City meneghina: Mediobanca, il salotto buono per eccellenza, si accinge con prudenza a mettere all’asta poltrone, divani e maggiolini che da due terzi di secolo ospitano quella che un tempo fu la crème de la crème del capitalismo nostrano. Al suo posto ci sarà più spazio per l’attività di credito, sia tradizionale che elettronica, votata sia alla missione della banca d’affari che  al brokeraggio in Italia o fuori. O altro ancora: l’importante è che si faccia profitti, mica gestione del potere, vecchio vizio/abitudine dell’impresa icona di quasi tre quarti di secolo della finanza italiana.

Andrà proprio così oppure, almeno per ora, sarà una rivoluzione a metà? La curiosità è tanta. Anche perché non è la prima volta che Mediobanca cerca di liberarsi del destino di centauro, la figura del mito metà uomo metà cavallo cui la paragonò Enrico Cuccia in persona. Prima ci fu il conflitto tra il pubblico ed il privato, banchiere dei banchieri  e Romano Prodi, allora paladino del pubblico sotto le insegne dell’Iri. Poi quella tra i manager  e gli azionisti, culminata nella defenestrazione di Vincenzo Maranghi. Poi venne il duello Milano-Roma, ovvero Nagel e Pagliaro contro Cesare Geronzi. Alla fine, il groviglio di eredità scomode, culminato nel gran pasticcio Ligresti-Fondiaria, una giungla di trappole morali che ha rischiato di soffocare lo stesso Nagel.

DAL CENTAURO ALLA BANCA DI RAZZA

Insomma, non si poteva andare avanti così, pena il disastro. Probabilmente è maturata in quei giorni, mentre l’ad faceva i conti con la famiglia Ligresti azionista e debitrice e Renato Pagliaro gestiva i primi passi della normalizzazione della disastrata Rcs, la genesi della nuova Mediobanca, così come la intende Nagel: da una parte il business bancario, l’unico che in questi anni difficili ha consentito a Mediobanca di presentare un bilancio in utile e su cui ora occorre ancora di più investire. Dall’altra la cassaforte, già impoverita, in cui  sono conservate le ultime gemme dell’impero che fu,  da anni più fonte di guai e di svalutazioni del portafoglio (circa un miliardo e mezzo negli ultimi cinque anni) che foriere di buoni affari. Presentata così, l’operazione sembra davvero una rivoluzione. Ma in Piazzetta Cuccia non piace parlare di Big Bang, semmai di un nuovo passo verso una mutazione generica da gestire all’insegna della continuità. Non si taglia in due in un solo giorno  un centauro per ricavarne un purosangue. Soprattutto quando il purosangue non gode di grande prestigio presso i bookmakers del mercato azionario.

Se si analizza Mediobanca alla luce del criterio della somma delle parti, infatti, emerge che la somma delle partecipazioni in portafoglio vale  più alta della capitalizzazione dell’istituto. Ovvero, allo stato attuale il mercato attribuisce valore zero alla capacità del business bancario di generare profitti. Un giudizio paradossale ma con cui Nagel dovrà comunque fare i conti. Quali possibilità avrà piazzetta Cuccia in un agone competitivo sempre più complesso, per giunta non più limitato ai campioni nazionali di creare più valore per gli azionisti? E con quali mosse?

L’ISTITUTO PUNTA SUL BUON CIB

L’asso nella manica di Nagel è il Cib, che sta per Corporate & Investment banking, ovvero il cuore del sistema  che tra il 2005 (primo piano industriale) ed il 2012 ha visto crescere i ricavi dell’80% (da 522 a 933 milioni) e che oggi apporta al gruppo il 70% dei profitti a fronte del 45% dei ricavi. E’ da qui che Nagel  può ottenere le migliori soddisfazioni.  Dalla sua, del resto,  il Cib vanta già alcuni lusinghieri voti in pagella: l’aumento del risultato operativo (+84%), l’aumento degli impieghi(da 13,8 a 22 miliardi) senza aver generato sofferenze, rimaste allo 0,3%. Il neo resta la scarsa incidenza dell’estero, che in otto anni è passata dal 2 al 2,4%.  Le basi, insomma, ci sono. Ma per entrare nella serie A dei grandi affari occorre più energia: non basta avere un Core tier 1 del 12% (al top europeo) per far fronte  agli impegni regolatori senza tirarsi indietro dallo sviluppo dell’attività industriale. Di qui la necessità di far cassa con le partecipazioni. E più in fretta lo si fa, più posizioni si possono conquistare  in un mercato in via di rapida riorganizzazione.

NOZZE TRA CHE BANCA! E COMPASS? NO, SOLO SINERGIE

Molta attenzione sarà dedicata alla divisione retail di cui fanno parte: Compass, con un portafoglio di credito al consumo di 9 miliardi; il 50% di Esperia, il private banking posseduto assieme a Mediolanum. Infine Che Banca!, un indiscutibile successo di marketing che ha assicurato con il suo flusso di depositi la liquidità necessaria al sistema Mediobanca  anche nei momenti di maggior tensione sui mercati ma non ha ancora raggiunto, dopo cinque anni, l’equilibrio dei conti.  Di qui il rumor su una possibile integrazione tra la banca quasi solo on line e la stessa Compass, del resto già smentito: tra le due società ci saranno sinergie, ma non una fusione. Forse troppo poco per convincere gli analisti che comunque si attendono novità su Banca Esperia, un’iniziativa che non ha mai raggiunto risultato in linea con le attese iniziali, a differenza di Banca Generali.

PORTAFOGLIO: SOLO GENERALI NON E’ IN VENDITA

La madre di tutte le questioni, naturalmente, resta la sistemazione del portafoglio di Mediobanca. O, meglio, di quel che resta, perché la rivoluzione silenziosa è in parte avvenuta. Dal 2004 ad oggi sono state vendute partecipazioni per 3,3 miliardi: Fiat, Ciments Français, Commerzbank, Fonsai, Mediolanum, Pininfarina, Intesa San Paolo, Ferrari e Finmeccanica.  Oggi, però, si accelera un po’ Su tutti i fronti. Ogni giocatore della squadra, per usare un linguaggio calcistico, è vendibile se ci saranno le condizioni di mercato: Telco-Telecom, Pirelli, Rcs. Ma, come in ogni squadra, c’è un giocatore incedibile: le Generali, Ma anche qui, un po’ per scelta un po’ per necessità  (i criteri di Basilea vietano l’eccessiva concentrazione su una singola partecipazione) si dovrà ridurre la quota dl 13,2% attuale al 10% circa.

Per Mediobanca, ma non solo, si tratta di tratta di un taglio epocale con la tradizione della “galassia del Nord” su cui si sono spesi fiumi di inchiostro e che oggi viene consegnata alla storia. Prende il via così un processo né rapido né lineare ma che, complice l’emergenza del Paese,  stavolta sembra davvero inarrestabile: la Terza Repubblica, nel mondo del credito comincia il suo viaggio di venerdì.

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