Piace a Piazza Affari Mediobanca più “leggera”. Per più motivi. Innanzitutta, i conti sono migliori del previsto: utili per 171 milioni di e in crescita del 57%. Ancor più importante, una parte delle plusvalenze è il frutto dell’annunciata riduzione della quota in Telco dall’11,62 al 7,34%, e di utili da cessione di altre quote per 20,7 milioni. Una strategia che compensa in larga misura la frenata dei ricavi che scendono a quota a 416,3 milioni (-8,2%) causa la crisi della corporate Italia.
Alberto Nagel si congeda così dal modello “salotto buono” che ha segnato, e condizionato, buona parte dell’esistenza di Mediobanca. Ma non rinunca alla tradizionale esuberanza verbale che, una volta l’anno, distingueva gli affondi di Vincenzo Maranghi. Proprio nel giorno in cui Alberto Patuano va in processione a palazzo Chigi per rassicurare il governo sul dna tricolore di Telecom Italia, l’ad di piazzetta Cuccia bolla così le mosse bipartisan per intimare il “no pasaran” a Cesar Alierta: “Questa storia dell’italianità è una favola che ci vogliamo continuare a dire probabilmente per coprire qualche inefficienza nostrana. L’italianità non ha senso e la storia che dobbiamo difenderci è un’autentica fesseria”. “Telefonica rappresenta una buona opportunità – ha aggiunto – mi stupiscono i commenti che parlano di Telefonica come di un partner negativo. L’operazione è una cosa buona per tutti gli azionisti di Telecom Italia”.
La sincerità non cambia, la sostanza sì. Nagel non si limita a dare il via al congedo da Telecom. L”istituto conferma di aver già ceduto lo 0,49% di Rcs già fuori patto e l’1,3% di Gemina. Non solo. La banca di piazzetta Cuccia non molla la presa sull’ex protetta Fonsai: si sta valutamdo l’ipotesi di costituirsi parte civile nell’ambito del processo per falso in bilancio sulla gestione Ligresti di Fonsai che si terrà a Torino. Valuteremo come parte civile”, ha spiegato Nagel.
Insomma, la banca svuota la cassaforte dei gioielli costituiti a difesa dei poteri forti. La prossima mossa, si sa, riguarderà Pirelli. Poi, senza danneggare le plusvalenze implicite ed esplicite, si liquiderà quel che resto di Rcs e Gina. Fa eccezione Generali, ma solo perché la compagnia “continuerà ad essere un fattore importante di contribuzione di reddito e di capitale”. I piani di vendita di una quota del 3% del Leone ”servono a generare capitale per la banca, a mantenere la banca ben capitalizzata – ha spiegato Nagel – senza rinunciare a un utile stabile crescente che viene dalla compagnia”.
Anche grazie a Generali Mediobanca, assicura Nagel, si presenterà ai test della Bce con un patrimonio più che adeguato. Ma con quale azionariato? Qui esplode un piccolo giallo. Fonti “bene informate”, definizione che si richiama ai tempi in cui Mediobanca era più ermetica del Cremlino, fanno sapere che il patto di sindacato di Mediobanca potrebbe venir cambiato dando vita a un accordo di consultazione con un alleggerimento dei vincoli sulla disponibilità delle azioni e l’abolizione dei diversi gruppi. Ma alla presidenza del patto di Mediobanca fanno sapere che ”non ci sono novità di cambiamento rispetto a quanto comunicato in data 30 settembre su rinnovo, tipologia e composizione dell’accordo”.
Insomma, non a tutti piace la fuga in avanti verso il modello public company che tanto piace alla nuova Mediobanca che vuole dimostare di non aver nulla da imparare dai modelli d’oltralpe, da Julius Baes a Oppenheimer. Ma, più che le dietrologie, ormai contano i fatti. Per Mediobanca ”è partita un’era nuova su cui il management sta facendo una grossa scommessa, ragionata e quindi vediamo quali saranno i risultati futuri’. Parola di Federico Ghizzoni, a d di Unicredit, primo azionista di piazzetta Cuccia. Anche se, sottolinea Nagel, uj matrimonio tra Unicredit e Mediobanca “non è alle viste non è nei programmi’