Dopo la crescita registrata negli ultimi anni, per il 2024 le prospettive per le medie imprese italiane sono in chiaroscuro: le previsioni parlano infatti di un calo del fatturato dell’1,2% dovuto a un insieme di fattori, primo dei quali il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, seguito da riduzione dei margini, competizione sui prezzi, approvvigionamento delle materie prime. Nonostante ciò le medie imprese italiane sono già avanti sul cammino della transizione digitale, con l’82,6% di esse che ha investito o investirà dal 2021 al 2026 in tecnologie 4.0, il 37,9% che adotterà l’Intelligenza Artificiale nei prossimi tre anni e il 69,6% che ha investito o investirà in green nel periodo considerato.
Sono questi i dati principali che emergono dal XXIII Rapporto sulle medie imprese industriali italiane e dal Report “La competitività delle medie imprese tra percezione dei rischi e strategie di innovazione” realizzati dall’Area Studi di Mediobanca, dal Centro Studi Tagliacarne e Unioncamere e presentati oggi a Modena. Si tratta di una realtà produttiva composta nel 2022 da poco più di 4.000 imprese che da sole rappresentano il 16% del fatturato dell’industria manifatturiera italiana, il 15% del suo valore aggiunto, il 14% delle esportazioni e il 13% degli occupati totali.
I numeri delle medie imprese: recupero sul pre-Covid migliore rispetto alle grandi
Dal 1996 le vendite delle medie imprese sono cresciute del 187,7%, a fronte del +130,8% messo a segno dalle grandi. Il recupero medio sul pre-Covid (2019-2021) è stato migliore di quello messo a segno dal resto della manifattura italiana, tanto nel fatturato (+5,6% contro il +4%), quanto nelle esportazioni (+4,6% contro +4,2%), nel valore aggiunto (+5,6% contro +4,4%) e nella forza lavoro (+1,1% contro +0,01%). Il 2022 ha visto crescere ulteriormente il fatturato (+17,1% nominale, +2,9% a valori reali) con le vendite oltreconfine in aumento del 16,2% (3,6% deflazionato). “Esse confermano dunque la grande capacità di adattamento che le ha rese meno sensibili agli shock, ma guardano al futuro con cautela”, sottolinea il report, secondo cui, le incertezze del contesto competitivo hanno portato il 2023 a chiudere con vendite invariate (+0,1%) ed esportazioni in lieve incremento (+0,5%). Per il 2024, invece, le prospettive sono di un calo contenuto dei ricavi (-1,2%), più acuto sui mercati esteri (-4%) soprattutto per alcuni comparti dell’alimentare, per il metallurgico e per i settori diversificati. Rimangono tuttavia ottimiste le imprese che operano nell’alta gamma, che contano invece con una crescita delle vendite nell’ordine dell’1,8%, in linea con il fatturato del 2023 (che invece per tutti gli altri settori ha registrano in media un modestissimo aumento dello 0,1%.
Le medie imprese tra mismatch e sicurezza energetica
In cima alle preoccupazioni delle medie imprese c’è il cosiddetto mismatch, ovvero la difficoltà a reperire profili professionali adeguati, tant’è che per colmare questo gap, il 52,5% ha assunto o ha intenzione di assumere lavoratori extra-Ue entro i prossimi tre anni, soprattutto operai specializzati (68,7%).
“Tra le altre principali difficoltà fronteggiate nel 2023 dalle imprese, il 43,5% ha subìto una riduzione dei margini, il 36,1% la competizione sui prezzi, il 33% il mancato utilizzo della propria capacità produttiva a causa del ridotto potere d’acquisto dei clienti, il 26,2% problemi dovuti all’approvvigionamento di materie prime.
L’Unione europea, secondo le medie imprese, è un alleato fondamentale per superare alcune di queste criticità. Il 51,2% delle aziende crede infatti che l’Ue debba garantire la sicurezza energetica, il 45,5% una maggiore tutela dalla concorrenza sleale dei Paesi extra-UE, il 32,2% accordi internazionali per la sicurezza dell’approvvigionamento delle materie prime. Mentre un’impresa su quattro vorrebbe che l’Unione potenziasse il mercato unico facilitando gli scambi tra gli Stati membri.
E poi c’è il Pnrr, le cui risorse sono importantissime per la transizione digitale ed energetica. A dirlo è il 41,2% delle società che intendono investire in digitale e il 34% di quelle che hanno in programma di puntare sul green. Ma l’eccessiva burocrazia è per il 59,1% un ostacolo all’utilizzo del Piano.
I rischi percepiti dalle medie imprese
“La gestione dei rischi riveste un ruolo fondamentale, ancor più in un contesto carico di incertezze”, spiegano Mediobanca, Tagliacarne e Unioncamere, i cui rapporti mostrano che il 70,1% delle medie imprese attribuisce un’alta e medio-alta rilevanza al rischio connesso alle difficoltà di reperimento e trattenimento delle competenze professionali. Nella classifica dei “rischi perseguiti seguono poi la complessità del quadro normativo e legale (68,8%), il cyber risk (64,1%), i rischi inerenti alla sicurezza e agli infortuni sul lavoro (58,8%) e quelli derivanti dall’instabilità geopolitica e macroeconomica (58,5%). Il report evidenzia poi come, benché percepita come mediamente meno rischiosa, l’esposizione a eventi meteo di tipo catastrofale abbia interessato il 29,2% delle aziende considerate.
“Il territorio ancora oggi continua ad essere un importante fattore di accumulazione e di know how anche per le medie imprese, al punto che oggi più del 40% di queste aziende ha sede nei distretti industriali o in sistemi produttivi locali”, ha sottolineato Giuseppe Molinari, presidente del Centro Studi Tagliacarne, aggiungendo “pur trattandosi di realtà molto aperte ai mercati internazionali dove esportano il 42% del fatturato, la base produttiva resta radicata ai territori di origine. Solo l’11% delle medie imprese disloca, infatti, la produzione all’estero e una grande maggioranza preferisce rifornirsi da suppliers nazionali, a testimonianza della forte affidabilità e reputazione che, anche per queste aziende, riveste la componentistica italiana”.
“La gestione del rischio aziendale è affidata per lo più al proprio management (69,2%). La formazione sulla gestione dei rischi è quindi un driver di competitività importante, tanto che il 47% delle medie imprese ha già provveduto a investire in tal senso nel triennio 2021-2023 e il 47,8% lo farà nel 2024-2026. Il 33,7% delle imprese che ha svolto tale attività prevede un aumento del fatturato nel 2024 contro il 27,2% che non vi ha ancora provveduto”, continua il rapporto.
IA e green: le nuove sfide delle medie imprese
Nonostante le difficoltà della congiuntura internazionale, allo scopo di compiere la tanto agognata transizione digitale l’82,6% delle medie imprese ha investito in tecnologie 4.0 nel triennio 2021-2023 o lo farà entro il 2026. Per quanto riguarda l’IA, solo il 5,8% delle imprese oggi usa l’Intelligenza Artificiale, ma il 37,9% prevede di cominciare ad adoperarla nel prossimo triennio. Nello stesso arco di tempo, l’80% delle Mid-Cap prevede di investire in attività innovative volte all’efficienza e al risparmio energetico, confermando un ruolo primario anche nella transizione verde. In particolare, il 49,8% delle imprese green sta investendo in tecnologie strategiche per la neutralità climatica (Net-Zero).
“Le medie imprese spingono la transizione digitale e green del Paese: al 2026 quasi la totalità avrà investito nella digitalizzazione, rispetto alla quale crescerà molto nei prossimi anni l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, e nella sostenibilità ambientale, puntando in larga parte sulle tecnologie finalizzate al raggiungimento di una neutralità delle emissioni”, ha sottolineato Andrea Prete, presidente di Unioncamere.
“L’incertezza del momento impone alle medie imprese obiettivi chiari e selettivi, ad esempio in termini di posizionamento su mercati e linee di prodotto. Ciò richiede Capitale Umano di qualità, arduo da reperire e trattenere, una difficoltà che, un po’ sorprendentemente, riguarda anche i siti produttivi all’estero. L’IA, sotto questo profilo, interviene come possibile fattore mitigante e si sta facendo strada nelle agende degli imprenditori, ma a sua volta richiede competenze specialistiche. Quelle meno sofisticate possono invece essere soddisfatte da lavoratori provenienti da oltre confine: in questo senso le medie imprese si candidano anche a svolgere un preziosissimo ruolo di integratori culturali”, ha dichiarato Gabriele Barbaresco, direttore dell’Area Studi Mediobanca.