Viva il bis! Si leva dai mercati forte e chiaro il gradimento per la riconferma di Sergio Mattarella e, non meno importante, del tandem con Mario Draghi. Si abbassa lo spread nei confronti del Bund a 125 punti base, da 132 punti base di venerdì sera, quando molti già mettevano in conto il naufragio del governo ed il rischio di elezioni anticipate, un doppio rischio che avrebbe probabilmente comportato una forbice superiore ai 200 punti. Un incubo miliardario che i mercati hanno prontamente rimosso già all’apertura delle contrattazioni, abbassando il rendimento dei Btp all’1,22%.
Nemmeno l’allarme sui conti lanciato da Saipem, in caduta libera (-30% circa), ha spento l’ottimismo del mercato azionario, pur in frenata rispetto all’avvio, quando è stata superata di nuovo la soglia dei 27 mila punti. Ma più forte delle paure evocate da questo stop inatteso è il coro dei giudizi degli analisti e dei grandi investitori che, tra l’altro, mettono in risalto lo scampato pericolo ma anche le difficoltà comunque in arrivo, tra aumenti del costo del denaro sul dollaro ed un negoziato sul Patto di Stabilità che si annuncia complicato, fattori che giustificano la frenata dei Btp dopo l’avvio euforico.
La missione resta difficile, ma, se fosse venuta a mancare la credibilità di Draghi, sarebbe stata semplicemente suicida, come fa notare Oliver Eichmann di Dws: “Per quanto riguarda l’ulteriore sviluppo del premio al rischio dei titoli di stato italiani – dice – ci aspettiamo comunque un moderato aumento su un orizzonte di dodici mesi. Partiamo dal presupposto che la Banca Centrale Europea, molto probabilmente, interromperà gli acquisti netti di obbligazioni alla fine di quest’anno. Allo stesso tempo, è probabile che il rendimento dei Bund decennali salga ulteriormente quest’anno nella fascia del più 0,2%. Entrambi i fattori potrebbero indurre gli investitori ad adottare un atteggiamento un po’ più cauto verso i titoli di stato italiani. Ci aspettiamo un moderato aumento del differenziale di rendimento dei titoli di stato italiani decennali rispetto ai Bund a circa 1,5 punti percentuali nel corso di un anno”.
Insomma, il passaggio resta stretto: “A lungo termine – prevede l’olandese Marteen Geerdink di NN Investment – la rielezione implica che Draghi ha ora una finestra di 6-12 mesi per portare avanti l’agenda delle riforme e mettere l’Italia su una base più forte. Questo dovrebbe essere di buon auspicio per i mercati italiani nel breve e medio termine, ma le sfide rimangono in quanto queste riforme devono essere attuate in una finestra temporale che si chiude a causa delle elezioni nazionali che sono previste per il 2023 e possono portare nuova incertezza”.
Non sarà una passeggiata ma, fa notare Bank of America, una volta tanto chi ha puntato sul bel Paese, ha fatto centro. In un report intitolato Buy Italy, l’istituto Usa ricorda che la capitalizzazione di mercato aggregata dei titoli finanziari italiani sotto la copertura degli analisti è passata da 99 miliardi di euro un anno fa (in coincidenza con Draghi eletto premier) ai 142 miliardi di euro attuali, ovvero un rally del 44% destinato a proseguire per vari fattori: il calo delle sofferenze, l’effetto del Pnrr ma soprattutto la sensibilità dei conti all’andamento di titoli di Stato. Non è certo per caso che stamane il titolo più brillante sia Poste Italiane +3%, il principale detentore dei titoli di Stato.
Infine, a giustificare un moderato ottimismo, ci sono i dati del Pil: l’economia italiana ha registrato una ripresa significativa nel quarto trimestre del 2021, con una crescita annua pari al 6,4%. Rispetto al trimestre precedente, la crescita è dello 0,6%, il consensus era +0,5%. Certo, si è verificata una decelerazione del ritmo della crescita rispetto alle prime tre frazioni, da ricondursi principalmente al riacutizzarsi del quadro epidemiologico dovuto ad Omicron e al caro-energia. Così come non mancano le inquietudini per il futuro del Paese oltre le elezioni del 2023, evocate da Barclays. Ma, almeno per oggi, accontentiamoci.