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Materie prime, Usa in crisi: sorpasso Brasile per cotone e mais. I cambiamenti climatici ribaltano le gerarchie

Pixabay

Grandi cambiamenti in corso in alcuni mercati delle materie prime di origine agraria. A farne le spese sono soprattutto gli Stati Uniti e il motivo, come spesso accade per i prodotti presenti in natura, sono i cambiamenti climatici. Il primo scossone arriva dal cotone, una materia prima abbastanza pregiata, che da un anno naviga stabilmente tra gli 80 e i 90 dollari a libbra, ma che a marzo del 2022 aveva sfiorato i 150 dollari e nel 2011 toccato il suo massimo di sempre a 200 dollari. La novità è che a causa della siccità e di temperature torride senza precedenti il Texas, cioè lo Stato americano dove viene principalmente prodotto, è in una fase di grande difficoltà e vede la sua posizione dominante minacciata dal Brasile.

Brasile e Usa i maggiori produttori di cotone

Usa e Brasile sono oggi i due maggiori produttori mondiali di cotone, rispondendo insieme ad oltre la metà della domanda globale, ma secondo gli esperti è plausibile che già nella stagione 2023-24 il primato assoluto passi al Paese sudamericano, che secondo le stime dovrebbe esportare 11,25 milioni di balle, mentre i nordamericani stanno rivedendo al ribasso l’iniziale previsione di 12,5 milioni di balle.

Per gli Usa quella in corso dovrebbe essere la seconda raccolta peggiore di sempre, e peraltro sembra in grande crisi la qualità del cotone coltivato, anche questo a causa del clima: il Texas ha difatti registrato la seconda estate più calda della sua storia, con una temperatura media di 29 gradi, e secondo il Dipartimento di Agricoltura solo l’11% del raccolto è da considerare di qualità buona o eccellente. Mentre quella brasiliana, grazie alle piogge che invece ci sono state, è stata definita dallo statunitense Jack Scoville, vice-presidente do Price Futures Group, “di qualità molto buona”.

Cotone materia fondamentale per l’industria della moda

Il cotone è una materia prima fondamentale per l’industria della moda, che è la seconda più consistente a livello globale con un fatturato complessivo di 2.400 miliardi di dollari, dando impiego a circa 50 milioni di persone. Per l’industria agroalimentare statunitense questo rischia tuttavia di non essere l’unico trauma. Russia e Unione europea (mettendo insieme i vari Paesi produttori, a partire dalla Francia) hanno già superato il gigante a stelle e strisce per le esportazioni di grano: in particolare Mosca produce quasi 90 milioni di tonnellate di grano l’anno, e ne esporta la metà. Non solo: sempre il Brasile quest’anno sta per soffiare agli States anche il primato della produzione e delle esportazioni di mais.

L’avanzata del Brasile nel campo agroalimentare

Recentemente il Paese governato da Lula, che in campo agroalimentare ha sempre un grande potenziale (da un decennio è anche leader mondiale della produzione della richiestissima soia), ha fatto passi avanti soprattutto nel campo della logistica e della distribuzione, intensificando l’attività portuale. Inoltre, ha firmato un nuovo accordo commerciale con la Cina, di cui è saldamente il primo partner commerciale soprattutto negli scambi di materie prime, per cui ha uno sbocco sicuro e sta anche beneficiando del clima imprevedibile negli Usa e della guerra in Ucraina, che era a sua volta grande esportatrice di mais e anche di grano. Nel solo Mato Grosso, per fare un esempio, la produzione di mais in un decennio è triplicata a oltre 90 milioni di tonnellate, al punto che oggi il grande tema nel Paese sudamericano è quello dello stoccaggio. Nel 2023, secondo le stime ufficiali, il Brasile produrrà 130 milioni di tonnellate metriche, il record di sempre. Così come al massimo storico arriverà l’export, per un totale previsto di 50 milioni di tonnellate metriche. E per sfortuna degli Stati Uniti, per la Cina il mais brasiliano è molto più competitivo.

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