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Materie prime critiche, l’Italia dice sì alle estrazioni: il passo del gambero per la new economy

Foto di Łukasz Klepaczewski da Pixabay

C’è voluto un provvedimento della Commissione europea per rimettere in moto anche in Italia il sistema delle estrazioni delle materie prime. Ormai sono chiamate critiche perché non ce ne sono molte a disposizione. L’Europa, che pure ne ha parecchie nelle sue viscere, per anni si è cullata nell’illusione di non doverle più estrarre. Errore eccezionale, perché – si è detto – le esplorazioni fanno molto male alla natura e le montagne vanno tenute come sono. Certamente, ma non ci saranno cataclismi o bombe a idrogeno per esplorare.

Delusi e confusi

Cosa è accaduto, intanto ? Che quando le rivoluzioni verde e digitali sono diventate ineluttabili e i cinesi, primi di tutti al mondo, sono andati in giro a scavare per accaparrarsi quelle terre senza le quali saremmo ritornati all’età della pietra, help, help, hanno cominciato a suonare gli allarmi su rame, cobalto, litio, bauxite, manganese. Alla fine, dopo mesi di discussione, a marzo l’Ue ha approvato un regolamento sulle materie prime critiche per il futuro delle catene di approvvigionamento. È risuonato allora il fatidico anno 2030 come spartiacque di autonomia di almeno il 10% di quelle materie nei paesi Ue.

Tre categorie di soggetti che avevano spinto la culla del “no alle estrazioni minerarie” sono rimaste tramortite. Delusi e confusi, diciamolo. Quali categorie ? I turboambientalisti, quelli della natura a tutti i costi (orsi, funghi, marmotte) ed economisti impauriti dei costi da sostenere. Tranquilli, nessuna orda barbarica è alle porte, la natura va difesa e sarà difesa con approcci innovativi e tecnologie. Si tratta di vigilare. Infatti, si parte con una mappatura dove ci sono le materie e si possono estrarre senza sfracelli. Realismo estrattivo, si può dire ?

L’Unione europea in sostanza ha detto: è l’ora di svegliarsi, diminuiamo le importazioni dai Paesi che posseggono queste materie e cerchiamo di recuperarle anche da un sistema di economia circolare, da strumenti e beni che si buttano a fine a vita. I costi ? Si valuteranno caso per caso. Dove non sarà conveniente non si porterà nulla in superficie. E l’Italia ondivaga su tutta la linea green ? Le estrazioni hanno segnato lo sviluppo del Paese, ricco di piombo, manganese, ferro. Ne sono state estratte a tonnellate. C’era anche una società a partecipazione statale- Egam-finita malissimo per scandali e manager incapaci, che si occupava di estrazioni. In Sardegna, Valle d’Aosta, Liguria, Piemonte, i nostri nonni hanno estratto di tutto. Sono andati in giro nel mondo a insegnare come fare. Oggi ci serve cobalto, e noi lo abbiamo sull’Appenino tra Piemonte, Liguria e anche più a Sud. Lo lasciamo lì ?

A disposizione 1 miliardo di euro

Le miniere italiane sono state tutte chiuse per quanto dicevamo. L’industria delle estrazioni è ancora regolamentata da leggi degli anni ’20. Le abbiamo sigillate, le miniere, per minimizzare l’impatto ambientale, perché a far funzionare l’ultimo modello di smartphone ci pensavano cinesi, coreani e asiatici amici. In Sardegna, in Toscana i siti estrattivi sono diventati siti di interesse storico. Vedi tu, che tra le 34 materie critiche classificate dall’Europa, 15 si trovano nel sottosuolo italiano. Eppure intoccabili per la vulgata superecologica castigata ora dall’Italia meloniana.

Il decreto legge approvato nell’ultimo Consiglio dei ministri alza, dunque, il velo su un processo industriale che fa mettere l’anima in pace ai tanti Mister No. Miopi si, al punto che la ragione (?) se la prende il ministro delle Imprese Adolfo Urso che dice “c’è nel nostro sottosuolo qualcosa di assolutamente strategico e ora il decreto adegua la normativa nazionale sul settore minerario a obiettivi e standard europei sulle materie prime critiche”.

È un nuovo approccio di sistema all’approvvigionamento delle materie prime strategiche. Si rimette mano a norme del 1927, e i territori dove si andrà in cerca delle materie riceveranno benefici economici. Si è già parlato di una tariffa di 16 euro l’ettaro l’anno, sull’esempio delle royaltyes petrolifere della Basilicata. Musica per le orecchie di sindaci e presidenti di Regione. Le risorse da mettere a disposizione arriveranno dal Fondo nazionale del Made in Italy, con una dotazione di 1 miliardo di euro. Sul decreto si pronuncerà la nuova Commissione europea, mentre il governo ha assicurato che snellirà anche le autorizzazioni per i lavori al massimo entro 18 mesi. Vai che forse nei futuri smartphone e tablet ci sarà un cuoricino italiano, un pezzettino di sovranismo tecnologico, edonismo italico by premier & friends.

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Categories: Economia e Imprese