L’inflazione? Non si parla d’altro nelle grandi case di investimento, già impegnate a disegnare gli scenari futuri, oltre i primi effetti del piano di investimenti promosso da Joe Biden. Il tema va al di là del pur atteso dato sui consumi di aprile, che alle 14,30 fornirà il primo test sull’avanzata dei prezzi e, di riflesso, sul comportamento della Fed che, come ha anticipato Janet Yellen, potrebbe procedere ad una momentanea correzione al rialzo dei tassi.
Ma, al di là del breve temine, i “guru” sono alle prese con una domanda ben più impegnativa: il mondo è o non è alla vigilia di una svolta epocale, tipo quella seguita allo shock petrolifero del 1973? In altri termini: dopo quarant’anni di tassi tendenti al ribasso, dalla drammatica svolta di Paul Volcker negli anni Ottanta in poi, si sta per riaprire un “superciclo” all’insegna dei rendimenti in ascesa? Sia chiaro: non si sta parlando di una congiuntura economica, pur importante, ma limitata. Ma di uno svolta epocale, tipo l’ascesa dei prezzi di metalli e soft commodities che ha fatto seguito al boom dell’economia cinese dal 2007/08 in poi, quando la locomotiva gialla, con il pieno appoggio dell’Occidente, prese velocità divorando metalli e soft commodities con grande rapidità.
No, non è in discussione una tendenza geopolitica che può decadere di fronte all’arrivo di un Trump qualsiasi, Il superciclo, pur innescato da scelte politiche di fondo, esprime una tendenza destinata a durare decenni. Il tempo necessario per programmare investimenti di lunga durata per i quali sbagliare è davvero proibito, specie in materia di energia. E questo spiega perché e come si dividono i pareri degli esperti, ovviamente non indipendenti.
Secondo il Financial Times l’economia occidentale ha vissuto dall’Ottocento quattro supercicli espansivi: il primo ha accompagnato l’affermazione della superpotenza americana, dal 1880 in poi. C’è poi l’espansione post-bellica interrotta dalla crisi degli Anni Trenta e ripresa con la ricostruzione. Una tendenza bruscamente corretta dopo l’aumento a picco del petrolio dal 1973 che indirettamente si trasmise all’intero mondo delle materie prime, sia metalli che commodities agricole. L’ultima scossa, come si è detto, è legata all’irruzione della Cina sul palcoscenico dell’economia globale. L’effetto fu spettacolare: il rame, che vivacchiava attorno ai 2 mila dollari a tonnellata, salì fino a 10.000 mentre in parallelo il greggio saliva fino a 140 dollari il barile. Una tendenza che ha tenuto campo fino al 2011, quando le prospettive di crescita dell’economia globale si sono spente, assieme al minor incremento della produttività.
Ma adesso? Nel post pandemia si intravvede il quinto ciclo? Sì, per Goldman Sachs. I governi, che da Lehman Brothers in poi si sono concentrati sul risanamento finanziario, stanno concentrando l’attenzione sulla creazione di posti di lavoro, facendo grande affidamento alle tematiche ambientali. La crescita della domanda peraltro è arrivata al termine di una stagione di investimenti all’osso che hanno lasciato le infrastrutture sia in America che in Europa in condizioni precarie. Il fenomeno, nota la banca d’affari Usa, non riguarda solo la relazione tra domanda ed offerta di materie prime in calo dal 2014. Il nodo tocca anche il petrolio, destinato nel tempo a rallentare a mano a mano che accelera la produzione di vetture elettriche. Ma un cambio epocale si profila anche in agricoltura a fronte dell’espansione dei bio-carburanti e della necessità di alimentare il bestiame. Insomma, l’aumento dell’inflazione è strutturale, con riflessi di lungo periodo.
Non tutti la pensano così. In realtà la congiuntura al rialzo dei prezzi è solo una conseguenza della pandemia, che ha brutalmente abbassato i consumi. Ma che, passata l’emergenza, tornerà su valori normali: anche il modello cinese, infatti, sta virando su livelli più contenuti. Inoltre, la crescita della domanda riguarda solo un numero limitato di commodities, dal rame al cobalto al nickel necessari per i nuovi settori, batterie per auto elettriche in testa. Il rischio è di restare con il cerino in mano, ovvero a metà del guado con investimenti che, in una stagione di tassi in ripresa per rimediare al debito pubblico e privato salito a livelli insostenibili, non sarà possibile portare a termine. E per le Borse il risveglio sarà duro.
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Basta con le Cassandre, ringhiano gli analisti di Goldman: l’indice Baltic Dry, che misura la domanda/offerta dei noli marittimi, è ancora sotto il livello del 2007. E ben venga la “buona inflazione”.