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Mascherine e bigiotteria facciale, quando la privacy è design

Nota Design di James Hansen

La privacy è (anche) una questione di design. No, non ci riferiamo alle mascherine che siamo costretti ad usare adesso, che di design hanno ben poco e che comunque – si è scoperto – non impediscono il riconoscimento facciale, l’ultima frontiera dell’invasione tecnologica nella vita delle persone. Per proteggersi dai sistemi di identificazione facciale molto usati in Cina, primo Paese colpito dal coronavirus ma non solo (si pensi a Singapore), per la sorveglianza della popolazione, ci sono anche strumenti più “stilosi”. Uno di questi, riportato dal giornalista statunitense James Hansen nella sua newsletter Nota Design, è quello ideato dalla designer polacca Ewa Nowak, che ha pensato di provare a confondere gli algoritmi d’identificazione inventando ciò che lei chiama “face jewelry”, ossia bigiotteria facciale.

Nowak ha provato vari modelli, ma quello di maggiore efficacia – battezzato “Incognito” – consiste in due cerchi di ottone che mascherano la linea degli zigomi insieme con un’altra striscia del metallo che arriva sulla fronte. Il tutto indossato come un paio d’occhiali. Certo, un po’ più ingombrante e non esattamente convenzionale: qualcuno potrebbe riderci dietro o chiederci se è un vestito di carnevale, ma intanto questa sarebbe una soluzione valida ed efficace per dribblare la spiacevole sensazione di essere continuamente spiati, che sia dalla polizia, dalle telecamere private o dagli algoritmi dei social network. Del resto questo non accade solo in Cina o in posti lontani: lo stesso Facebook utilizza l’algoritmo Deep Face per riconoscere automaticamente le foto degli amici man mano che vengono postate. Secondo l’azienda, funziona con un livello di precisione del 97,47%.

La risposta di Nowak al problema di come riprendersi un po’ di privacy è stata persino premiata ad una recente edizione del Łódź Design Festival in Polonia. Però, quando la designer ha proposto di presentare diversi suoi progetti ad un’esibizione al Museo Nazionale cinese, i primi, degli innocui giochi ottici, sono stati accettati; Incognito invece è stato “fermamente” respinto.

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