«Inizialmente ero favorevolissimo a lasciare Mario Draghi dov’è, ma poi il contesto politico è cambiato, si è, diciamo, innervosito, e adesso penso anche io che non sarebbe male nemmeno portarlo per sette anni al Quirinale, con un’interpretazione del ruolo però più dinamica rispetto ai predecessori». Claudio Martelli, leader socialista dalla lunga esperienza politica (è entrato in Parlamento per la prima volta nel 1979), già vicepresidente del Consiglio e ministro della Giustizia, commenta con FIRSTonline l’imminente elezione del presidente della Repubblica, ricordando il vero pericolo che ruota intorno al nome dell’attuale premier: «L’importante è non finire come gli asini di Buridano e cioè restare senza Draghi né al Colle né a Chigi. Sarebbe una iattura».
Questa tornata quirinalizia è particolarmente importante tra pandemia, Pnrr e ultimo anno di legislatura. Tutto ruota ancora intorno a Mario Draghi: lei dove lo vedrebbe meglio?
«Inizialmente a Chigi, ma ora come molti credo che anche l’ipotesi del Colle abbia buoni argomenti, se davvero si andrà verso un semipresidenzialismo di fatto, come sembra».
Ma sostituire Draghi come premier sarebbe (o sarà) molto difficile.
«La vera partita infatti è trovare due nomi: uno per il Quirinale e uno per la presidenza del Consiglio. Questo dovrebbe in teoria facilitare l’accordo tra le forze politiche, che potrebbero in qualche modo spartirsi i due incarichi. Il problema però è che Draghi dovrebbe occupare uno di quei posti, ma lui è al di sopra dei partiti; quindi, il suo nome non è una vittoria per nessuno, nessuno potrebbe intestarselo e concedere all’altra parte l’altro nome».
Se Draghi dovesse alla fine diventare presidente della Repubblica, lei chi vedrebbe bene per sostituirlo a Palazzo Chigi?
«Non credo che i partiti accetterebbero un altro premier “tecnico”, se così vogliamo chiamarlo. I nomi politici sarebbero quelli di Renato Brunetta per anzianità, o di Giorgetti, anche se ora pare si voglia candidare alla Regione Lombardia, che va al voto nel 2023. Il vero problema purtroppo si annida nel disordine originario della Costituzione, che è tanto preziosa ma troppo vaga nel definire i poteri dello Stato e i loro rapporti. Quella per eleggere il Capo dello Stato è una procedura da conclave per eleggere il Papa, non si addice a una democrazia moderna. Purtroppo, va detto che in questo caso la Costituzione è un impaccio e a nulla sono valsi i tentativi di riformarla».
Che cosa pensa della famosa conferenza stampa natalizia di Mario Draghi, che ha segnato uno spartiacque nella partita per il Quirinale?
«Voleva fare un bilancio dell’anno di governo, ma effettivamente ha commesso un errore. Soprattutto quando ha considerato compiuta la missione del governo: non è vero che tutte le riforme sono state fatte o impostate; anzi, la situazione economica richiederebbe ulteriori interventi urgenti per far fronte all’inflazione, all’aumento dei prezzi delle materie prime, al costo dell’energia. Anche la sanità non è del tutto rafforzata come dovrebbe. I progetti non sembrano ancora calati a terra».
Se invece Draghi dovesse restare a Chigi, secondo lei sarebbe opportuno cambiare la maggioranza o stipulare un nuovo patto, come sollecitato anche dal segretario del Pd Enrico Letta?
«Cambiarla non credo, non mi pare che sia un’ipotesi sul tavolo. Invece certamente andrebbe definita un’agenda degli ultimi 14-15 mesi, con un nuovo patto tra i partiti per tenere in piedi il governo. Saranno in grado di farlo? Forse qualcosa sta cambiando negli ultimi tempi, mi sembra che leader come Salvini, Conte e Di Maio siano più responsabili e anche lo stesso Pd dà l’impressione di essere meno dipendente dai 5 Stelle. Vedo un miglioramento in questo senso».
Torniamo al voto per il Quirinale. Ora che Berlusconi ha ritirato la sua candidatura, quale sarebbe un nome del centrodestra votabile anche dal centrosinistra?
«Un profilo più equilibrato e autorevole, se vogliamo considerarlo di centrodestra, è secondo me quello di Marta Cartabia. Ma ci sono nomi interessanti anche nell’area di centrosinistra, come Finocchiaro e Bonino».
Il centrosinistra però resta alla finestra: di nomi, per ora, non ne ha fatti.
«È prudente, perché, come noto, i nomi fatti in anticipo vengono bruciati».
E se alla fine la spuntasse un outsider? Pare stia salendo Pierferdinando Casini.
«Casini personalmente mi sta simpatico, ma questo conta poco. Il suo è un profilo moderato, con un passato da alleato indipendente di Berlusconi e un presente nel Partito democratico. Meno plausibile Letizia Moratti, che secondo me ha un profilo più polemico».