Scontrini amari per l’ex sindaco di Roma, Ignazio Marino, condannato in Appello a 2 anni carcere per falso e peculato con interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena. La sentenza ha ribaltato il pronunciamento di primo grado, da cui l’ex primo cittadino era uscito assolto. Il caso riguarda le spese pazze con la carta di credito del Comune. Marino è stato invece assolto dall’accusa di truffa per i presunti pagamenti irregolari a un dipendente della sua Onlus Imagine.
Tornando alla vicenda scontrini, quando era sindaco Marino avrebbe pagato delle cene ad amici e parenti con la carta di credito del Campidoglio per un totale di 13mila euro.
Secondo la Procura, “26 delle 54 cene avvennero in giorni festivi o prefestivi e questa circostanza porta a considerare che si trattò di incontri avvenuti in tempi liberi da impegni istituzionali”. Inoltre molti ristoratori riconobbero “nella signora Marino – si legge sempre nella richiesta di Appello presentata ai giudici – la commensale del sindaco”.
Fin qui il peculato. Ma Marino avrebbe anche dato disposizioni alla sua segreteria perché creasse i giustificativi necessari per far passare quegli incontri come istituzionali, da cui anche l’accusa di falso.
Quanto alla Onlus “Imagine”, il chirurgo dem è stato coinvolto in relazione a certificazioni redatte tra il 2012 ed il 2014 per compensi riferiti a prestazioni fornite da collaboratori fittizi, con una presunta truffa da circa 6mila euro ai danni dell’Inps. I pm hanno sempre sostenuto “l’effettiva consapevolezza dell’imputato dell’artificiosità e falsità dell’operazione realizzata”, ma i giudici di secondo lo hanno assolto.
Solo in serata è arrivata una nota con la reazione dell’ex sindaco che ha annunciato il ricorso per Cassazione. “La Corte di Appello – scrive l’ex inquilino del Campidoglio – condanna l’intera attività di rappresentanza del sindaco della Città Eterna. In pratica i giudici sostengono che in 28 mesi di attività, il sindaco non abbia mai organizzato cene di rappresentanza ma solo incontri privati. Un dato che contrasta con la più ovvia realtà e la logica più elementare. Non posso non pensare che si tratti di una sentenza dal sapore politico proprio nel momento in cui si avvicinano due importanti scadenze elettorali per il Paese e per la Regione Lazio. Sono amareggiato anche se tranquillo con la mia coscienza perché so di non aver mai speso 1 euro pubblico per fini privati”.