L’ultima vittima della Brexit si chiama Guglielmo Marconi. Il comune di Cardiff gli ha negato il visto, e il monumento che era stato progettato in suo onore, una radio alta quattro metri del valore di oltre un milione di sterline, non si farà. Motivo, la sua adesione al fascismo e l’esclusione di scienziati ebrei dall’Accademia d’Italia di cui era presidente. Il sindaco gallese ha assolutamente ragione, ed è padronissimo di non dedicargli monumenti nella sua città. Del resto, non si tratta nemmeno, a rigore, di “cancel culture”, perché qui non si abbatte a picconate una statua già esistente, ma si rinuncia a costruirne una nuova e molto costosa, in tempi di ristrettezze dei bilanci pubblici. Semmai gli si potrebbe obiettare che doveva svegliarsi prima: che del regime di Mussolini Marconi fosse un sostenitore convinto della prima ora, nonché gerarca di rango, lo sanno tutti. È altrettanto vero che nel sottoporre al Duce le liste di candidati all’Accademia annotava di suo pugno la lettera “e” accanto ad alcuni nomi, per segnalarne l’origine ebraica, come ho scritto e documentato nel mio libro “Wireless. Scienza, amori e avventure di Guglielmo Marconi“ (Garzanti, 2013).
Sono due macchie indelebili nella biografia di un grande uomo e di un grande inventore. Possiamo perdonargliele, in cambio dei tanti suoi meriti, delle tante cose per cui l’umanità gli è debitrice – non solo la radio, ma tutte le meraviglie della rivoluzione digitale, dal Wi-fi al cellulare? La risposta, ovviamente, è no. Non ci sono giustificazioni.
Marconi fascista? Come molti altri a quei tempi
Ma forse si può cercare di capire. Negli anni Trenta il consenso per Mussolini era al culmine. Marconi, oltre che scienziato, era un industriale e un uomo d’affari, e non c’era industriale, dal senatore Agnelli in giù, che non avesse buoni rapporti con il regime. E in tanti, in Italia e fuori (incluso Winston Churchill), erano convinti che ci volesse l’uomo forte per modernizzare un paese arretrato e non ancora maturo per la democrazia.
Anche Luigi Pirandello, per esempio, era fascista militante, accademico d’Italia e sostenitore entusiasta della guerra imperialista in Etiopia: eppure nessuno si sognerebbe oggi di bandire le sue opere dai teatri.
Quanto alle famigerate “e”, l’aspetto più inquietante è che risalgano al 1932, quindi molti anni prima delle leggi razziali. Il fatto è che le designazioni per l’Accademia d’Italia dovevano essere approvate da Mussolini in persona, e Marconi sapeva che i candidati “israeliti” sarebbero stati bocciati. C’è da immaginare quanto gli sia pesato tracciare quei segni vergognosi. Avrebbe potuto andare allo scontro diretto col duce, come aveva già fatto in varie occasioni, o magari dimettersi. Ma i margini di manovra erano ogni giorno più stretti, e solo mantenendo quella carica il grande scienziato poteva strappare i sospirati finanziamenti per la ricerca.
Non per niente i famosi ragazzi di via Panisperna, il gruppo dei fisici di Enrico Fermi tra cui spiccavano alcuni “giudei” come Emilio Segrè e Bruno Pontecorvo, godettero fino all’ultimo della stima e della protezione di Marconi.
Il braccio destro del celebre scienziato italiano era ebreo
L’accusa di antisemitismo, da parte degli inglesi, è poi abbastanza paradossale, se si considera che il braccio destro di Marconi nonché consigliere delegato della “Company”, Godfrey Isaacs, era ebreo: tanto che quando l’inventore fu coinvolto in uno scandalo politico-finanziario con alcuni ministri del governo britannico del tempo, nel 1912, un giornalista ultracattolico e lui sì antisemita, Hilaire Belloc (una specie di grillino o populista ante litteram), lo accusò di essere una pedina dell’odiata élite ebraica.
Marconi: non è da venerare ma nemmeno imbalsamare come gerarca in livrea
Ma anche tutta la retorica sovranista intorno a Marconi, i titoloni scandalizzati del Primato Nazionale e del Secolo d’Italia, suonano un po’ sopra le righe. Marconi non è stato semplicemente “un grande italiano”, e gli impulsi elettromagnetici che escono dal nostro smartphone non lasciano dietro la scia delle Frecce tricolori. Sua madre era irlandese, e senza la finanza britannica non avrebbe mai potuto ottenere i brevetti e i fondi necessari per realizzare le sue invenzioni. Era stato interventista nella grande guerra, quando l’Italia combatteva a fianco delle liberaldemocrazie contro gli imperi centrali. Ma quando, poco prima di morire nel 1937, intuì gli istinti bellicisti di Mussolini e l’alleanza con la Germania di Hitler, pare stesse progettando di fuggire a Londra.
Sarebbe insomma il caso di darsi tutti una calmata, e di ricordare degnamente, con o senza statue, il Marconi genio europeo e innovatore globale, lo Steve Jobs dell’Ottocento che aveva già compiuto la sua impresa scientifica ben prima della marcia su Roma, senza farne un santino intoccabile da venerare acriticamente, ma nemmeno condannandolo a un’ingiusta “damnatio memoriae” per le scelte sbagliate dei suoi ultimi quindici anni di vita, o imbalsamandolo nella figura del gerarca in livrea e feluca delle foto ufficiali accanto al duce.
“Pare stesse progettando di fuggire a Londra”. Ho conferme inedite e dirette. Se interessa…
E in tanti, in Italia e fuori (incluso Winston Churchill), erano convinti che ci volesse l’uomo forte per modernizzare un paese arretrato e non ancora maturo per la democrazia.
Quale alternativa storica avrebbe potuto avere l’ Italia nel dopoguerra della 1° grande Guerra Mondiale? L’ analisi del fascismo andrebbe fatta su questo tema e non sull’analisi dei singoli Mussolini compreso.
Una guerra , un rivoluzione una dittatura porta sempre con se tragedie e anche opportunismi se vogliamo ma sempre tragedie umane sono