X

Marco Bentivogli: “E’ tempo di unire i riformisti”

Marco Bentivogli

L’unità di tutti i riformisti, da Pd a Renzi, Calenda e Leu con i Cinque Stelle come interlocutore. Ne ha parlato il nuovo segretario del Pd, Enrico Letta ed è il disegno strategico di Marco Bentivogli, già segretario generale dei metalmeccanici della Cisl e ora coordinatore del network Base Italia e sicuramente uno dei cervelli più brillanti del riformismo italiano. La ragione della passione per l’unità dei riformisti la spiega lo stesso Bentivogli in questa intervista a FIRSTonline ed è semplice: “Il nostro Paese ha bisogno di essere modernizzato ma lo possono fare solo i riformisti perché hanno una visione non schiacciata sul breve periodo, sul consenso emotivo e capace di guidare e accompagnare il Paese verso scelte anche difficili”. Ma nell’intervista ci sono altri temi di grande attualità: dal Pd di Letta all’Ulivo, dalla nuova legge elettorale alla partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese. Decisamente positivo anche il giudizio sul nuovo Governo Draghi anche se restano punti da chiarire. Sentiamolo.

Bentivogli, concorda sul fatto che la principale novità della linea politica espressa dal nuovo segretario del Pd, Enrico Letta, non sia tanto lo ius soli o il voto ai sedicenni ma lo sforzo di confrontarsi senza appiattirsi sui Cinque Stelle e di riavviare il dialogo con tutto l’arco riformista, da Leu a Calenda e a Renzi sia in vista delle elezioni amministrative che delle future elezioni politiche?

“Nella relazione ci sono segni di apertura importanti. In un periodo in cui si tratteggiava Renzi come Pinochet e Conte come Allende, mi pare che sia tornato, innanzitutto, un po’ di buonsenso.  E soprattutto affermare che l’alleanza va da Leu, Azione e Iv e i 5S di Conte sono un interlocutore è un passo avanti non da poco

Aver ceduto identità ed elettori a Conte poteva essere inizialmente un atto di generosità e responsabilità per tenere in piedi il Governo, ma alla fine stava diventando l’affidamento dell’Avis al Conte Dracula. Va bene la scelta dei nuovi 5S europeista, liberale (e di ieri ecologista) ma la si deve confermare nella pratica. 

Se il Pd è il motore del Governo Draghi, il discorso al Senato del Premier deve esserne il programma. Significa mettere da parte quell’idea che statalizzare, fare debito cattivo e ipotecare il futuro dei giovani, sostenere e divaricare il dualismo pubblico-privato, partite Iva e dipendenti, giovani e anziani. Se l’elettore del Pd è, come dice Giorgio Tonini, prevalentemente il ceto medio urbano che vive di spesa pubblica, qualche domanda in più sarebbe da farsi. E quando l’elettorato è quello, non è un caso che sinistra o destra interna del Pd sono banalmente, solo dei “segnaposto di collocazione” che hanno a che fare solo col potere e per nulla con le idee e i valori. Non dico fare il partito dei lavoratori, ma si raccoglie il vuoto strategico di anni su lavoro, industria e innovazione. E nelle aree ztl, lo scarso contatto con la vita delle persone rende più facili le degenerazioni massimaliste e giustizialiste. Poi non ci si lamenti se i ricchi votano a sinistra e i poveri a destra. 

2) La visione di Letta sembra riecheggiare lo spirito di coalizione e la vocazione maggioritaria dell’Ulivo di Prodi ma con la differenza sostanziale che allora il motore della coalizione era la Quercia mentre ora il Pd è tutto da ricostruire e non è detto che riesca a contenere l’aspirazione alla leadership dei Cinque Stelle a guida Conte: lei che ne pensa?

“E’ l’ultima cosa che ha funzionato, non di semplice “coalizione” ma come integrazione di culture. L’Ulivo non è ripetibile ma lo spirito che mise insieme culture diverse e fece discutere centinaia di migliaia di persone sì. Arturo Parisi, Pier Luigi Castagnetti, Walter Veltroni, Romano Prodi, Guido Bodrato, sono punti di riferimento tutt’ora grazie alla credibilità che hanno avuto e lo stile di non sgomitare per ogni incarico di prestigio vacante che invece ha caratterizzato troppi esponenti delle generazioni successive. Raccogliere quello stile è la vera sfida, sono persone importanti. Non a caso invece i nuovi dirigenti fanno invece riferimento all’accolita dei rancorosi, eterni, che vogliono che si sappia che in ogni accadimento del presente c’è il loro zampino e che delegittimano i loro eredi facendoli somigliare a dei replicanti. 

Il Pd su questo va ricostruito, ci sono persone in gamba dentro il Pd, poi ci sono i troll sui social che hanno imparato dai grillini e dai leghisti a dare patenti di destra e sinistra sulla base dei flussi gastro-mediatici. A quel punto era meglio l’ideologia”.

3) Nel suo intervento di martedì 16 marzo su Repubblica, lei ha sostenuto che “bisogna mettere insieme i riformisti del Paese”, ma su che basi e includendo o no i Cinque Stelle che Giuseppe Conte pensa di orientare verso un ‘incomprensibile “populismo buono” ?

“Il “Populismo buono” è stato un artifizio lessicale un pò azzardato per giustificare il motivo di stare al Governo con un partito che ti identificava come il male assoluto. Il nostro paese ha bisogno di essere modernizzato, lo possono fare solo i riformisti perché comporta una visione non schiacciata sul breve periodo, sul consenso emotivo, capace di guidare e accompagnare il paese verso scelte, anche difficili. Si può sempre cambiare e se come dice Patuanelli il M5S di Conte sarà una formazione riformista, ben venga.

Mi hanno insegnato a giudicare gli alberi dai frutti. Alitalia, Ilva, Tav rappresentano banchi di prova. Beh sulla scuola, la Ministra Azzolina fu più coraggiosa del Pd, appiattito su “scuole chiuse” anche quando Cts diceva il contrario”. 

4) Qualunque discorso sulle future alleanze sarebbe monco senza la definizione, che lei esplicitamente richiama nello stesso articolo su Repubblica, di una precisa e comune identità politica sulla base di contenuti e progetti chiari,  ma sarebbe altrettanto monco senza fare i conti con la legge elettorale: nella presente situazione e ammesso e non concesso che si trovi un accordo su una nuova legge elettorale, secondo lei sarebbe meglio  scegliere un sistema maggioritario (il Mattarellum) o il doppio turno alla francese o un sistema proporzionale che lasci piena autonomia a ogni forza politica e rinvii le alleanze a dopo il voto?

“Se resta il Rosatellum, la scelta preventiva di coalizione sarà un disastro. Anche perché porterebbe ad una campagna elettorale sullo stesso bacino di voti. Credo che il doppio turno alla francese sia sicuramente un passo avanti. Il taglio dei parlamentari è stato un errore grave, ci hanno risposto che incassavano in cambio la riforma elettorale e l’avvio di quella costituzionale. Mi pare che siano sparite dall’agenda entrambe. 

Non si fanno le riforme elettorali per consolidarsi nel voto anche perché il quadro è mutevole e il vento, al momento soffia e forte a destra”. 

5) Nella sua relazione Letta ha toccato un tema che è certamente anche nelle sue corde, come ci ricordano le sue battaglie nella Fim-Cisl, e cioè quello della partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese, o entrando nel capitale o almeno nei cda o concordando la distribuzione dei risultati aziendali sulla base di una contrattazione che non potrà che essere aziendale: non crede però che l’attuazione di una linea così innovativa presupponga uno scontro o un chiarimento con il conservatorismo sindacale della Cgil di Landini?

“L’ho ascoltato con attenzione, serve un passo avanti anche sulla partecipazione strategica. C’è un disegno di legge (nato bipartisan) fermo in Parlamento. Parole e fatti, si metta in agenda e lo si approvi. La prospettiva della partecipazione dei lavoratori è il compimento necessario dell’evoluzione delle relazioni industriali e di lavoro. Oscillare tra antagonismo e paternalismo non solo è antistorico ma è nemico della sostenibilità e della produttività.

Pastore identificava la partecipazione come un pezzo fondamentale della democrazia sostanziale. In Italia la democrazia rappresentativa ha bisogno di manutenzione e vitalità e di estensione in ambiti fondamentali come le relazioni di lavoro. Quando il mio amico Maurizio Landini dice: “Un’assunzione di un giovane per ogni persona che va in pensione”, dice qualcosa di più sensato di Conte, Salvini e Di Maio che dicevano 3 assunti per ogni pensionato per lanciare “quota 100”, ma è comunque lontano dalla realtà. Il lavoro non nasce né con leggi né con obblighi ma rendendo il paese più semplice, forte di competenze e tecnologie, povero di burocrazia e ostaggio del ricorso al contenzioso. L’Italia rinasce lanciando patti territoriali di sviluppo sulla base di ecosistemi. Piattaforme di dialogo e innovazione e non di mera rivendicazione di ruolo. Voglio capire, il nuovo Pd e il Ministro Orlando leggono i dati degli effetti del decreto dignità su donne e giovani? È essere “di sinistra” quell’idea di lavoro e ingigantire disoccupazione e precariato in un colpo solo?”.

6) E’ presto per fare un bilancio del Governo Draghi ma il cambio di passo sul piano vaccini e la riscrittura del Recovery Plan nella consapevolezza che dovrà accompagnarsi almeno a due o tre riforme sostanziali segnano una netta differenza rispetto al Governo Conte bis: qual è la sua opinione?

“Beh il passo è sicuramente migliore. Mi preoccupano alcuni aspetti. Brunetta è partito con il piede giusto, parlando di decentramento contrattuale, produttività, meritocrazia, professionalità e costruendoci un patto col sindacato fatto di una sfida reciproca. Su altre cose serve più chiarezza, mi riferisco a Industria 4.0, ad una strategia su AI, al grande tema della ricerca, e del trasferimento di tecnologie e competenze a imprese e lavoratori. Se la risposta è non accogliere il Piano Amaldi, o di ripartire solo dal rifinanziamento dei competence center, la risposta mi pare parziale. Noi abbiamo messo in campo la cosa più simile al Fraunhofer e più utile alle imprese, anche le più piccole, le Pmi. In Italia c’è confusione su ricerca di base e ricerca applicata. Su chi fa che cosa pensando che possano fare tutto le università.

Sulle competenze bene le risorse sugli Its, ma ora bisogna organizzare la domanda. Siamo in grado di arrivare al 2023 con 500.000 studenti? La Germania ne ha 1 milione, noi 18.000″.

Related Post
Categories: Interviste