La visita a sorpresa di Sergio Marchionne al meeting di Cl a Rimini per ascoltare il discorso del presidente Giorgio Napolitano è troppo ricca di suggetioni per poter essere catalogata come un evento di ordinaria amministrazione. E infatti non lo è, soprattutto se si considera la delicatezza del momento che la Fiat sta vivendo in Borsa. “Gliel’avevo promesso” si è limitato a commentare il ceo del Lingotto, facendo balenare il suo feeling con il Capo dello Stato.
Laconico commento da cui si ricava la notizia di un precedente incontro (sfuggito ai mass media) tra il presidente e l’ad della Fiat. A conferma che la Fiat “americana” mantiene solide radici italiane e intende partecipare allo sforzo per uscire da una crisi colpevolmente sottovalutata, come ha tenuto a precisare il Presidente. Ma anche a conferma della delicatezza della situazione della casa di Torino, una sorta di anticipo di autunno caldo che, al solito, è destinato a segnare il futuro prossimo dell’economia italiana.
L’incontro Napolitano-Marchionne di Rimini suggerisce alcune riflessioni sulla Fiat e il suo difficile momento. Eccole:
a) La crisi borsistica di Fiat e Fiat Industrial rischia di compromettere la tabella di marcia dell’integrazione tra Fiat e Chrysler. Marchionne si difende e difende la Fiat ribadendo che il gruppo è “solido” e che le Borse sono spesso “irrazionali” e che, in questo momento, l’unica cosa che conta è accrescere la “credibilità” di tutti i soggetti in campo, Stati o imprese che siano.
Certo la frana del titolo ha spiegazioni che non riguardano solo il Lingotto. Nel corso delle ultime tre settimane, il Global Auto index ha perduto il 18 per cento circa, un terzo di più del mercato nel suo complesso. Sotto la minaccia di una nuova recessione, le stime sulle vendite del settore si stanno ridimensionando a vista d’occhio: JD Power parla di 75-77 milioni di veicoli per il 2011, 10 milioni in meno delle stime di inizio luglio.
b) Ma la Fiat resta la casa più esposta all’inversione del ciclo: dall’inizio dell’anno, la società a quattro ruote ha lasciato sul terreno il 40 per cento circa. Più ancora, sono andate in frantumi le aspettative degli operatori. Solo poche settimane fa gli analisti finanziari rivedevano al rialzo le stime su Fiat, dopo il consolidamento dei conti Chrysler, capace di guadagnare in un mese tre volte tanto il resto del gruppo.
Oggi, al contrario, si sottolinea che la controllata di Detroit ha un patrimonio positivo solo grazie al goodwill, cioè un bene immateriale. Circostanza che non ha impedito a Gm, giusto un anno fa, di entrare in Borsa con un certo successo. Ma che, al contrario, se non cambia lo scenario, spingerà le agenzie di rating a retrocedere a ottobre il rating del gruppo, con effetti pesanti sul fronte dei debiti. Anche così si spiega il repentino cambio di valutazione degli analisti. Goldman Sachs, ad esempio, prevedeva per Fiat un target price di 13 euro, tre volte tanto la quotazione attuale.
c) I problemi non riguardano solo la volatilità finanziaria. La brusca caduta del mercato italiano a luglio (-10,3%) complica non poco i piani di ripresa delle vendite del gruppo in Italia e in Europa grazie ai nuovi modelli. A questo si aggiungono le difficoltà in India (dove Marchionne ha detto ieri che i rapporti con Tata saranno rivisti e aggiornati) e nel decollo della jv in Russia. In Brasile, il mercato forte che contribuisce fortemente ai profitti dell’intero gruppo, Fiat deve fronteggiare l’offensiva di Volkswagen, pronta ad approfittare delle difficoltà del concorrente italiano.
d) Per uscire dal guado, Marchionne avrà bisogno, per prima cosa, di rafforzare il patrimonio di Fiat-Chrysler, alleanza dalle spalle fragili che non può permettersi il lusso di una pesante congiuntura negativa. Difficile, quasi impossibile, ipotizzare in un mercato del genere un’Ipo di Chrysler che consenta di liquidare il socio sindacale, l’Uaw, e di rimpolpare il patrimonio. Ancor più problematica un’operazione sul capitale Fiat, che comunque non è nei piani dell’Exor, il socio di maggioranza. Resta la strada delle dismissioni, tutt’altro che agevole per ora, dati i chiari di luna.
Forse, l’unica strada da percorrere resta la cessione di una quota di Ferrari. Più facile la soluzione di un partner di minoranza che non l’Ipo. Ma, a parte il problema del prezzo (impossibile spuntare una valutazione di 5 miliardi, come vorrebbe Marchionne, per una partecipazione di minoranza), è tutto da vedere che i soci dell’accomandita, azionista di maggioranza di Exor, siano tutti pronti a fare un sacrificio di questa portata per sostenere la sfida dell’auto globale lanciata da Marchionne all’inizio del 2009.
e) Il manager in maglione blu ha goduto, infatti, di grande popolarità finché la sua formula si è rivelata vincente. Si tratta ora di verificare se la fiducia reggerà agli scossoni della crisi. Oppure se gli azionisti, compreso John Philip Elkann che ha condiviso appieno tutte le decisioni, cominceranno ad esaminare opzioni diverse.
f) un punto a favore della Fiat Marchionne per la verità l’ha incassato in qusta torrida estate: la validità dell’accordo interconfederale sui contratti e sulle relazioni industriali tra sindacati e Confindustria, al quale l’ultima manovra di governo assegna effetti retroattivi isolvendo con ciò il contenzioso sugli accordi alla Fiat di Pomigliano e di Mirafiori. Sbloccato questo ostacolo, con buona pace della Fiom di Landini, è evidente che per Marchionne sia più agevole confermare il proprio programma di investimenti in Italia e il segnale lanciato domenica a Napolitano e alla classe politica ha forse anche questo significato.