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MARCELLO MESSORI: Contro la crisi un patto per la produttività tra le forze sociali e il governo

INTERVISTA A MARCELLO MESSORI – Per uscire dalla recessione occorrebbe una strategia europea a sostegno della domanda aggregata ma, in assenza di ciò, imprese e sindacati potrebbero da subito intavolare un negoziato che punti all’innalzamento della produttività con il concorso finale del Governo sugli ammortizzatori sociali universali

MARCELLO MESSORI: Contro la crisi un patto per la produttività tra le forze sociali e il governo

Un patto per la produttività tra le parti sociali e il Governo per uscire dalla recessione e dalla crisi. E’ la proposta che avanza Marcello Messori, economista tra i più celebri, ordinario di intermediari finanziari all’Università di Roma Tor Vergata e già presidente di Assogestioni. Ecco l’intervista che ha concesso a FIRSTonline.

FIRSTonline – Professor Messori, il Governo Monti ha avviato un confronto con le parti sociali sulla produttività, che da tempo è un handicap strutturale per la competitività del sistema Italia, ma in una fase di acuta recessione come l’attuale al primo posto dell’agenda-Paese non dovrebbe esserci soprattutto il rilancio della domanda interna con l’occhio ai consumi e agli investimenti per puntare su ritorni a breve su crescita e occupazione?

MESSORI – E’ vero che, nel breve termine, l’innalzamento della produttività del lavoro potrebbe aggravare il problema (già drammatico) della disoccupazione e della inoccupazione. Nella situazione italiana, stimoli alla produttività e rilancio della domanda e della crescita non sono però scelte antitetiche; anzi, anche nel breve termine, i primi sono una condizione necessaria dei secondi. Infatti, se si spera che i Paesi ‘forti’ dell’Unione economica e monetaria europea (Uem) finiranno per aumentare la loro domanda, l’Italia deve prepararsi per poter cogliere l’opportunità; d’altro canto, un aumento della domanda interna richiede un incremento dei salari reali, che le nostre imprese potrebbero sopportare solo grazie a incrementi della produttività del lavoro. A quest’ultimo proposito basti considerare che la recessione, che in Italia dura quasi ininterrottamente dagli ultimi mesi del 2008, ha provocato la più prolungata caduta di reddito disponibile (in termini reali) del secondo dopoguerra. Ciò ha generato una grave diminuzione dei consumi ‘reali’ che, a sua volta, ha spinto molte imprese a posporre gli investimenti. Per giunta, le politiche di consolidamento del bilancio pubblico hanno vincolato la relativa spesa e, in particolare, gli investimenti in infrastrutture. Senza una scossa dal lato dell’offerta e della domanda, l’Italia non riuscirà a uscire da questo circolo vizioso.

FIRSTonline – Qual è la possibile scossa?

MESSORI – Continuo a pensare che, in linea teorica, la soluzione migliore sarebbe un immediato e corposo aumento degli investimenti europei, finanziati con l’ampliamento del bilancio dell’Unione (o con la creazione di un bilancio dell’Uem), e/o un incremento dei consumi tedeschi. Queste positive scosse dal lato della domanda allenterebbero la recessione europea e faciliterebbero il compito dei Paesi periferici (inclusa l’Italia), che dovrebbero continuare ad aggiustare – con gradualità – gli squilibri dei loro bilanci pubblici e a realizzare quelle riforme strutturali in grado di rafforzare la loro competitività di medio periodo.

FIRSTonline – Sfortunatamente però non sembra che sia quello che sta accadendo e ancora una volta l’Europa manca all’appello.

MESSORI – In effetti, nella Uem non si scorgono segnali di rilancio della domanda aggregata e nemmeno altre iniziative di lotta alla recessione. Le minime concessioni, ottenute al riguardo dal Presidente francese Hollande alla fine dello scorso giugno, non sono state l’inizio di un processo ma un fuoco fatuo. Proprio per questo però, diventa ancora più necessario e urgente che l’Italia cerchi di uscire da sola dal proprio circolo vizioso. Solo così potrà arginare il costo sociale della recessione e prepararsi all’auspicata e futura ripresa europea.

FIRSTonline – Come?

MESSORI – Senza che il governo abbandoni i processi di riequilibrio dei conti pubblici e di rimozione delle tante inefficienze ‘ambientali’, le parti sociali dovrebbero realizzare un nuovo patto per la produttività. Se l’Italia non smetterà di essere il fanalino di coda dell’Unione europea in termini di tassi medi di incremento delle varie forme di produttività, sarà impossibile fare sistema con le nostre imprese di eccellenza, ottenere adeguati livelli di occupazione specie per i giovani, salvaguardare il benessere futuro delle nostre famiglie. Per rafforzare la dinamica della produttività del sistema economico italiano, le nostre imprese devono essere pronte ad accettare una sfida impegnativa: scommettere sulla loro capacità di realizzare innovazioni organizzative e di ottenere così incrementi pluriennali di produttività, che ci riavvicinino alla media europea, e trasferire comunque una parte dei frutti attesi ai loro dipendenti sotto forma di incrementi dei salari reali. E’ ovvio che, facendo questa scommessa, le imprese incapaci di realizzare davvero gli aumenti concordati di produttività del lavoro nel periodo previsto vedranno diminuire o scomparire i loro profitti e dovranno ristrutturarsi o uscire dal mercato. Il ruolo del governo è di predisporre ammortizzatori sociali davvero universali per evitare che i costi di questa ristrutturazione peggiorino la situazione dei lavoratori.

FIRSTonline – L’obiettivo è chiaro ed è quello di stringere un patto per innalzare la produttività in funzione di una maggior competitività dalla quale tutti (lavoratori, imprese efficienti, Paese) possano trarre vantaggi, ma le sembra praticabile un patto tra le parti sociali e il Governo a pochi mesi dalle elezioni e nel vivo di una campagna elettorale già infuocata?

MESSORI – Mi rendo conto delle complessità (soprattutto ‘politiche’) di un progetto di “produttività programmata”, quale quello che ho appena abbozzato e presentato recentemente al seminario di ASTRID; ma la crisi non aspetterà certo che il sistema politico italiano trovi un soddisfacente assetto di lungo periodo. L’importante è dare subito i giusti segnali; poi, in corso d’opera, si vedrà fino a dove possono arrivare le parti sociali senza impegni governativi che travalichino la data delle elezioni e che non possano essere assunti dal Presidente Monti.

FIRSTonline – E come dovrebbe partire il grande negoziato?

MESSORI – Immagino tre fasi. La prima, riservata alle parti sociali a livello nazionale, serve a: stipulare l’impegno alla “produttività programmata” per un determinato orizzonte temporale (non meno di cinque anni); fissare un’asticella minima, così da evitare che si ampli il divario nella dinamica media della produttività del lavoro in Italia rispetto ai Paesi europei concorrenti. La seconda fase, riservata alle parti sociali aziendali, prevede di stabilire – a livello di singola impresa – i termini effettivi della scommessa: il tasso concordato di crescita attesa della produttività e la sua traduzione in incrementi salariali. La terza fase, che implica un ritorno alla contrattazione nazionale, è resa necessaria dal rischio che la seconda fase coinvolga solo le imprese già efficienti e/o quelle molto sindacalizzate. Nella terza fase di contrattazione nazionale le parti sociali e il governo dovrebbero definire quegli incentivi (“bastone e carota”) che rendano troppo costoso alle singole imprese, che non hanno partecipato alla seconda fase di contrattazione, di restare fuori da uno degli accordi aziendali della seconda fase e di non sottoscrivere così il contratto della “produttività programmata”.

FIRSTonline – E il Governo interviene solo al margine della terza fase?

MESSORI – No, penso che il Governo possa svolgere un ruolo decisivo in almeno tre campi. In primo luogo, come ho già accennato, dovrebbe varare quegli ammortizzatori sociali universali e quelle politiche attive del lavoro in grado di assorbire le ricadute negative degli incrementi di produttività sulle condizioni di vita dei lavoratori. In secondo luogo, il Governo ha il compito di rimuovere o di attenuare le esternalità negative che pesano sulla competitività delle imprese e che vanno dagli eccessivi costi burocratici alle carenze infrastrutturali, dalle inadempienze della pubblica amministrazione alle distorsioni nella formazione e nella ricerca, e così via. Infine, se disporrà delle risorse finanziarie necessarie, il Governo potrebbe allentare la pressione fiscale sul lavoro e sulle imprese.

FIRSTonline – Pensa davvero che le parti sociali siano pronte a imbarcarsi in un negoziato così complesso nel quale il dare sembra più certo dell’avere?

MESSORI – Le difficoltà sono evidenti ma è essenziale far capire a tutti che, se la produttività cresce senza aggravi unilaterali, vi sono grandi vantaggi per tutti nel breve e nel medio periodo. Se l’Italia affronterà la crisi in modo difensivo, le posizioni di rendita diventeranno ancora più pervasive di quanto già non siano e il declino sarà inevitabile. In quest’ultimo caso, il conto graverà soprattutto sulle spalle delle fasce più deboli della popolazione.

FIRSTonline – Ma chi paga? E’ evidente che un patto come quello che Lei propone ha un costo elevato per il bilancio pubblico: dove trova le risorse il Governo?

MESSORI – L’unico costo inevitabile è quello degli ammortizzatori sociali universali, perché l’alleggerimento delle tasse sul lavoro e del cuneo fiscale è residuale e rientra nel processo di miglioramento delle condizioni ambientali. In ogni caso, la copertura di un sistema di ammortizzatori universali è un problema rilevante. La soluzione può essere, forse, rinvenuta nel cosiddetto piano Giavazzi sul taglio degli incentivi e delle agevolazioni alle imprese. Almeno nella prima versione di quel piano, si generavano risparmi dell’ordine di 10 miliardi di euro. Si tratta di una cifra sufficiente per finanziare i costi che sarebbero generati da un patto per la “produttività programmata”.

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