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Manovra, troppi giochi attorno all’abolizione dell’Ice e al suo trasferimento alla Farnesina

Dopo che nella manovra finanziaria si è decretata la morte dell’Ice, le iniziative messe in campo dai sindacati, dai partiti e dalle organizzazioni imprenditoriali e quelle annunciate da più parti, vanno tutte in direzione opposta l’una all’altra, preannunciando una confusione di idee e di proposte che non porteranno ad alcun risultato utile per le casse pubbliche e a quel ripensamento organizzativo necessario ad affiancare la crescita esportativa delle piccole e medie imprese italiane.

Limitiamoci ai fatti. Quello che il Decreto, approvato oggi al Senato e già all’esame della Camera, sancisce non è altro che la fotografia di una una situazione vecchia di qualche anno, emersa con chiarezza da molti mesi ma non recepita nelle sue evidenze dai vertici dell’Istituto. Eppure i segnali sono stati numerosi e di una evidenza assoluta: tagli di fondi, richiami costanti al contenimento della spesa corrente, richieste di azioni di razionalizzazione del sistema. Segnali caduti nel vuoto. Il Cda dell’Ice (composta da quattro imprenditori di primo piano e da un Presidente di lungo corso, navigato potremmo dire) si è limitato a prendere atto della situazione e a rinviare qualsiasi iniziativa. Per oltre sei mesi l’Istituto è stato lasciato senza Direttore Generale nei poteri statutari per assumerne uno a pochi giorni dallo scioglimento dell’Ice e alla cancellazione immediata della sua funzione. Si prepari il Ministero ad una causa per danni. Nel frattempo il presidente Vattani portava a termine i suoi tradizionali 200 giorni di missione all’estero con al seguito una struttura attenta a conservare le piccole certezze delle destinazioni estere o delle missioni fieristiche. Eppure chi conosce l’Istituto sa di una fascia di dirigenti e quadri altamente professionali, padroni di due o tre lingue, capaci di costruire percorsi commerciali in condizioni anche difficilissime (vogliamo ricordare l’opera degli Uffici in Kuwait, in Iraq, nella Cina che si stava affacciando al mercato?)

A gennaio la presidente della Confindustria Emma Marcegaglia ha proclamato: “Riformeremo l’Ice e lo privatizzeremo”. Poi più nulla. Silenzio. Solo l’altroieri il vicepresidente Alberto Bombassei ha dato voce ad alcune preoccupazioni delle categorie per spendersi con una scelta in favore di una Agenzia che faccia riferimento alla Farnesina. Siamo tutti vecchi del mestiere per non sapere che Confindustria è ormai entrata dentro il semestre bianco e nulla si muoverà sino a quando un nuovo Presidente varcherà la soglia di Viale dell’Astronomia.

All’Ice si è presentato il plenipotenziario del Ministro Romani per ordinare ai dirigenti di non firmare alcunché e di non assumere decisioni se non quelle strettissime dell’ordinaria amministrazione. I Sindacati picchettano di volta in volta il palazzo del Senato e quello di via XX settembre nello stanco rituale di una difesa corporativa di prerogative ormai sfarinate da tempo.

Qualche settore dell’ex Ministero del Commercio Estero sogna il ritorno (con Adolfo Urso) degli Sportelli Italia; l’altra metà si prenota nell’eventualità che la Farnesina faccia da Ministero di riferimento sognando per sé destinazioni estere. Il Ministro Romani traccheggia tra la promessa di tenere in casa l’Istituto promesso da tempo al sistema camerale.

A questo punto occorre coraggio e coerenza da parte del Ministro Frattini e di tutta la struttura diplomatica: l’unica in grado di rimettere con rapidità in piedi il presidio dei mercati esteri, di chiudere la troppo pesante presenza dell’Istituto su quelli domestici, di “sfruttare” al meglio il molto di buono che esiste dentro le professionalità di tanti dipendenti dello storico Istituto del Commercio Estero.

* Già direttore generale Ice

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