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Manovra, sfumato in extremis al Senato l’emendamento Ichino-Sacconi sui contratti

Sotto la spinta della grave crisi di fiducia verso l’Italia da parte dei mercati il nostro sistema politico ha mostrato una capacità di reazione veramente impressionante se paragonata a quella di altri grandi paesi europei e degli stessi Stati Uniti. La maggioranza ha varato un decreto pesante con l’obiettivo di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2014, e fatto straordinario, l’opposizione lo ha fatto passare in pochi giorni, dando ai mercati l’impressione che, di fronte alle emergenze, il Paese c’è ed è capace di reagire.

Tuttavia per tanti versi si è trattato di una occasione sprecata. La manovra non incide in profondità sulle tante distorsioni italiane che sono le vere responsabili della mancata crescita. Si limita a tappare le falle più evidenti, ma non ridisegna il ruolo dello Stato eliminando gli sprechi,nè soprattutto,contiene elementi che possano agevolare i recuperi di competitività di cui c’è urgente bisogno per poter dare una vera spinta ai prodotti italiani. E questo nonostante la lodevole eccezione della spinta a riprendere le privatizzazioni e la vendita del patrimonio pubblico contro la quale dalla stessa maggioranza si sono manifestate forti resistenze.

Di fatto dopo questa manovra le entrate pubbliche saliranno tra il 2010 ed il 2014 da 722 miliardi di Euro a 842 miliardi mentre le spese passeranno da 793 miliardi a 842 miliardi. Di fatto avremo 120 miliardi di entrate ( cioè di tasse per i cittadini e le imprese) in più che servono per 70 miliardi a coprire il deficit e per 50 miliardi a finanziare l’aumento delle spese correnti. Insomma come al solito le spese non vengono veramente ridotte ma se ne rallenta la crescita. Forse i nostri politici non sanno che nelle aziende e nelle famiglie quando si deve risparmiare non ci si limita a contenere la crescita spontanea delle spese ma si riducono del 5- 10% rispetto all’ano precedente. D’altra parte i privilegi della casta non sono stati toccati nè si sono fatte operazioni vere di razionalizzazione degli acquisti della PA che da sole possono portate almeno 20 miliardi di tagli effettivi.

Ancora peggio è andata sul versante dello stimolo allo sviluppo. Oltre alla mancata riforma delle professioni, si è persa l’occasione di completare la riforma delle relazioni industriali secondo la strada aperta dal recente accordo interconfederale tra Marcegaglia Camusso,Bonanni ed Angeletti che poteva essere il primo passo per una nuova stagione di guadagni di produttività nelle aziende italiane. L’innovazione organizzativa, come tutti riconoscono, si fa sempre di più nelle fabbriche ed occorre uno strumento di relazioni industriali più flessibile del contratto nazionale, che possa favorirle e recepirle velocemente. Questo strumento è costituito dai contratti aziendali che possono derogare a quelli nazionali in diverse materie ,secondo quanto stabilito appunto dal recente accordo interconfederale. Però per attuare veramente questa innovazione sarebbe necessaria una legge per fissare la validità “erga omnes” degli accordi stipulati in sede aziendale dalla maggioranza dei sindacati. Quale migliore occasione di questo decreto che dovrebbe risanare i conti dando nel contempo una spinta alla crescita? Ed infatti il senatore Ichino ed il ministro Sacconi hanno lavorato ieri pomeriggio ad un semplice emendamento che avrebbe potuto rivoluzionare le relazioni industriali e che diceva “che le disposizioni contenute nel contratto colletttivo aziendale approvato e sottoscritto in modo conforme agli accordi interconfederali,sono efficaci nei confronti di tutto il personale dipendente delle unità produttive cui il contratto stesso si riferisce.”

Questa semplice norma avrebbe posto i contratti aziendali su basi affidabili e quindi avrebbe aperto una nuova stagione delle relazioni industriali la cui rigidità è certamente una delle cause delle relativamente scarse innovazioni organizzative sviluppate dall’industria italiana e che,come ha documentato il Censis nell’ultimo rapporto,sono alla base della stagnazione del Paese.

Ma arrivati al dunque, nessuno ha avuto il coraggio di presentare tale emendamento.La Confindustria ha fatto sapere di non essere interessata( e nessuno sa bene perchè), il segretario della Cisl Bonanni, che pure in varie dichiarazioni aveva attenuato la tradizionale contrarietà della sua organizzazione ad interventi legislativi in materia contrattuale, ha fatto sapere che voleva pensarci meglio. La Camusso ,che aveva tutto l’interesse di poter contare su uno strumento in più per rimettere in riga la Fiom che sta contestandola il tutti i modi,non ha fatto sentire la propria voce. Ancora una volta ha prevalso la paura di affrontare il nuovo, e magari di superare qualche polemica da parte dei soliti conservatori ideologizzati,e così si è persa una occasione forse irripetibile, per mettere un tassello importante alla modernizzazione dell’apparato produttivo.

In Italia i cambiamenti si fanno con una lentezza esasperante. C’è una paura culturale verso il nuovo che appare sempre peggio del presente,anche quando è del tutto evidente che il pavimento sul quale camminiamo mostra crepe vistose e si fa di giorno in giorno più pericoloso.Si spera che non si debba aspettare una nuova crisi finanziaria per attuare quelle riforme che tutti conoscono da tempo,ma che nessun Governo ha finora avuto la volontà e soprattutto la credibilità di fare.

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