Il Tesoro studia una manovra impostata al rigore, mentre la Lega dice pubblicamente che andrà finanziata in deficit. È senza dubbio un autunno caldo quello che attende i conti pubblici dell’Italia, chiamata ad approvare la nuova legge di Bilancio entro il 30 settembre. A meno di un compromesso difficile da prevedere, al momento le conseguenze possibili dello scontro sono due: un nuovo conflitto con l’Europa – che stavolta, probabilmente, non ci risparmierebbe la procedura d’infrazione – o una crisi di Governo con il rischio di finire in esercizio provvisorio. Ma andiamo con ordine.
In queste settimane i tecnici del ministero dell’Economia stanno mettendo a punto una proposta di manovra che a settembre sarà sottoposta ai due partiti di Governo. Gli ingredienti fondamentali sono tre.
- Taglio del deficit-Pil sotto l’1,8% (contro il 2,1% fissato nell’ultimo Def) per soddisfare le richieste della Commissione europea, che, per bocca del commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici, ha chiesto a Roma “un aggiustamento strutturale significativo nel 2020”.
- Disinnesco delle clausole Iva recuperando i 23 miliardi necessari da un poderoso taglio delle tax expenditures, cioè benefici ed agevolazioni fiscali, senza escludere quelle sulla casa o sulla sanità. In sostanza, per evitare l’aumento dell’imposta sui consumi si alzeranno altre tasse.
- Flat tax da 12 miliardi coperta principalmente con l’abolizione del bonus Renzi di 80 euro, che da solo vale 9-10 miliardi l’anno. In realtà si tratterà soltanto di una prima riduzione delle aliquote Irpef, non di una vera propria tassa piatta.
Ora, quante speranze ci sono che un progetto simile ottenga il via libera della maggioranza? Siamo vicini allo zero. Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro della Lega, ribadisce in un’intervista al Messaggero che il Carroccio pretende “uno choc fiscale” da finanziare con un po’ di “sano deficit per far ripartire l’economia”. Nulla di più lontano dai piani del Tesoro, il cui primo obiettivo è evitare una nuova battaglia con Bruxelles. “L’Europa non può più dirci di no – chiosa Durigon – Ricordo che il neocommissario è stato eletto con i voti fondamentali del M5S e quindi perché dovrebbe ostacolare il governo in questa nuova fase di costruzione dell’Europa”.
D’altra parte, la ricetta messa a punto da Giovanni Tria è destinata a scontentare anche il Movimento 5 Stelle, che si vedrà negare i quattro miliardi chiesti per dare un primo taglio al cuneo fiscale.
Qualunque strada imboccherà il nostro Paese – crisi di governo o nuovo strappo con l’Europa – dovrà renderne conto agli investitori internazionali, che non si sono affatto dimenticati del nostro Paese. Quella che ci hanno concesso è solo “una tregua – spiega Niels Thygesen, economista danese e presidente dello European Fiscal Board, in un’intervista al Corriere della Sera – I mercati tirano sempre un sospiro di sollievo quando un conflitto temuto non si concretizza e le parti sembrano riconciliarsi. È successo l’anno scorso a dicembre e di nuovo nelle ultime settimane. Per qualche mese i mercati non ci fanno troppo caso. Ma decisamente è una tregua e potrebbe finire se ci fossero sviluppi negativi nell’economia europea”.