Ancora non ci siamo. Fra le richieste della Commissione europea e le proposte del Governo italiano rimane una distanza pari a circa due miliardi di euro. Il motivo? I nuovi tagli alla manovra varati domenica a Palazzo Chigi non convincono del tutto Bruxelles. In particolare si sta discutendo non sul deficit/Pil nominale ma su quello strutturale ovvero quello al netto di una tantum, effetti del ciclo economico e spese eccezionali (come per esempio le spese eccezionali per il dissesto idrogeologico o le privatizzazioni). E’ qui che rischia di naufragare la trattativa.
La settimana scorsa la Commissione aveva accolto la proposta italiana di far calare il rapporto deficit-Pil previsto per il 2019 dal 2,4 al 2,04%, una riduzione che corrisponde a tagli per 6,4 miliardi. In realtà, per rispettare in pieno le regole europee il deficit italiano non dovrebbe superare il 2% del Pil, ma a Bruxelles si sono mostrati disponibili a evitare un’ulteriore discesa sotto il 2,04% – mediaticamente ingestibile per il Governo – purché Roma ammettesse di aver dopato le previsioni di crescita per gli anni a venire.
GLI ULTIMI TAGLI NON HANNO CONVINTO BRUXELLES
Il problema è che, una volta trovata l’intesa, la Commissione si è accorta che anche il 2,04% presentato dal premier Giuseppe Conte era figlio di stime un po’ troppo ottimiste. Per questo motivo venerdì scorso Bruxelles ha chiesto ulteriori tagli per 3,5 miliardi. Le nuove sforbiciate sono state decise domenica a Roma e inviate lunedì per email a Bruxelles, che però ha ritenuto credibili solo una parte dei nuovi impegni, pari a 1,5 miliardi di euro. Morale: mancano ancora due miliardi.
COMMISSIONE DIVISA: DOMANI RIUNIONE (FORSE) DECISIVA
Ormai però scarseggia anche il tempo, visto che domani – mercoledì 19 dicembre – la Commissione terrà la sua ultima riunione prima di Natale, da mesi indicata come quella decisiva per il destino dell’Italia. Se non si troverà una soluzione entro oggi, l’ipotesi della procedura d’infrazione tornerà a farsi concreta.
Su questo punto la Commissione è divisa tra falchi e colombe: i primi (guidati dal vicepresidente Dombrovskis) hanno perso la pazienza e vorrebbero punire immediatamente il nostro Paese, mentre i secondi (capitanati dal commissario Moscovici) puntano a rinviare la decisione a gennaio, nella speranza di trovare un accordo in extremis.
LA RICHIESTA DEI FALCHI: SUBITO VIA ALLA PROCEDURA
Al momento siamo in stallo, considerando che la questione italiana non compare nell’ordine del giorno della riunione di domani. Se però entro stasera non arriveranno proposte convincenti da Roma, i falchi chiederanno senz’altro di lanciare la procedura. La parola finale spetterebbe comunque al Consiglio Ue del 22 gennaio, ma per il nostro Paese ottenere un parere favorevole dalla Commissione sarebbe fondamentale, perché vorrebbe dire non doversi giocare tutto al tavolo dei governi, ben più imprevedibile.
LE COLOMBE VOGLIONO IL RINVIO A GENNAIO
Nel caso prevalga la posizione di Moscovici, la Commissione darà all’Italia il tempo di approvare in Parlamento una manovra che di fatto rimarrebbe sub iudice fino a gennaio, quando l’Esecutivo comunitario tornerebbe a esprimersi, stavolta in modo definitivo.
In un’intervista alla radio Rtl, Moscovici ha assicurato che si sta impegnando “per evitare la procedura di infrazione all’Italia. Sto lavorando – ha aggiunto – per garantire che l’italia non sia punita, e sono fiducioso”.
LO SPETTRO DELL’ESERCIZIO PROVVISORIO
Ma a questo punto non è nemmeno detto che l’Italia sia in grado di approvare la legge di Bilancio entro il 31 dicembre. Nuovi tagli al reddito di cittadinanza o a quota 100 sarebbero inaccettabili per il Governo, così come un aumento selettivo dell’Iva. L’esercizio provvisorio è ormai una possibilità concreta. Se diventasse realtà, il governo avrebbe probabilmente i giorni contati.