Il problema non è tanto – o quantomeno non solo – il rapporto deficit-Pil, che nei prossimi tre anni (2019, 2020 e 2021) sarà alzato al 2,4% per finanziare le riforme previste nella manovra, quanto la qualità stessa di quelle riforme, tanto volute da Lega e Movimento 5 Stelle al punto da creare un vero e proprio scontro con colui che della manovra economica dovrebbe essere il fautore e il garante, ossia il ministro dell’Economia Giovanni Tria. Questa, in sintesi, la reazione di una parte della comunità finanziaria, quella riunita al Lido di Venezia per la settima edizione dell’Npl Meeting organizzato da Banca IFIS. Nella sede della Mostra internazionale del cinema si è parlato di banche e sofferenze, ma anche del sistema Italia, dopo le decisioni del Consiglio dei ministri di giovedì sera, che già non hanno mancato di allarmare i mercati, con lo spread schizzato verso i 270 punti base.
“Il tema è che l’Italia non cresce, né come Pil né come produttività – esordisce, in apertura dei lavoro, l’economista Luigi Zingales, da tempo vicino al Movimento 5 Stelle e candidato alla presidenza della Consob -, e lo fa non da quando c’è la crisi, ma da decenni. Il problema non è tanto il decimo di punto in più o in meno di deficit, in passato abbiamo fatto manovre col rapporto deficit/Pil all’8-9%. Il problema è capire se sarà una manovra di crescita”. Tuttavia la differenza sui conti pubblici, come è noto, non è nemmeno così irrilevante, visto che significa dire addio alla diminuzione del debito pubblico e quasi sicuramente sancirne un ulteriore e preoccupante aumento. “E’ difficile – argomento Roberto Nicastro, oggi senior advisor del fondo Cerberus – che gli investitori, che sono coloro che dovranno finanziare la manovra, reagiscano bene alle ultime decisioni. Il debito rischia di diventare insostenibile e per un investitore questo è un segnale negativo. Il 2,4% in sé non è un dramma, ma la manovra va nella direzione sbagliata perché non prevede tante cose che servirebbero al Paese”.
“Siamo il Paese dei 56 governi in 60 anni – ha anche detto Nicastro – e questo già di per sé è un segnale di instabilità. Ogni volta che l’Italia sembra prendere una strada giusta, si cambia e si ricomincia daccapo, come sta accadendo adesso”. Concorda anche Fabrizio Viola, ex manager di Mps e di Popolare di Vicenza e oggi presidente di Depobank, istituto depositario nato dalla separazione delle attività strettamente bancarie di Nexi: “I fondamentali delle banche italiane sono migliorati, ma c’è ancora molto da fare soprattutto sulla redditività. Il settore è ancora convalescente e purtroppo ciò che sta accadendo non lo aiuta. Il problema – sostiene anche il banchiere e advisor – non è tanto il numero del deficit quanto la qualità della manovra”.
Scetticismo condiviso anche dal centro studi di Prometeia, che pur in base alle poche indicazioni disponibili, ha tempestivamente pubblicato una nota: “Portare il disavanzo al 2,4% del Pil per i prossimi tre anni rischia di avere effetto nullo sulla dinamica della crescita”, si legge nel rapporto di Previsione di settembre. “Dalle (poche) informazioni al momento disponibili, l’impianto della manovra sembra improntato verso misure di trasferimento e non verso misure che possano sostenere la crescita potenziale – continua la società di consulenza – il maggior impatto espansivo delle misure fiscali potrebbe essere compensato da maggior incertezza e spread più elevati, in un contesto in cui il debito/Pil non diminuisce”.
Paradossalmente dunque, la manovra ultra espansiva, finanziata in deficit, promessa dal Governo, potrebbe avere un effetto contrario rispetto a quello auspicato dal Governo, contraendo e non spingendo la crescita dell’economia italiana. Lo pensano anche alcuni dei protagonisti del mondo finanziario presenti a Venezia per l’appuntamento dell’Npl Meeting, compreso il padrone di casa Giovanni Bossi, Ad di Banca IFIS, che però ha lasciato uno spiraglio: “Bisogna lasciare tempo al mercato di comprendere la manovra”. Il mercato, per ora, la manovra l’ha sonoramente bocciata: Piazza Affari -3,72% nella seduta di venerdì, con proprio i titoli bancari a soffrire di più.