Condono, flat tax, reddito di cittadinanza e pensioni. Sono questi i capitoli principali della prossima legge di Bilancio, oggi pomeriggio al centro di un nuovo vertice di maggioranza a Palazzo Chigi (vedi aggiornamento). L’incontro è stato preceduto dai veti incrociati dei due vicepresidenti del Consiglio: per Di Maio la tassa piatta va bene, ma “solo se aiuterà la classe media e le persone più disagiate”, mentre Salvini promuove il reddito di cittadinanza a condizione che “non sia fatto per stare a casa a guardare la televisione”.
Al di là delle schermaglie politiche, sul piano tecnico quasi tutto gira intorno al deficit-Pil 2019, che nelle bozze della nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (da approvare entro il 27 settembre) è previsto all’1,6%. Oltre questa soglia il ministro del Tesoro, Giovanni Tria, non ha intenzione di spingersi. Per un motivo preciso.
IL NODO DEL DEFICIT ALL’1,6%
L’1,6% non è un dato casuale: rappresenta la massima flessibilità che l’Ue può concedere all’Italia senza aprire una procedura d’infrazione, cioè un intervento punitivo che abbatterebbe la fiducia dei mercati e innescherebbe la speculazione. In base alle regole europee, infatti, l’anno prossimo il nostro Paese dovrebbe ridurre il deficit strutturale dello 0,6%. È già sicuro che non lo faremo, ma la procedura d’infrazione scatterà soltanto se la correzione non avverrà per nulla. Basterà cioè un miglioramento dello 0,1% perché Bruxelles si limiti a un semplice richiamo nei confronti del governo italiano (com’è accaduto quasi sempre negli ultimi anni). E il rapporto deficit-Pil all’1,6% corrisponde esattamente a una correzione del deficit strutturale pari allo 0,1%.
Tutto questo limita molto il margine d’azione della manovra, visto che – fra la cancellazione degli aumenti Iva (12,4 miliardi) e le spese correnti – lo spazio per rimanere entro l’1,6% non è molto. Per questo nella maggioranza si fa largo l’ipotesi di varare nuove tasse sulle grandi aziende (banche o servizi di rete), una strada ovviamente più gradita all’elettorato rispetto al taglio degli sconti fiscali o ad aumenti selettivi dell’Iva.
CONDONO
Tra le misure sul tavolo, l’unica su cui c’è già l’accordo è il condono. Lega e 5 Stelle intendono varare una “pace fiscale” che includa accertamenti, cartelle e sanzioni amministrative fino a un milione di euro. Difficile a questo punto sostenere che si tratti di una misura pensata solo per aiutare i più deboli. Inoltre, il partito di Matteo Salvini chiede anche un regime super-agevolato per le aziende gestite dai giovani.
Di Maio però ha precisato questa mattina che il Movimento 5 Stelle “non è disponibile a votare alcun condono” e che l’accordo ci sarà soltanto “se si tratterà di pace fiscale, di saldo e stralcio”. Molti economisti tuttavia, a cominciare dall’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli, sostengono che non ci sia alcuna differenza fra un condono e la cosiddetta pace fiscale.
FLAT TAX
Per quanto riguarda la flat tax, il progetto originario da 50 miliardi per una tassazione unica al 15% è ormai un ricordo. Accantonata anche l’ipotesi di far scendere l’aliquota Irpef più bassa dal 23 al 22%, un intervento piuttosto costoso (4 miliardi) che avrebbe portato ai contribuenti un aumento medio di soli 150 euro l’anno. Ora l’obiettivo è ridurre le aliquote Irpef da cinque a tre, ma solo nel 2020.
Per l’anno prossimo, invece, è attesa l’estensione del regime forfettario a tutte le partite Iva che fatturano fino a 100mila euro l’anno (ora il limite si colloca tra 25mila e 50mila euro a seconda dell’attività: per i professionisti è a 30mila). Il costo sarebbe di appena un miliardo e mezzo.
REDDITO DI CITTADINANZA
Il discorso sul reddito di cittadinanza è più complesso. Il Movimento 5 Stelle ha accettato di restringere il perimetro della misura: la proposta iniziale era di concedere 780 euro al mese ai 2,8 milioni di famiglie italiane che vivono sotto la soglia di povertà relativa, ma poi Di Maio ha parlato in un’intervista di “5 milioni di persone”, cioè i singoli individui che vivono in condizioni di povertà assoluta.
In questo modo il costo del reddito di cittadinanza scenderebbe da 17 a 9 miliardi l’anno, che si ridurrebbero a 4-5 se la misura diventasse operativa da metà anno (una tempistica peraltro favorevole a M5S in vista delle elezioni europee di maggio). Il governo può già contare sui 2,6 miliardi stanziati dall’esecutivo Gentiloni per il reddito di inclusione, perciò al ministero dell’Economia non resterebbe che racimolare un altro paio di miliardi.
Di Maio, inoltre, vorrebbe che dal primo gennaio entrasse in vigore anche la pensione di cittadinanza, ma il partito di Salvini è contrario. “Se fossi un artigiano, un commerciante o un imprenditore – obietta Alberto Brambilla, esperto di previdenza in quota Lega – non verserei più contributi se tanto poi fossi sicuro di prendere almeno 780 euro. Spacchiamo il sistema”.
Non si è fatta attendere la replica di Di Maio: “Brambilla parla a titolo personale, prima lo scoprite anche voi e più evitiamo questa bagarre. La pensione di cittadinanza è nel contratto di governo e lo sappiamo sia noi che la Lega. Le promesse che abbiamo fatto sulle pensioni vogliamo mantenerle tutte”.
PENSIONI E QUOTA 100
In realtà, smontare l’intera legge Fornero costerebbe troppo (circa 14 miliardi di euro), perciò Lega e M5S hanno deciso di convergere su un unico intervento correttivo: quota 100, ossia la possibilità di andare in pensione quando la somma di età anagrafica e anni di contribuzione arriva almeno a 100. Il problema in questo caso è capire quale sarà l’età minima per sfruttare questo canale d’uscita: inizialmente si era parlato di almeno 64 anni (più 36 di contributi), ma da alcuni giorni Salvini insiste per abbassare l’asticella a 62 (più 38 di contributi).
Per coprire il costo aggiuntivo, Brambilla rilancia la proposta di far pagare una parte dei costi alle imprese attraverso “i fondi di solidarietà e i fondi esubero, sul modello di quanto già accade con grande successo nel settore del credito e delle assicurazioni”. In sostanza, se un’impresa vuole mandare in pensione un dipendente prima che maturi i requisiti previsti dalla legge, firma un accordo individuale o collettivo e paga il prepensionamento attraverso fondi alimentati anche da contributi obbligatori dei lavoratori in busta paga. Questa soluzione non è comunque a costo zero per lo Stato, che per il solo settore bancario ha speso circa un miliardo di euro.
AGGIORNAMENTO
Il vertice di maggioranza è durato oltre tre ore. Al termine, Salvini ha parlato di “lavoro bello e proficuo, per far crescere l’economia italiana (senza regali alla Renzi) rispettando gli impegni presi con tutti a partire da quelli con gli italiani, su tasse, pensioni reddito di cittadinanza e maggiori posti di lavoro. Gli esperti dei due movimenti sono costantemente al lavoro per recuperare sprechi ma soprattutto per assicurare riforme necessarie e coraggiose”.
Di Maio ha aggiunto: “Le scelte sulla legge di bilancio devono essere coraggiose e devono esserlo nell’interesse dei cittadini. La mia posizione è ferma: vanno tagliati tutti gli sprechi, tutti i rami secchi, così come devono essere recuperate quelle risorse che, ad oggi, vanno nella direzione sbagliata. Gli italiani si aspettano tanto da noi e noi non li deluderemo perché saremo anche pronti a fare scelte coraggiose”.
Il premier Giuseppe Conte ha detto che “nel corso del vertice c’è stato un approfondimento delle principali componenti della manovra. In particolare, ci siamo soffermati sull’analisi degli sprechi da tagliare ai fini della riqualificazione della spesa pubblica e sulle possibilità di un rilancio della crescita attraverso i punti qualificanti del contratto di governo: flat tax, reddito di cittadinanza, superamento della legge Fornero e un quadro organico di tagli alle spese improduttive. Il vertice si è svolto lavorando in totale armonia ed è emerso l’obiettivo condiviso di provvedere ad una profonda revisione della spesa, volta a massimizzarne l’efficienza attraverso il taglio degli sprechi. È stato affrontato anche il tema delle riforme strutturali in via di formulazione definitiva, con l’obiettivo di valutare l’incidenza di queste sulla crescita economica e su una dinamica della produttività che il Paese ha bisogno di far ripartire”.
TICKET SANITARI
Spunta anche l’ipotesi di ridurre i ticket sanitari. “Ci vogliono i soldi – ha detto il premier Conte – Abbiamo la consapevolezza, ad esempio, di quella che è la spesa sanitaria che grava direttamente sui privati. In Italia siamo intorno al 20% della spesa complessiva, quando invece il livello che raccomanda l’Organizzazione mondiale della Sanità è del 15. La ministra Grillo sta lavorando alla riduzione di alcuni ticket sia per quanto riguarda i farmaci sia per le visite specialistiche”.