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Manovra e risparmio: cosa cambia per Btp, Bot, azioni, fondi, depositi bancari, dossier titoli

FIRSTonline

Quale effetto avrà sui risparmi la riforma della tassazione del risparmio che si affaccia nuovamente sull’agenda del Governo? Per discuterne, occorre mettere da parte i determinismi causa-effetto che mal si adattano alla complessità e all’interdipendenza dei mercati finanziari e alle distorsioni cognitive che caratterizzano i comportamenti dei soggetti che vi operano, tra i quali vi sono anche i risparmiatori.

Ecco 11 riflessioni sullla bozza di delega per la riforma fiscale e assistenziale messa a punto dal Ministero dell’Economia (che nella migliore delle ipotesi comporterà variazioni a partire dal 2012) e sul decreto legge 98/2011 della manovra di stabilizzazione pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 6 luglio (è quello che riguarda il rincaro dell’imposta di bollo sui depositi titoli) tenuto conto degli emendamenti presentati dal relatore il 13 luglio al testo in via di definitiva approvazione alla Camera.

1) Se sarà confermato che l’aliquota 12,5% resterà solamente per i titoli di Stato e i buoni postali, è difficile immaginare che possa essere applicata un’aliquota superiore a tutti i titoli equiparati come i titoli di Stato degli altri Paesi dell’Unione europea e le obbligazioni di enti sovranazionali. Ciò per non introdurre discriminazioni difficilmente conciliabili con i principi comunitari. Quindi il possibile effetto lesivo sui risparmi non riguarderà una fetta tutt’altro che trascurabile degli strumenti tipicamente utilizzati dai risparmiatori.

2) La maggior parte dei volumi trattati sui titoli di Stato italiani è dovuta a negoziazioni di soggetti istituzionali lordisti, quindi del tutto indifferenti a variazioni delle ritenute fiscali applicate ai privati. Ciò vale non solo per l’MTS, mercato all’ingrosso per definizione, ma in buona parte anche per il principale mercato al dettaglio, il MOT. Il controvalore medio per contratto dei titoli di Stato italiani scambiati sul MOT tra gennaio e maggio 2011 è stato di 62.592 euro, importo al di fuori della portata della gran parte dei risparmiatori e che quindi potrebbe segnalare una consistente presenza di operatori istituzionali. In ultima analisi: i prezzi dei BOT, dei CCT e dei BTP sono determinati dagli scambi di banche, fondi comuni, hedge funds e fondi pensione (tutti lordisti!), non dalle negoziazioni del signor Rossi.

3) Più possibile (ancorché non certo) è che il passaggio della ritenuta dal 12,5 al 20% abbia degli effetti sui prezzi dei bond bancari e in generale societari che la subiranno. Non è noto con precisione il peso che i risparmiatori hanno negli scambi di questi titoli, ma certamente è superiore a quello del trading dei titoli di Stato, dal momento che il controvalore medio per contratto dei bond bancari negoziati al MOT è di 15.878 euro. Come potrebbe agire l’eventuale aggiustamento? Prendiamo due titoli simili per cedola, solvibilità e durata, e mercato di quotazione (MOT): uno destinato (pare) a restare tassato al 12,5% e l’altro destinato (pare) a passare alla ritenuta del 20%. Il primo è il BTP scadenza 1 febbraio 2018, che ai prezzi di venerdì 1 luglio sconta un rendimento effettivo lordo del 4,36% lordo e 3,79% netto. Il secondo è l’Enel scadenza 12 giugno 2018, che offre un rendimento effettivo del 4,05% lordo e del 3,47% netto. Posto che, come detto, per il BTP il prezzo e il rendimento netto sono indifferenti al trattamento fiscale per i risparmiatori perché sono funzione delle decisioni dei lordisti, è chiaro che per mantenere quel 3,47% netto in presenza di un aumento della ritenuta, il prezzo dei bond Enel dovrà scendere. Ma siamo sicuri che questo dovrà accadere? No, perché l’andamento del prezzo del bond Enel sarà determinato anche da molti altri fattori, quali ad esempio la percezione di maggiore o minore solvibilità relativa del gruppo elettrico rispetto a quella dello Stato italiano. Senza dimenticare che anche tra i soggetti che negoziano i bond Enel vi sono istituzionali lordisti che nell’eventualità di una pressione al ribasso del prezzo del titolo in questione dovuta alla ricerca di un maggior rendimento lordo da parte dei risparmiatori nettisti potrebbero entrare in acquisto e riallineare quasi istantaneamente la quotazione alla situazione precedente. Che il prezzo resti o no invariato, a parità di altre condizioni, quel che è certo (tenuto conto della precisazione al punto successivo) è che i flussi cedolari netti futuri di chi è già obbligazionista di un titolo soggetto all’aumento di ritenuta saranno inferiori. C’è da discutere se questa riduzione venga fatta scontare subito con un calo del prezzo del titolo oppure diluita sulle cedole maturate e incassate dall’entrata in vigore della riforma alla scadenza.

4) Tutti questi ragionamenti possono avere un senso se la riforma avrà efficacia immediata sui titoli attualmente detenuti da risparmiatori italiani, ovviamente per i soli redditi futuri. Se dovesse entrare in vigore solo sulle nuove emissioni (ipotesi improbabile perché rinvierebbe alquanto l’ottenimento del gettito incrementale al quale punta il Governo), si aprirebbe un altro scenario che qui tralascio.

5) Se è difficile prevedere l’impatto della nuova tassazione sui prezzi dei bond a tasso fisso, strumenti sui quali è possibile fare qualche proiezione, figuriamoci quando di mezzo ci sono azioni, derivati (warrant, future, opzioni e così via) oppure bond a tasso variabile, o in valuta, o strutturati. Con questi strumenti ci sarà un carico fiscale futuro maggiore per i loro possessori, ma i loro ritorni futuri (anche al netto delle nuove tasse) sono funzione di una molteplicità di variabili sulle quali è difficile fare congetture. Se poi la riforma – come sembra – riguarderà anche i redditi diversi oltre che i redditi di capitale, basta ricordare che quando l’imposta sul capital gain entrò in vigore al 12,5%, il 1° luglio 1998, l’indice di Piazza Affari salì prima (+58,7% nel 1997), durante (+43% nel 1998) e dopo (+ 30,6% dall’inizio del 1999 fino allo scoppio della bolla della New economy nel marzo 2000) quell’evento. Che quindi, in un mercato euforico, passò inosservato.

6) Sempre se venisse confermata la differenziazione per i titoli di Stato, la riforma dovrebbe disciplinare la tassazione “per trasparenza” dei fondi comuni (che passano al 20%) per quanto riguarda la quota di portafoglio investita in titoli di Stato. Altrimenti non si capirebbe perché comprando direttamente questi strumenti si paga il 12,5% e invece tramite un fondo comune il 20% (ora per cassa, in base alla normativa entrata in vigore il 1° luglio 2011).

7) Se, come pare, i fondi pensione resteranno tassati all’11%, rafforzeranno il loro privilegio fiscale rispetto agli strumenti finanziari. Tutto da scoprire poi il tema dell’incentivazione fiscale ai piani di risparmio a lungo termine diversi dai fondi pensione sui quali è comparso un accenno tra le scarne informazioni disponibili. Ma a questo scopo, come scriveva Luigi Zingales sul Sole-24 Ore del 3 luglio, occorre che nascano dei fondi comuni dedicati veramente al lungo periodo, caratterizzati da un basso turnover.

8) Capitolo depositi bancari: anche qui non è detto che la riduzione della tassazione sugli interessi dal 27 al 20% si debba tradurre in un rendimento netto futuro superiore per i loro titolari. Perché non è affatto certo che i tassi lordi rimarranno gli stessi! Questi infatti dipendono dalle tendenze generali dei tassi a breve e dalle politiche commerciali delle varie banche. Quel che è molto probabile è che le banche online che in questi anni hanno puntato ai pronti contro termine come formula contrattuale per la gestione della liquidità per sfruttare l’aliquota 12,5 anzichè 27% dei conti di deposito dovranno rivedere le loro scelte (si veda l’intervista all’amministratore delegato di Fineco Bank Alessandro Foti, sul Corriere Economia dell’11 luglio a pag. 17). Anche perchè i pronti contro termine di importo superiore ai 50mila euro richiedono un dossier titoli che ora è gravato dal superbollo, i conti di deposito no (si veda anche il successivo punto 9).

9) Arriviamo al DL 98. Gli emendamenti presentati il 13 luglio stemperano fortemente gli effetti sul risparmio che inizialmente avevo analizzato. Non ci sarà convenienza a trasferire il piccolo risparmio dai dossier titoli verso i depositi bancari (al netto di quanto comporterà la convergenza al 20% delle aliquote di tassazione sulle rendite finanziarie), perchè l’imposta di bollo è destinata a restare pari a 34,2 euro per i depositi amministrati con giacenza inferiore ai 50mila euro. Per i depositi titoli con giacenza compresa tra 50mila e 149.999 euro l’imposta di bollo passa da subito a 70 euro (230 euro da inizio 2013). Per i depositi titoli con giacenza compresa tra 150mila e 499.999 euro l’imposta di bollo passa da subito a 240 euro (780 euro da inizio 2013). Per i depositi titoli dai 500mila euro in su l’imposta di bollo passa da subito a 780 euro (1.100 euro da inizio 2013). In sostanza ci sarà (contrariamente a quanto comportava il testo del DL 98 pubblicato in GU) una convenienza a lasciare attivi i depositi titoli marginali anzichè a chiuderli e a concentrarli. Questo spezzettamento dei dossier titoli fa sorgere l’esigenza di una rendicontazione unica, organica ed efficiente della ricchezza finanziaria di famiglia, realizzabile ad esempio con il Toolbox contenuto nell’offerta formativa di YouInvest. Occorre poi chiedersi quali saranno le conseguenze dell’eventuale aliquota unificata al 20% sulle obbligazioni bancarie, negli ultimi anni privilegiata e controversa (anche secondo la Consob) fonte di finanziamento degli istituti di credito nei confronti dei risparmiatori. Se e quando la riforma entrerà in vigore con questa misura, le obbligazioni bancarie non avranno più alcun vantaggio fiscale rispetto ai depositi, e continueranno a esporre gli intermediari a oneri burocratici e organizzativi (prospetti informativi e compliance). Le banche potrebbero quindi avere convenienza a spingere l’acceleratore sui più semplici e garantiti depositi bancari. Ma non vorrei che qualche banca inventasse i depositi strutturati! Un’ultima riflessione sui depositi titoli: da più decenni la politica economica di vari Governi ha cercato di promuovere l’azionariato popolare, come accaduto in occasione delle privatizzazioni. Ma anche le banche cooperative hanno per definizione una miriade di piccoli azionisti. L’aumento dell’imposta di bollo va a reprimere le forme esistenti di azionariato popolare. E’ questo uno degli effetti desiderati dal Governo?

10) Alcune banche già attualmente coprono a loro spese il bollo sul dossier titoli. E’ il caso di alcune banche online che offrono pronti contro termine a tassi competitivi con quelli dei conti di deposito. Occorre vedere come si muoveranno queste banche alla luce dell’aumento immediato dell’imposta di bollo per i dossier con giacenza superiore ai 50mila euro: se opteranno per offrire i conti di deposito anzichè i pct (come si è visto al punto 8), o se terranno l’aggravio sui loro conti economici, oppure se lo scaricheranno interamente sul cliente, che così potrebbe constatare una maggiore onerosità dei pronti termine rispetto a quella dei conti di deposito (che continueranno a essere sottoposti all’imposta di bollo di 34,2 euro anche per importi superiori a 50mila euro). Occorre poi capire cosa succederà ai conti sottorubricati, con i quali più persone (tipicamente della stessa famiglia, ma non solo) detengono diversi dossier titoli che “a grappolo” fanno riferimento a un rapporto principale e a un unico estratto conto. L’aumento dell’imposta di bollo alzerà l’attenzione del Fisco su questi dossier, che possono prestarsi a pratiche elusive. Infine, vorrei sommessamente ricordare che un investitore che volesse evitare di pagare l’imposta di bollo potrebbe trasferire il suo risparmio amministrato del tutto legalmente presso una banca o un intermediario residente all’estero. A pensarci potrebbero essere soprattutto gli investitori con dossier titoli di giacenza superiore a 500mila euro, che dal 2013 si ritroveranno a pagare un’imposta di bollo di 1.100 euro l’anno. Se prendessero questa decisione dovrebbero però compilare ogni anno il quadro RW del modello Unico, calcolarsi e pagare le imposte sulle rendite finanziarie da soli, o passare da una fiduciaria. Ne vale la pena? A voi la risposta.

11) Da anni sento vari imprenditori chiedersi: “Perché dovrei investire i miei risparmi nella mia azienda? Per vederli tassare sui rendimenti al 27% di Ires più l’Irap quando invece se li investissi in attivi finanziari sarei tassato al 12,5% senza fare alcuna fatica?”. La riforma in discussione potrebbe rendere meno efficiente questa alternativa. Ma solamente per gli strumenti finanziari diversi dai titoli di Stato ed equiparati. L’alibi non del tutto illegittimo degli imprenditori poco disposti a investire nella propria azienda può quindi resistere. Questa è a mio avviso una delle principali debolezze della riforma annunciata.

*Marco Liera è il direttore del sito YouInvest – La Scuola Per Investire, da cui è tratto questo articolo.

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