«L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare!». A sentire certe critiche alla legge di bilancio 2020 testé approvata dal Parlamento, la mente corre alla famosa frase di Gino Bartali.
Ginetto andava ascoltato. Si era conquistata una enorme autorevolezza vincendo tre Giri d’Italia e due Tour de France su biciclette e per strade che nessuno oggi chiamerebbe tali. Soprattutto Bartali aveva rischiato la vita, non tanto lungo le spericolate discese giù dallo Stelvio o dal Tourmalet, quanto per salvare dallo sterminio nazista molte persone ebraiche. Perciò fu nominato da Israele «Giusto tra le Nazioni».
Parafrasando Paolo Conte, quanta strada sui sandali hanno percorso e quante salite hanno scalato in bici i critici? Non è dileggio, ma seria domanda. Perché, alle volte, bisognerebbe almeno aver provato le sensazioni di fatica e dolore che scuotono il tessuto sociale, per capire e parlare con cognizione di causa.
Questo nel metodo. Nel merito, invece, prendiamo due ricorrenti accuse rivolte al governo. Una sbagliata e una giusta.
Quella sbagliata: si dice che si dovrebbe aumentare l’Iva e abbassare i contributi sociali. In questo modo si guadagna competitività, perché l’Iva viene pagata anche sulle importazioni, mentre non lo è sulle esportazioni, e la riduzione dei contributi sociali riduce il costo del made in Italy. Tutto questo in teoria. Nella pratica?
Ci fu un tempo in cui questa ricetta fu molto praticata e si dimostrò assai efficace. Correvano la fine degli anni Settanta e la prima metà degli anni Ottanta del secolo scorso. Ma ciò che funziona in un dato contesto non è detto che valga in un altro.
Oggi la competizione si gioca più sulla qualità e l’innovazione tecnologica che sul prezzo, dove i paesi emergenti vincono a mani basse. Oggi la pressione concorrenziale è così alta e la domanda così bassa che le imprese nemmeno osano provare a trasferire al consumatore gli aumenti di costo o la maggiore IVA.
Infatti, nelle ultime due volte in cui fu aumentata, nell’agosto 2011 e nell’ottobre 2013, non ci furono gli attesi incrementi dei prezzi al consumo. I quali, sia detto per inciso, non sarebbero stati maggiore inflazione, come qualcuno si ostina a dire, ma scalino nel livello dei prezzi. L’aggravio dell’IVA fu assorbito dai margini delle imprese. Il che spiega la forte opposizione delle loro associazioni di categoria a nuovi rincari dell’imposta indiretta, mentre trenta e quarant’anni fa ne furono le sostenitrici.
L’accusa giusta al Governo è di predicare bene la lotta all’evasione fiscale ma di razzolarla male. Perché per combattere questo sport di massa degli italiani non servono più né decreti né leggi (gli editti di manzoniana memoria), bensì occorre potenziare l’Agenzia delle entrate e la sua capacità di elaborare i dati e i big data. Il mio suggerimento è di mettere a vice del bravo Ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, il responsabile di Google Italia e dargli la delega delle Finanze. Basterebbe l’annuncio per far aumentare le entrate, come accadde nel 1996, quando Vincenzo Visco divenne responsabile dell’allora dicastero delle entrate.
Tutto ciò detto, vale quanto scrissi su FIRSTonline il 19 ottobre: questa è la migliore delle manovre di finanza pubblica, qui e ora. Ha richiuso il divario di tasso di interesse con la Germania. Ora la sfida è portarlo al livello di quelli di Spagna e Portogallo. A questo fine certe critiche non giovano.