Per arginare le difficoltà di bilancio, il Governo ha scelto la strada dell’inasprimento fiscale, più semplice ma anche più rischiosa, perché inevitabili saranno gli effetti recessivi. Non sappiamo se vi riuscirà o se saranno necessarie altre manovre correttive perché le pressioni speculative sui titoli del debito pubblico non si attenuano. Con una pressione fiscale effettiva che raggiunge ormai il 54% del Pil, la crescita è compressa (il Pil diminuirà dell’1,6% nel 2012) e crescerà la disoccupazione (al 9%). Come molti economisti hanno osservato – e stiamo tra questi – si poteva e si dovevano tagliare le spese correnti, come gli inutili incentivi alle imprese, e tassare i capitali italiani in Svizzera e non i detentori dei redditi medio-bassi degli italiani.
Ancora più urgente è ora varare provvedimenti efficaci per promuovere la crescita per rendere credibile la solvibilità del paese e attenuare il peso del debito. La crescita è un imperativo, almeno in un paese altamente indebitato come il nostro che non può sopravvivere solo sul dinamismo delle esportazioni senza rilanciare il mercato domestico. Se la crescita è necessaria, la sua declinazione è complessa se viene meno una delle leve più importanti, la spesa pubblica, la quale deve essere drasticamente ridimensionata per far fronte ad esigenze ineluttabili di rientro da un’esposizione debitoria non più sostenibile. Peraltro il deficit spending ha sempre avuto effetti deludenti come dimostrano tante verifiche empiriche, da Lucas a Romer e non ultimo quella del Nobel Sargent. Inondare di danaro pubblico l’economia non raggiunge gli obiettivi attesi perché tanti sono gli sprechi e le inefficienze, quando a spendere e’ un decisore che opera al di fuori del controllo del mercato.
La ripresa richiede la creazione di un ambiente favorevole alla nascita di nuove imprese, alla crescita degli investimenti, all’aumento della fiducia dei consumatori; e per far ciò occorre accrescere la produttività del lavoro con interventi efficaci nel lungo periodo. A breve non restano che due strade, entrambe poco apprezzate da governi politici: interventi a costo zero e misure fiscali virtuose capaci di generare crescita nel tempo. Entrambi richiedono un’illuminata governance, certo possibile ad un governo tecnico. Alcuni esempi sono illuminanti. I costi amministrativi sulle imprese e sui cittadini possono contenersi introducendo in tutte le procedure autorizzative il ricorso generalizzato alla prassi del “silenzio assenso”. All’opposto, la procedura del “tacito dissenso” (anch’essa previsto dalla nostra legislazione) può essere utilizzata dalla Pubblica Amministrazione per accrescere l’efficacia degli aiuti pubblici, ad esempio per cancellare impegni di spesa laddove il beneficiario non abbia ottemperato agli obblighi contratti entro i tempi previsti, liberando così la spesa per altri impieghi.
Il sostegno agli investimenti può realizzarsi con sgravi fiscali o con un mix di prestiti erogati dalle banche a tassi ordinari e a tassi agevolati dalla Cassa Depositi e Prestiti così da contare su progetti di investimento redditizi: gli oneri pubblici saranno recuperabili nel tempo grazie all’aumento degli imponibili d’impresa.
Le infrastrutture dovrebbero essere finanziate con un ricorso generalizzato al co-finanziamento pubblico-privato dei progetti così da moltiplicare gli effetti della spesa e selezionare i progetti più redditizi. L’attrazione di investimenti esteri in aree selezionate può essere favorita attraverso una flat tax omnicomprensiva, che genererà nel tempo imponibili d’impresa aggiuntivi e nuova occupazione. Misure analoghe possono essere introdotte a favore delle Pmi innovative e dell’occupazione giovanile.
Queste e tante altre riforme possono realizzarsi ad invarianza di spesa, anzi riducendola, senza dover ricorrere a lungaggini legislative. Un operazione di efficienza e trasparenza che imprese e consumatori non mancheranno di apprezzare come sempre hanno fatto in periodi di crisi.