C’è una parte del bilancio delle aziende italiane che ogni anno viene destinata alla gestione dell’ambiente e degli impatti sulla produzione. È decisamente in crescita, al punto che 9 imprese su 10 dichiarano di aver inserito questi temi nelle proprie strategie di business. I manager italiani escono bene dalla ricerca condotta dall’Ente di certificazione DNV GL – insieme all’istituto GFK Eurisko. Parte di un gruppo di 1700 professionisti, a nome delle loro aziende, ha certificato che rifiuti e scarichi industriali sono i punti di massima attenzione delle loro strategie. C’è anche dell’altro, ma quasi il 90 % di loro dice di monitorare i processi per valutarne la conformità con normative ambientali . Non solo, sono anche molto attenti agli impianti ed agli impatti sull’ambiente circostante. Le aziende italiane che hanno aderito al panel di Dnv ed Eurisko sono state 274.
La notizia ha un sapore particolare, nei giorni in cui Governo, Regione Puglia, sindacati e imprenditori si accapigliano sull’Ilva di Taranto. Solo di sfuggita ricordiamo anche le decine di inchieste per inquinamento ambientale e le accuse di scarso dell’ habitat verso industrie italiane ed estere. I tempi cambiano e i bilanci di sostenibilità ambientale oltre ad ottenere credits sui mercati, migliorano le relazioni sociali ed istituzionali. La ricerca andava a caccia proprio di performances positive ed è stata utile. Dnv del resto è uno dei maggiori enti di certificazione con metodologie e campionamenti assai severi. Le aziende italiane, non intendono abbassare la guardia .Ne va del loro futuro al pari della conquista di nuovi mercati. Anche per queste dichiarazioni di buona volontà e di programmazione di medio periodo,1 azienda italiana su 3 è risultata ad un livello avanzato di gestione ambientale. Di contro un’alta percentuale dichiara di voler fare meglio almeno nei prossimi tre anni.
Ma quali sono i parametri di rifermento? Le leggi nazionali e regionali, certamente e peraltro in continua evoluzione. Poi i valori che la singola impresa trasferisce sul mercato e sui clienti. L’82%, per esempio, svolge attività di assessment per la valutazione degli impatti, mentre la formazione del personale è diventata una costante per 7 aziende su 10. Il raffronto con le aziende di altri Paesi europei non è risultato negativo, sebbene sull’apparto industriale italiano pesino ritardi di investimenti e, forse ancora di più, la convergenza su obiettivi non climarteranti di istituzioni e parti sociali. In questo bisogna fare ancora passi avanti.
Interessante, infine, tutto ciò che riguarda la gestione dei rifiuti. Il rischio rifiuti è in cima alle preoccupazioni dei manager intervistati e gli italiani sono in buona compagnia con i colleghi stranieri. Gli scarti industriali sono una cartina di tornasole di ogni buona certificazione ambientale che attraversa tutti i segmenti industriali. Ne sanno qualcosa le nostre Regioni che per anni hanno tollerato che la criminalità organizzata facesse affari senza scrupoli trafficando sullo smaltimento illegale dei rifiuti anche speciali. La situazione in generale ora sta migliorando, ma il controllo dei processi industriali non può fermarsi ai cancelli degli stabilimenti. Ancor di più quando i rifiuti si aggiungono a rumori, vibrazioni, minacce elettromagnetiche, uso di fonti energetiche inquinanti.